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Illusioni perdute: letteratura e giornalismo.

di Mari Elisabetta Curtosi

<< La differenza tra letteratura e giornalismo? Il giornalismo è illeggibile e la letteratura non è letta. Questo è tutto>>. Come non riconoscere il tono perfido come sempre dello scrittore inglese Oscar Wilde in questo aforisma. Ma cosa vogliono dire le sue parole? Sicuramente il contesto è quello dell’Ottocento dove era diffusa l’opinione ( era la realtà) che il giornalista altro non era che un letterato… fallito, una professione di ripiego forse più lucrosa ma certamente la letteratura era l’unica attività “di penna degna di onore”  così scriveva Honorè de Balzac nelle “Illusioni Perdute” dove evidenziava il contrasto tra le due scelte di vita.

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La fiera dei miracoli

di Maria Elisabetta Curtosi

L’ incanto della poesia ci rende la vita più sopportabile e più lieve.

Così la poetessa Szymborska, premio Nobel per la letteratura, ci trasporta in un mondo stupefacente, tra la profondità della sua riflessione poetica viaggiamo nella sua scrittura filosofica e scherzosa e implusiva. “ Non dà risposte, perché ogni domanda può generare altre domande” definisce le linee guida P. Marchesani “ di ogni singolo lettore sembra condividere intuizioni, sensazioni e paure”.

 

LA FIERA DEI MIRACOLI

 

Un miracolo comune:

l’accadere di molti miracoli comuni.

 

Un miracolo normale:

l’abbaiare di cani invisibili

nel silenzio della notte.

 

Un miracolo fra tanti:

una piccola nuvola svolazzante,

e riesce a nascondere una grande pesante luna.

 

Più miracoli in uno:

un ontano riflesso sull’acqua

e che sia girato da destra a sinistra,

e che cresca con la chioma in giù,

e non raggiunga affatto il fondo

benché l’acqua sia poco profonda.

 

Un miracolo all’ordine del giorno:

venti abbastanza deboli e moderati,

impetuosi durante le tempeste.

 

Un miracolo alla buona:

le mucche sono mucche.

 

Un altro peggiore:

proprio questo frutteto

proprio da questo nocciolo.

 

Un miracolo senza frac nero e cilindro:

bianchi colombi che si levano in volo.

 

Un miracolo- e come chiamarlo altrimenti:

oggi il sole è sorto alle 3.14

e tramonterà alle 20.01.

 

Un miracolo che non stupisce quanto dovrebbe:

la mano ha in verità meno di sei dita,

però più di quattro.

 

Un miracolo, basta guardarsi intorno:

il mondo onnipresente.

 

Un miracolo supplementare, come ogni cosa:

l’inimmaginabile

è immaginabile.

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Il Grande dittatore: Discorso all’umanità – Charlie Chaplin

di Maria Elisabetta Curtosi

Nel 1940 siamo nel pieno della Seconda Guerra mondiale e il grande genio di Charlie Chaplin, autore e protagonista, crea un film straordinario che rimarrà un punto fermo nella storia del cinema: Il Grande dittatore. Da vedere e rivedere mille volte sopratutto per la grande intensità di significato che Chaplin vuole esprimere attraverso la sua arma più forte, la satira. Riportare il suo discorso all’umanità con cui alla fine si chiude il film, sottolinea che è un film oramai senza tempo.

“Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore non è il mio mestiere non voglio governare né conquistare nessuno. Vorrei aiutare tutti se è possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre dovremmo godere solo della felicità del prossimo.

Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro.
In questo mondo c’è posto per tutti, la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori. Ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abiette.

Abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà. La scienza ci ha trasformato in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari ci serve umanità. Più che abilità ci serve bontà e gentilezza, senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto. L’aviazione la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni reclama la fratellanza dell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di persone donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono dico: non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero. L’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori e il potere che hanno tolto al popolo ritornerà al popolo e qualsiasi mezzo usino la Libertà non può essere soppressa.

Soldati non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare, che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie, non vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchina con macchine al posto del cervello e del cuore! Voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete Uomini! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore, voi non odiate. Coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati non difendete la schiavitù ma la Libertà! Ricordate nel vangelo di San Luca è scritto “il regno di Dio è nel cuore dell’uomo”. Non di un solo uomo, di un gruppo di uomini ma di tutti gli uomini! Voi, voi il popolo avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità. Voi, voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e Libera, di fare di questa vita una splendida avventura.

Quindi in nome della Democrazia usiamo questa forza! Uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore che dia a tutti gli uomini un lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza. Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere, mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. I Dittatori forse sono liberi perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse. Combattiamo per liberare il mondo eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere.

 

Soldati nel nome della democrazia siate tutti uniti.”

« Più che in qualunque trovata comica, credo che il fascino di Chaplin stia nella sua capacità di riaffermare la verità – soffocata dal fascismo e anche, fatto piuttosto comico, dal socialismo – che vox populi è uguale a vox Dei e che i giganti sono vermiciattoli. »(George Orwell)

 

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Chi furono i primi giornalisti?

di Maria Elisabetta Curtosi

Chi furono i primi giornalisti in assoluto? Secondo Gian Pietro Testa forse i “diaristi” babilonesi i quali erano incaricati dai loro re di scrivere, giorno per giorno, i pubblici avvenimenti, dando di essi una versione ben accetta ai “grandi”. Tuttavia nonostante il forte legale che li legava al potere politico del tempo devono essere considerati dei veri e propri giornali perché erano il portavoce e pian piano iniziavano a comparire anche altre notizie di curiosità, di costume e perfino di “nera” –  che poi sarebbero diventati il nucleo portante dei giornali moderni. Esempi erano  gli <<Acta diurna>>dove l’aggettivo qualificativo già di per se anticipa la definizione di giornale. Medesimo spirito ebbero d’altra parte le croniche medievali, di cui le prime tracce abbiamo prima dei Mille (Cronicon Altinate di Venezia), ma che si affermarono con l’avvento dei Comuni. Famosi cronisti furono Dino Compagni e Giovanni Villani, fiorentini. Ma altrettanto importante fu il lavoro di comunicazione svolto dai loro colleghi in tutte le grandi città europee, da Venezia a Milano, da Pisa a Tolosa.

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“Licealità Classica e Nuovo Umanesimo nel XXI Secolo”

di Maria Elisabetta Curtosi

Aula magna Carlo Diano al Liceo Classico “Michele Morelli” di Vibo Valentia

– 19 /10/2011 –

Ho ricevuto nei giorni scorsi l’invito dal Dirigente Scolastico per essere oggi presente all’Inaugurazione dell’ a. s. 2011/2012; sia per portare la mia testimonianza sia per fare alcune brevi riflessioni sull’importante tema “Licealità classica e Nuovo Umanesimo”.

L’amore e la passione per gli studi classici mi danno tante soddisfazioni, l’ultima in ordine di tempo è stato l’esame di Latino superandolo brillantemente con 30 e lode e soprattutto le congratulazioni del  Professore di lingua e letteratura latina, che mi ha esaminato e mi ha chiesto da quale liceo provenissi.

Ho risposto che ho studiato in quel liceo “M. Morelli” di Vibo Valentia, al che lo stesso prof. Ha avuto parole di apprezzamento per il nostro liceo classico vibonese. Lui pensava che provenissi da uno degli storici licei classici romani.

Congratulazioni al nostro liceo “Morelli” e per questo sento il dovere di ringraziare, pubblicamente  tutti i miei professori.

Sono fiera di aver fatto parte di questo liceo. Chi non ricorda, per esempio, Luigi Bruzzano, padre dell’etnologia; o il poeta Carlo Massinnissa Presterà; per arrivare al grecista latinista Carlo Diano e per restare ai nostri giorni a Giacinto Namia? Tutte personalità illustri che hanno fatto parte del Morelli.

 

Oggi purtroppo la scuola vive un momento particolarmente delicato. Infatti le ultime statistiche dell’Istat sul livello culturale del paese spiegano in maniera incontrovertibile quali sono alcuni veri problemi degli italiani.

Secondo questi dati (l’Italia è in fondo alla classifica dei ventisette Paesi europei per scolarizzazione, rendimento scolastico, investimenti nella pubblica istruzione, consumi culturali delle famiglie, conoscenza delle lingue straniere, ma anche della lingua italiana). Siamo primi per abbandono scolastico, ore trascorse davanti alla televisione e acquisti di telefonini ( Calabria in testa). Altre ricerche provano che il 60% degli italiani non è in grado di leggere e capire un articolo breve ( Calabria in testa) e che gli insegnanti italiani  vogliono cambiare mestiere, sognano di scappare dalla scuola. A rivelarlo è una ricerca di pochi mesi fa condotta dall’Osservatorio sui diritti dei minori.

Questi dati certificano che il sistema scolastico italiano è fallimentare. Vogliamo discutere di chi sia la colpa, se dei pessimi ministri, degli insegnanti o degli studenti,della famiglia, dei sindacati, dei comuni, dei dirigenti scolastici?  Noi siamo controcorrente . Cerchiamo di spiegare perché.

Quello di cui non ha bisogno sono le parole, parole, le tante parole; intanto il bullismo nella scuola spadroneggia ed il vuoto di potere è oramai una voragine.

Le cronache quotidiane sono vere e amare.

Si è voluta una scuola c.d. “ progressista”, avanzata, aperta tanto da fargli perdere i veri connotati: il sostantivo sacrificato agli aggettivi.

Occorrono invece selezione,  indirizzo, valutazioni serie, meritocrazia.

Il tema che apre l’inaugurazione dell’anno scolastico, mi da la possibilità di poter portare qualcosa di  personale, di vissuto prima sui  banchi di questo antico liceo e poi alla “Sapienza” di Roma che è stato determinante: ossia in  concreto il  valore formativo dello studio delle lettere  classiche.

La cosa va sottolineata, perché nella considerazione comune e nelle menti di molti giovani, soprattutto, che si iscrivono al classico, gli studi umanistici passano per essere una simpatica vacanza dalla vita, una vacanza da riempire con i romanzi o i quadri o i film che ci piacciono, e soprattutto con le nostre personali opinioni su tutte queste meraviglie dell’arte, in genere.

Non è così.

L’opportunità che si ha di comprendere, attraverso questi ritratti, in cosa possa consistere il lavoro di un umanista, per esempio. Per realizzare studi del genere occorre un lungo apprendistato, non diverso per natura da quello che è necessario nelle scienze “dure”, un apprendistato che passa attraverso le lingue classiche e la storia o le discipline tecniche come la linguistica ecc.

Ecco, con ciò non si vuole trattare solo l’aspetto informativo e culturale ma soprattutto quello formativo e innovativo: CLASSICI SI MA ANCHE INNOVATIVI.

Il potenziamento della mia personalità, infatti, si è costruito attraverso lo studio, in particolare il latino,il greco, la letteratura ecc…

Sull’inserto del Sole 24 ore di Domenica scorsa, Claudio Giunta si propone di Ripensare l’umanesimo e si chiede se sia il caso di avere meno specialisti e puntare ad avere una cultura più diffusa? Che aspettative dare?

Il dibattito in corso sul ruolo del sapere umanistico oggi deve saper rispondere a delle domande: cosa dobbiamo volere e cosa no. Di sicuro dobbiamo volere l’incremento della cultura diffusa, volgiamo che le persone leggano più libri, e libri migliori, che vedano film decenti, che si interessino al  lavoro scientifico che sta dietro al microcip dei nostri cellulari.

Quindi puntare soprattutto nel settore dell’istruzione e non solo genericamente cultura, perché migliorando l’istruzione di base, è possibile formare cittadini migliori che all’idea di cultura rimangono affezionati anche una volta usciti dalla scuola secondaria. Buona cultura e una coscienza civica diffusa.

Insistiamo  su queste cose, perché solo così la Calabria può migliorare. Ripartendo dai saperi.

E qui l’importanza degli studi classici che sviluppano nello studente l’ambito della riflessione

è lo sviluppo del raziocinio, della capacità logica e dialogica nel senso che si procura con lo studio del latino e del greco come acquisizione di notizie tecniche e particolari ed ancora come assimilazione di concetti e di idee e come coordinamento e comparazione di esse.

Impariamo a nostre spese.

Infatti nell’interpretare i testi classici possiamo trarre un importante beneficio: la precisione e l’importanza del fatto che nulla si  deve trascurare.

Ecco, per finire questo mio breve intervento penso che gli studi classici danno un beneficio totale nel senso di una  formazione di una mentalità speciale che chiamiamo per brevità “classica”.

Ogni periodo storico ha la propria e la scuola calabrese, la scuola vibonese  è lo specchio della società odierna: come una bella addormentata non si sa quando si risveglierà per scoprire le proprie risorse e capacità che non sono seconde a nessuno in Italia.

Non parlo qui per campanilismo, il Petrarca mi viene incontro:  “Dico per ver dir, non per odio altrui o per disprezzo”.

Per questo si può dire che il Liceo, il Liceo classico per quanto mi riguarda non è passato invano!

Siamo convinti che l’attuale dirigente scolastico l’ing. Raffaele Suppa lascerà un’impronta positiva al nostro liceo.

Un augurio a tutti gli studenti e un buon compleanno all’antico e glorioso “Michele Morelli” per il IV secolo di vita.

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Un mondo senza immaginazione: la fine delle illusioni

di Maria Elisabetta Curtosi

Cosa significa per centinaia di migliaia di persone essere allontanate a forza dal proprio paese d’origine, obbligate a migrare verso città e paesi lontani, abitati già da troppi uomini e donne che non li aspettano e non li accolgono certo bene? Cosa significa perdere tutti i propri seppur modesti beni, la propria casa e non avere nulla in cambio?

Si domanda Arundhati Roy, l’autrice dello splendido romanzo Il dio delle piccole cose. Si è laureata alla Delhi School of Architecture e vive a Nuova Delhi. È stata assistente al National Institute of Urban Affairs e ha studiato Restauro dei monumenti a Firenze. Ha scritto, tra l’altro, alcune sceneggiature. Il dio delle piccole cose, suo romanzo d’esordio, è stato un best seller in tutto il mondo.

 

La tragedia che si cela dietro questo fenomeno non è facile da  immaginare. Eppure “ E’ il governo indiano che organizza queste migrazioni di massa, per costruire dighe sempre più grandi, sempre più forti e sempre più economicamente utili ”. Una triste e drammatica realtà e la scrittrice ha scelto di non tacere , ma quali saranno i vantaggi? il progresso, il bene comune, l’interesse del paese? La Roy risponde no.

La scrittrice indica anche alcuni responsabili dello scempio, ad esempio la Banca Mondiale, alcuni Consulenti Internazionali per l’Ambiente, politici, burocrati e imprese costruttrici. Uno scenario che si ripete in molti altri paesi del Terzo Mondo, mentre il Primo Mondo si rifiuta ormai da tempo di costruire Grandi Dighe “che riducono la terra a un deserto, provocano inondazioni, saturazione e salinizzazione del terreno, e diffusione di malattie… non sono nemmeno riuscite a svolgere il ruolo di monumento alla Civiltà Moderna, di emblema del dominio dell’Uomo sulla Natura”.

Non si può parlare di “sviluppo costruttivo”, ma unicamente di “sviluppo distruttivo”. Un esempio di fallimento per tutti: la diga di Bargi, vicino a Jabalpur, che irriga solo il 5 per cento della terra che i progettisti avevano previsto.

<< Sono cresciuta in un villaggio e ho sperimentato sulla mia pelle l’isolamento, l’iniquità e la potenziale barbarie di questa vita. Non sono una fanatica antiprogresso, e nemmeno cerco di far proseliti a favore del mantenimento perenne di costumi e tradizioni. Ma sono molto curiosa. E la mia curiosità si è ridestata a proposito della valle della Narmada. L’istinto mi diceva che qui c’era qualcosa di grosso >>

Infatti, questo territorio è in pericolo per la costruzione di una diga del Sardar Sarovar, e da dieci anni c’è in corso una battaglia in India molto importante che sfociò in un problema polito e sociale cioè di democrazia. A chi appartiene questo territorio? E’ dei tribunali o dell’esercito o meglio dell’apparato burocratico?

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I grandi giornalisti dell’antichità

di Maria Elisabetta Curtosi

La storia del giornalismo moderno dev’essere datata a cominciare dal diciassettesimo secolo, quando la tecnologia permise la riproduzione, e quindi la pubblicazione, inmolte copie e in breve tempo di uno scritto, esiste un’altra vicenda molto più antica che fa parte dell’avventura umana della conoscenza e della comunicazione. Benetto Croce, nel saggio “Il Giornalismo e la storia della letteratura” ha ricordato che << parecchi scritti, che ora ammiriamo come classici e facciamo studiare nelle scuole, furono nient’altro che giornalismo dei tempi andati: le orazioni di Demostene, di Eschine, di Cicerone o i pamphlets del Courier e le lettere della Sevignè e del Galiani>>. Se invece facciamo riferimento a tempi dell’antica Grecia quando Senofonte nel suo scritto ” l’Anabasi”  raccontava la sfortunata spedizioni di Ciro in Mesopotamia, possiamo affermare con certezza che fu il precursore dei nostri attuali inviati di guerra.Inoltre dobbiamo ricordare Plinio il Giovane, grazia al quale ancora ricordiamo la tragedia di Pompei dove morì lo zio Plino il Vecchio ed infine Tacito considerato da molti l’inventore del più puro linguaggio giornalistico, cioè preciso con pochi aggettivi, crudo. In tutti i grandi giornalisti dell’antichità esiste un comunde denominatore, presente pure nei moderni, l’agiografia, che è poi madre della censura, a dimostrazione che il rapporto giornalismo-potere è stretto anche se teoricamente inconciliabile non tanto con la verità dei fatti, che è un valore così poco consistente, quanto con l’obiettività.

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Il viaggio dell’anima

di Maria Elisabetta Curtosi

Il canto di amore e morte dell’alfiere Christoph.

Rainer Maria Rilke,

Scritto nel 1899, comparve per la prima vota solo nel 1906 ma subito godette di una grande fama in tutta l’ Europa, riscuotendo un gran successo  travolgente tanto da vendere cinquemila copie solo nelle prime tre settimane. Nella sua storia, Rilke vi rielabora il mito a lui caro di una propria origine aristocratica, vi racconta , infatti, la vicenda tragica di un giovane alfiere Christoph, che muore nel tumulto della battaglia dopo aver provato per la prima volta le “gioie dell’amore”.

L’opera fu considerata “impressionista”, “tutta costruita per vividi frammenti, in un susseguirsi di quadri più poetici che narrativi”.

Già sono presenti alcuni dei grandi temi della sua poetica: il rimpianto nostalgico per l’infanzia e per la figura materna, il viaggio come ritorno, per ritrovare le proprie radici.

Infatti nato a Praga nel 1875, dopo un’infanzia infelice e un’adolescenza drammatica trascorsa in una accademia militare Rainer Maria Rilke iniziò a viaggiare per tutta l’Europa; Monaco, Berlino, in Italia, in Russia dove si recò con l’amica Lou Andreas-Salomè, la seduttrice più intellettuale dell’epoca che fu soprattutto un “allumeuse”, pronta a suscitare ammirazioni incontrollate che non aveva intenzione di soddisfare; e a Parigi dove strinse un importante sodalizio con Auguste Rodin. Ospite di amici, negli anni del primo dopoguerra soggiornò in Svizzera fino alla morte avvenuta nel 1926. Conosciuto come il maggior poeta tedesco e interprete lirico della spiritualità dell’età moderna la sua poesia si muove tra le filosofie i Schopenhauer e soprattutto Nietzsche.

L’esordio di Rilke è l’esordio di un gesto che costituirà la questione centrale della sua poesia: esteriorizzazione dell’interiorità ed interiorizzazione dell’esterno.

“Poeta di atmosfere intime e di realtà sfocate al limite dell’onirismo”. Egli preferisce optare per una “scuola dello sguardo”: «E perciò mi dedicherò a guardare meglio, a osservare, con più pazienza, con più dedizione» . Il poeta scorgeva nella prima scuola di impressionismo tedesco la precisa volontà di ignorare qualsiasi concezione romantica della natura nonché l’impegno a disertare le aule accademiche e gli atelier per immergersi completamente nel lavoro all’aperto, «en plein air» .

Nei momenti di autentico confronto con il “fenomeno visivo” egli avverte un’equivalenza tra il mondo interiore e quello esteriore, tra la dimensione dell’apparenza sensibile e quella dell’essenza o del significato.  Il poeta trova riparo nel mondo d’infinite gradazioni e sfumature (nel colore, nel movimento, nella luce) delle arti figurative. Qui Rilke cerca soprattutto nuovi modi di espressione, non ancora utilizzati nel campo della letteratura, e in grado di superare la “povertà di articolazione del linguaggio concettuale e astratto”.

Infatti negli anni dell’intenso rapporto con la pittura e la scultura del simbolismo, dell’impressionismo e del post-impressionismo europei, impara differenti lingue del visuale e in un articolo del 1898, l’autore opta definitivamente per una scrittura poetica, ritenuta la sola forma capace di cogliere spontaneamente, a livello intuitivo, gli stati d’animo umani.

Rilke rappresenta nei Quaderni il conflitto fra partenza e ritorno, distacco e ricongiunzione. Normalmente, si pensa ai Sonetti o alle Elegie come a un genere di discorso poetico dove l’autore è riuscito a esprimere delle verità sulla vita e sul linguaggio. Talvolta, si ha l’impressione che la conoscenza linguistica prevalga su quella esistenziale, producendo delle metafore o dei simboli della poesia.

Inoltre proprio le “Elegie di Duino” completano la ricerca rilkiana di uno sguardo “nuovo” che superi la mera apparenza e la caducità delle cose, per giungere al “lavoro di conversione continua dell’ amato visibile e tangibile nell’ invisibile vibrazione e agitazione della nostra natura”, alla ricerca dell’ essenza delle cose, di una loro profonda comprensione, che si trasfonda in parola, verso, canto.

Rilke, il cantore dell’ “aperto” (das Offene), il poeta dell’indicibile, scrive: “Visione e mondo esterno coincidevano dovunque come se fossero nell’ oggetto; in ciascuno di essi si manifestava tutto un mondo interiore, come se un angelo cieco e abbracciante lo spazio scrutasse in se stesso. Questo mondo, visto non più con gli occhi degli uomini, rappresenta forse il mio vero compito”.

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L’oro nero

di Maria Elisabetta Curtosi

<<L’effendi è quel signore che consuma, abitualmente, una tazza di petrolio alle cinque del pomeriggio >> trent’anni fa Rino Gaetano affermava ciò.

I tempi sono oramai maturi, ho perfino sentito: “d’ ora in avanti per far benzina dovrai chiedere un mutuo alla banca”, e credo non sia poi tanto sicuro che lo concedano, visto che nemmeno loro se la passano così bene.

Il prezzo di questo prodotto distillato è salito alle stelle, in Italia soprattutto, e noi però siamo arrivati alle stalle, con quel che ci costa.

Purtroppo conviviamo con “La Crisi”, oltre che economica magari presto risolta con una manovra del governo, la definirei pscicologica; poiché noi italiani finiamo per abituarci alle cose.

Come diceva Leopardi nello Zibaldone: <<  I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto>>.

Resta il fatto che il petrolio è il motore dell’economia mondiale utile a riempire le tasche di pochi, assoggetta popoli interi, crea guerre e povertà, fame e violenza.

La forza di cambiamento deve nascere nella coscienza collettiva di tutti noi, se questa dovesse venir meno a causa delle leggi bavaglio, ad esempio, i diritti dell’uomo sarebbero messi in serio pericolo.

Concludo con un testo ad hoc del grande cantautore crotonese, Rino Gaetano, una delle voci più nuove e originali della musica italiana degli anni ’70, estroverso ed ironico nei suoi testi che  apparivano surreali, con un nonsene come sfondo. Scrisse questa canzone, si dice, prendendo ispirazione dal fatto che lui, andava in giro nelle vie di Roma  con il maggiolino  di Antonello Venditti e con qualche altro amico a turno pagavano la benzina, anche se questo fu una sorta di incipit per parlare poi di affari finanziari e sociali legati all’uso del petrolio.

 

“Essence benzina e gasolina
soltanto un litro e in cambio ti do Cristina
se vuoi la chiudo pure in monastero
ma dammi un litro di oro nero…

Ti sei fatto il palazzo sul Jumbo
noi invece corriamo sempre appresso all’ambo
ambo terno tombola e cinquina
Spendi spandi spandi spendi effendi
spendi spandi spandi spendi effendi

se vinco mi danno un litro di benzina..

 

[…] pace prosperità e lunga vita al sultano”.

Inoltre ricordiamoci che Rino disse “vogliono mettermi il bavaglio ma non ci riusciranno”; e disse anche che le sue canzoni sarebbero state capite un giorno, quando la gente si sarebbe domandata cosa succedeva sulla spiaggia di capocotta.
A cosa alludeva Rino?

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CANZONE DI PROTESTA

di Maria Elisabetta Curtosi

“Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede,
nei miti eterni della patria o dell’ eroe
perchè è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,
l’ ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto ”

Anche se sono cambiate molte cose da quando fu scritta questa canzone, era il 1965, rimase comunque come un punto fermo nella produzione di Guccini e di tutta la canzone d’ autore in Italia.

Fu perfino censurata dalla Rai che pensò al titolo (di carattere nietzschiano) come blasfemo e non capì il testo della canzone, evidentemente interpretato in maniera erronea.

Ma è lo stesso Guccini che chiarisce i contenuti: << E’ una canzone di protesta, italiana a temi ulteriori rispetto a quello del pacifismo, e più precisamente veicola un’opposizione radicale all’autoritarismo, all’arrivismo, al carrierismo, al conformismo >>.

Alla fine la speranza di un futuro migliore rimane, e a questa speranza ci aggrappiamo anche noi giovani, sebbene le possibilità di trovare un lavoro stabile siano poche e incerte, dobbiamo rimanere nella nostra terra, nella nostra patria del sé;  e credere di migliolarla con i saperi e la cultura perché è necessaria una nuova rinascita spirituale e morale contro il consumismo, il falso moralismo e l’imperante ipocrisia.

Così  conclude:

“ Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perchè noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto.”

<< Una  spallata “pre-sessantottoesca”, tutto sommato, perché sentivamo che tante cose dovevano essere cambiate>>   in questo modo definì il brano il  Guccini poeta.

 

 

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