Archivi categoria: Curtosi Marilisa

Tra l’America e la Calabria

di Maria Elisabetta Curtosi

“Tutte le mattine passavo in traghetto davanti alla Statua della Libertà e a Ellis Island, e ripensavo ai miei all’epoca in cui erano approdati in questo paese:  erano emozionati come lo ero io arrivando al porto in quella prima mattina d’ottobre? ”.  Frank McCourt, nel suo libro ” Che Paese, l’America” ( Adelphi,442 pagine,19 euro).

Una domanda alla quale non c’è risposta e che interessa milioni d’italiani partiti verso la fine dell’Ottocento  al di là dell’oceano per motivi di lavoro e non solo.

I versi di Michele Pane, poeta calabrese non hanno bisogno di commenti. << Maju addurusu,tu chi ‘mbuoschi l’arvului de lu coluri bellu d’a speranza, rinvirdi u cori miu chinu di triguli,fallu sonari n’tra vota tu.?mulicammillu ccu pampini tennari,frischi di l’acquazzina- cum’è usanza-pè sanari li piaghi chi lu vruscianu, ca niujia medicina cci poti cchiù: majiu addurusu e menta di papaveri, di suia,di murtijia e nepitella, fammi tu risbigghiari dintra st’anima tutto l’adduri d’amia gioventù; fammi penzari sempi sempi mammama  achijia cara vecchiarejia chi m’aspetta, suspira, chianti, spantica pecchi si spagna ca no tornu cchiù.Majiua addurusu mio fammi tu sentere n’atra vota la notti i vrisnignoli e alla matina i rondini e li passeri comu i sentia quando era jia, fammi vidimi ancora ntra li ticini di li picchi e di li torturi lu volu e u scrusciu di funtani fammi sentiri nò lu forti rumuri di sta città>>.

Un passato di miseria e mortificazione molto simile al presente degli altri.

Share

Il tema: l’emigrazione.

di Maria Elisabetta Curtosi

“La fuga è oggi il tema della vita calabrese. Ho sentito dire da molti stranieri che è una delle più belle d’Italia. Ma sicuramente “si piange due volte: quando uno arriva e quando se ne va”. Si fugge e si rimpiange la sua pena, si torna e si vuole fuggire, come la casa paterna dove il pane non basta. E una tale fuga il calabrese se la compie anche se sta seduto a un posto, in un ufficio o dietro uno sportello. E’ raro vedere qualcuno che si trovi realmente dove sta. Fisicamente o fantasticamente, la Calabria è oggi in fuga da se stessa. L’Italia meridionale le combatté tutte (le guerre) considerandole un’evasione e una breccia per l’emigrazione. Cosi scriveva Corrado Alvaro in “Un treno nel Sud”. “ Eccezionalmente si impiega ancora oggi il lamento funebre in occasione di un equivalente critico della morte,come la partenza per il servizio militare o per la guerra , o per l’America. E anche qui vi sono segni che in un passato relativamente recente l’uso doveva essere molto più diffuso”. Cosi Ernesto De Martino nel 1958.  Invece Luigi M. Lombardi Satriani, sostiene che “ anche l’emigrazione,oltre che la guerra ed agli altri eventi è una minaccia perché anch’essa costringe ad un radicale distacco dal proprio paese e recide la continuità emotiva tra gli appartenenti al nucleo familiare e alla parentela, sconvolgendo i quadri di riferimento culturale”.  “L’emigrazione, continua l’antropologo di grande cultura di San Costantino di Briatico, è risposta contro la morte, ma è essa stessa morte, in quanto viaggio, separazione dal noto, rischio della perdita della presenza da controllare anche se essa muta come fenomeno storico nelle sue varie fasi,mete, ritmo, modalità e tempi”.

Share

Che cos’è un classico

di Maria Elisabetta Curtosi

Nel 1944 lo scrittore inglese T. S. Eliot pronuncia il suo noto discorso “Che cos’è un classico”, atto alla riscoperta e all interpretazione della personalità di Virgilio e in particolare dell’Eneide. Attraverso tale opera letteraria, Eliot mostra la profonda intenzione di rivalutare ufficialmente il poeta latino, considerato il classico dei classici; di intraprendere uno studio che rappresenta la ricerca di un punto fermo, di un superamento delle varie divisioni di «provincia» presenti nella comunità umana.
L’autore ha elaborato una definizione di classico applicabile solamente a Virgilio; come viene espresso nel discorso, un autore si definisce classico quando: è il prodotto di una «civiltà matura»; la sua maturità è caratterizzata dalla «consapevolezza della storia» e si manifesta come maturità di linguaggio è in grado di costituire un riferimento e un termine di paragone per le letterature dei popoli differenti.

E’evidente che queste caratteristiche raggiungono in Virgilio la massima espressione. In “Che cos’è un classico” Eliot conduce un interpretazione di Virgilio, servendosi del poeta per condannare «il provincialismo».

“…E fra i grandi poeti greci e romani, credo che andiamo massimamente debitori del nostro ideale di classicità a Virgilio; questo voglio ripeterlo, non è lo stesso che definirlo il più grande, o quello al quale dobbiamo di più: parlo qui d’un debito particolare. La speciale natura della sua comprensività è dovuta alla posizione, unica nella nostra storia, dell’impero romano e della lingua latina: una posizione che può dirsi conforme al suo fato. Questo senso del fato prende coscienza di sè nell’Eneide….”

“… Virgilio si conquista la «centralità» del classico supremo; è lui il centro della civiltà europea, in una posizione che nessun altro poeta può condividere o usurpare…”

Share

Vincenzo Ammirà e la letteratura.

di Maria Elisabetta Curtosi

Di Ammirà la cronaca e certa letteratura ne hanno fatto oramai un ritratto che sarà molto difficile da scalfire, perché non c’è saggio, memoria e aneddottistica che ha impresso a fuoco: angelo per pochi, demonio per gli altri.

Il giuoco libero della poesia. Tra le voci poetiche fra le più libere ed autentiche  non soltanto della letteratura calabrese del secolo per antonomasia ma della letteratura erotica italiana. E come tale quindi messo al rogo. Parlava allo spirito, Ammirà. Non era amato manco lui da quei “professorini da caffè ”. Lui ricambiava volentieri, anzi nella sua poesia dialettale la pseudo autorità svanisce sotto i colpi della libera voce di Ammirà, tutta volta alla realizzazione dei più alti ideali umani.

Ci ha rimesso solamente la cultura perché le loro opere sono solo per pochi intimi e quei pochi ne hanno fatto uno stereotipo di una poesia pornografica, oscena, sottoposta

continuamente al dominio del potere nelle sue variegate forme.

Invece si tratta a nostro modesto parere di poeta romantico. Egli esprime il carattere del vero calabrese, romantico,irriverente, individualista, sarcastico, ribelle contro ogni tipo di sopruso, insomma quella calabresità tipica dei grandi della nostra terra che ha avuto in Campanella l’espressione più alta. Ammirà non è mai stato un poeta da officina, non sostava nelle biblioteche o nelle sacrestie e questo è un altro punto su cui il poeta monteleonese si distacca  non tanto dagli uomini della generazione poetica coeva. Rispetto ad altri poeti egli ha saputo e potuto essere moderno in modo del tutto diverso dai suoi contemporanei. Negli altri prevaleva il criterio retorico,mentre per Ammirà l’unico criterio restava quello di una funzione naturale che anticipava e annullava le ragioni di un ordine letterario. Il linguaggio di Ammirà non era asettico, rassicurante ma altamente simbolico, efficace e comprensibile a tutti perché linguaggio del dolore e della gioia,della passione, dell’amore sempre naturale, non artificioso, diretto, genuino che nasce e si ciba della cultura popolare.

Share

“Scrivete. Perseguitate con la verità i vostri persecutori.”

di Maria ELisabetta Curtosi

Informare per conoscere, capire e migliorare: sventolando per la prima volta la bandiera della verità – così scriveva Gian Pietro testa nel “mestiere del giornalista” – fascicoli in ottava, copertina gialla, questa era la <<Giovane Italia>> di Mazzini, sei quaderni, usciti dal 1832 al 1834.

La rivoluziona aveva aperto un esplorato territorio fino ad allora nella storia della democrazia: “l’uso di strumenti riservati al potere da parte di chi combatteva contro il privilegio dei pochi inaugurando così un processo davvero irreversibile”. Questo strumento così importante era il giornale, appunto. In questo contesto, fine Settecento, si aprì perciò la discussione sul significato filosofico di <<verità>> non in quanto assoluta , ma relativa ai fatti, “brandelli inalienabili della nostra realtà, e come  arma per affrontare altre verità spacciate per assolute e indiscutibili.

Ma voi pochi sublimi animi che solitarj o perseguitati su le antiche sciagure della nostra patria fremete, se i cieli vi contendono di lottar con la forza, perchè almeno non raccontate alla posterità i nostri mali? […]- Se avete le braccia in catene, perchè inceppate da voi stessi anche il vostro intelletto di cui nè i tiranni nè la fortuna, arbitri d’ogni cosa, possono essere arbitri mai? Scrivete. Perseguitate con la verità i vostri persecutori. E poichè non potete opprimerli, mentre vivono, co’ pugnali, opprimeteli almeno con l’obbrobrio per tutti i secoli futuri.

Share

Storie di uomini e santi

di Maria Elisabetta Curtosi

Migliaia di “fedeli” tanto tempo fa accorrevano a Pannàconi, in Calabria, dove un uomo aveva scoperto una “fonte miracolosa” e affermava di parlare con la Vergine.

“ LA MADONNA MI HA DETTO: DAI, FAMMI UNA CHIESA”.

Racconta Domenico Bucci: “Ho costruito il tempio accanto a una sorgente di acqua benedetta, proprio dove voleva la Madonna quando mi apparve per la prima volta.  Sono un guaritore e un veggente”.  Per capire le malattie spiega che ha come suggeritori i Santi Cosma e Damiano: “Senza il loro aiuto non potrei fare nulla perché non conosco il corpo umano”. Mette  in contatto  i vivi con i defunti e ha anche scritto un “vangelo” perché, dice, ha “un filo diretto” col cielo.

Il “tempio dei miracoli”, sorge a un limitare di un sentiero che scende impervio,tra olivi secolari e cespugli di rovi. E’ un edificio di gusto grossolano, moderno, inadeguato ai colori sommessi di questa campagna dallo spirito persistentemente antico. Ma il suo instancabile costruttore ne parla con fierezza.” L’ho realizzato accanto a una sorgente d’acqua benedetta, proprio dove voleva la madonna” ci spiega in un dialetto difficile da comprendere.” E’ stata lei stessa, quando mi è apparsa per la prima volta, suggerire le indicazioni necessarie. Al resto ho pensato io. Lavorando da solo e tra mille ostacoli”. L’uomo a questo punto s’interrompe bruscamente per indicare i preliminari cui dobbiamo sottoporci prima di dialogare con lui. Si tratta di un semplice rituale, obbligatorio per chiunque si accosti a questo luogo “sacro”: una breve sosta di preghiera in chiesa, la bevuta purificatrice presso la fonte, infine l’incontro con lui. Domenico Antonio Bucci, inviato del Signore. Se sia un veggente, un guaritore o più semplicemente un impostore è difficile stabilirlo, perché si tratta di un “fenomeno” troppo recente. Ma è un fatto indiscutibile oramai,che la fama di quest’uomo sta dilagando nelle città e campagne della Calabria e sta già rimbalzando oltre i confini della regione. I suoi” fedeli” non si contano più. Vengono da ogni parte per sottoporgli quesiti di ordine medico e problemi di carattere personale, per cercare conferme e conforto.

E lui risponde a tutti, senza stancarsi di ripetere che ogni parola gli viene suggerita dall’alto, dalla Madonna e dai santi con cui entra di volta in volta in contatto. Anche la nostra visita gli era stata preannunciata, dice. Cosi, mentre ci apprestiamo a dialogare con lui,riusciamo a studiare da vicino questo personaggio carismatico. Una figura comune, nell’aspetto, a tante altre dell’universo contadino della Calabria. Un uomo piccolo, asciutto, vestito in modo dimesso e con il volto segnato dall’età e dalla sofferenza. Pure la storia della sua vita non sembra discostarsi dalle vicissitudini di tanti altri che da questa regione sono stati costretti a emigrare per sfuggire agli stenti. E lui stesso a raccontarla. “Ho sessantasette anni, sono di origine molisana ma ho trascorso la mia infanzia qui, a Pannàconi. La miseria mi ha spinto, quando già ero sposato e con un figlio, a tentare la fortuna in Brasile. Sono partito solo e senza soldi. Anche laggiù ho dovuto penare per essere assunto come operaio. Il lavoro era massacrante e cosi,quando la mia salute è andata peggiorando, sono stato licenziato. Nel frattempo, qualche mese dopo il mio arrivo, anche mia moglie si è ammalata gravemente. Ho passato dei mesi interminabili ad accudirla in ospedale e a piangere sulla nostra situazione. Un giorno poi ero particolarmente depresso e mi sono trovato a sfogliare la Bibbia e a cercare di leggerla, tra mille difficoltà. Improvvisamente una luce accecante ha inondato la stanza. L’episodio si è ripetuto per tre giorni consecutivi e qualcosa che non so definire mi ha portato a credere che si trattasse di una manifestazione dello Spirito Santo. Da quel momento ho cominciato a dedicarmi al prossimo”.

Share

Emigrazioni in America

Emigrazioni  verso le Americhe o verso il Nord Europa : molti recitavano  a memoria alcuni versi di Enotrio Pugliese, genuino ed immenso artista calabrese, anch’esso figlio di emigranti:

 

“Quando nascivi patrima era a Merica.

Fici u sordatu e patrima era a Merica.

Vinneru i figghji e patria era a Merica.

Mama moriu e patria era a Merica.

Aguannu tornau patrima d’a Merica pe nommu mori a Merica”.

 

Share

Estate 1968

di Maria Elisabetta Curtosi

Che estate quella del ’68.

Si apriva un decennio che, iniziato con il ’63, continuava con gli anni ’70: per loro la grande battaglia a quel tempo erano i pantaloni lunghi perché sanzionavano la fine dell’infanzia assieme all’esame di Licenza Media. Iniziavano le masturbazioni mentali .

Uno sguardo, una fotografia, una voce che racconta quel tempo: raccontare di fatti, personaggi e situazioni che hanno determinato la vita della nostra comunità ha oggi un significato importante: un modo nuovo di leggere il nostro quotidiano che parla di Europa, di storie di donne e di uomini che giocoforza debbono avere un doppio sguardo sull’Italia,  sul mondo e sull’Europa. Queste immagini fotografiche, affascinanti e nostalgiche rievocano, attraverso la memoria, la straordinaria avventura di quei ragazzi  che furono  “ i ragazzi col ciuffo”. Il linguaggio usato, quello fotografico, si sa  è strumento importante capace di parlare non tanto alla testa ma al cuore delle persone senza distinzioni di censo e culture. Speriamo che l’anello non si spezzi e che i paesi non diventino come diceva Giovanni Paolo II” deserto senza storia, senza linguaggio e senza identità, con conseguenze gravissime” . Coloro che amarono,  idolatrarono ed imitarono a modo loro i vari Elvis, Donavan,  Dylan e Joan Baez:  insomma “ i sacerdoti”  della musica folk in Inghilterra ed in America, mentre qui da noi erano Morandi, Equipe 84, Battisti, Little Tony, Celentano, Rita Pavone o l’eterea Francoise Hardy, I Giganti: inossidabili icone del rock casereccio che riportavano alla luce  vecchie ballate, canti di protesta o di ribellione nati nelle miniere, nelle piantagioni e sui campi di battaglia, storie d’amore e leggende ricoperte dalla polvere degli anni. “ Lo sai tu chi erano i Beattles ed i Rolling Stones? Questo il refrain di una canzone di Gianni Morandi che assieme a Lucio Dalla, rappresentava la famosa” via Emilia” della canzone nostrana. Insomma per capire quegli anni, per “ rivivere” ogni epoca e soprattutto “ l’epoca “ per antonomasia, quella del beat, del rhythm and blues importato in quanto da noi non esiste un patrimonio popolare come quello americano ma esiste il folk inteso come suggestive canzoni del Sud, lamenti di donne, grida di pescatori: basta pensare ad Otello Prefazio: un caso simile al “ fenomeno” Belafonte. “U ciucciu” il lamento dell’asino rappresenta una sorta di “cult” del folk singer calabrese.

Share

Il sequestro del Re

di Maria Elisabetta Curtosi

Gli uomini hanno fatto il 14 luglio, le donne il 6 ottobre; gli uomini hanno preso la Bastiglia reale, e le donne hanno imprigionata la regalità stessa, l’ hanno messa nelle mani di Parigi, ossia della Rivoluzione.

Siamo in Francia, 1789, nel momento peggiore in cui le sofferenze diventate estreme avevano crudelmente colpito la famiglia e il focolare. Cosi ci racconta un importante storico francese G. Michelet secondo cui la storia doveva essere «la resurrezione della vita integrale del passato».

Perciò una donna, il sabato sera, 3 ottobre, diede l’allarme: vedendo che suo marito non era abbastanza ascoltato, corse al caffè Foy, denunciò le coccarde antinazionali, mostrò quale era il pericolo pubblico.

Il lunedi una giovinetta prese un tamburo, suonò a raccolta, trascinò tutte le donne del rione.

Donne che generarono valorosi e furoro esse stesse delle valorose.Nomi come Jeanne d’ Arc, Jeanne di Montfort, J. Machette sono da ricordare.

Ve ne fu una alla Bastiglia che, più tardi, partì per la guerra e fu capitano d’artiglieria mentre suo marito era soldato.

Non c’è da meraviglairsi; poiché esse maggiormente soffrivano. Le povere donne vivevano rinchiuse, sedute, filavano e cucinavano tutto il tempo.

E’ doloroso pensare che la donna, l’essere che un tempo non poteva vivere senza un compagno sia più spesso sola dell’uomo. Essa senza la famiglia era nulla. Rimanevano nella fredda casa, spoglia e disonora, con i bimbi che piangevano o che erano malati o morenti e non piangevano più.

Dunque quelle che in queste orribili calamità si muovono e agiscono sono le più forti, le meno sfinite dalla miseria.

Share

Il giornalista Giuseppe Mazzini.

di Maria Elisabetta Curtosi

Per mostrare ideali alti ma illustrati con linguaggio e toni aristocratici Mazzini nel divulgare la sua associazione “La Giovane Italia” << fondata al grande scopo di ricostruire l’Italia come nazione di uomini liberi e uguali, unita, indipendente e sovrana>> usò la carta stampata come unico organo di informazione per i comitati che erano nati un po’ ovunque. La Giovane Italia allora fu stampata nella tipografia marsigliese di Barile e Boulouch per due anni; successivamente Mazzini arrivò in Svizzera e qui fece uscire il primo numero della “Jeune Suisse”(primo luglio 1935) bisettimanale in cui si discuteva e si faceva propagandare l’idea europea. Nel 1836 a Parigi esce il mensile “L’Italiano” a cui collaborarono Mazzini e Michele Accursi, qui venne fuori il ruolo del giornale, inteso come controinformazione  a quella propagandistica, del potere. Scrive, infatti << Finora quasi tutte le storie d’Italia e delle altre nazioni non sono che la storia dei grandi re o la storia delle guerre. Ma la storia agricola, industriale, commerciale, legislativa, politica, nazionale, la storia di tute le scienze e di tutte le arti da dieci secoli in qua dove si trova?>>. Ecco il concetto nuovo, diverso e reale che ne scaturì da quell’uomo, inoltre ancora più chiaro fu il discorso fatto direttamente agli operai  nell’ ”Apostolare popolare” (1840-1843 Londra) egli scrive: << L’operaio legge, ha corsi, libri, giornali scritti unicamente per lui, ma in Italia egli manca d’ogni mezzo a istruirsi, riceve ciecamente alcune idee, quasi sempre false, perché gli vengono da uomini interessanti a mantenerlo nell’errore, e vive l’intera vita senza correggerle, senza accrescerle d’una sola, senza avanzar d’un passo sulla via della verità>>. Quale merito, allora dare a Mazzini? Dal punto di vista giornalistico possiamo affermare che ha avuto l’enorme merito di avere rivestito di dignità, di conoscenza l’informazione, e di questa lezione fa fede il nascere di tutta una serie di nuovi giornali in Italia, i quali mostrano di allettare gli interessi di lettori che non siano soltanto intellettuali.

Share