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Intervista a Valerio Federico. “Critico” con le scelte della “squadra” legata a Marco Pannella, è un manager di origini calabresi il nuovo tesoriere di Radicali italiani

Amnistia, riforma della giustizia penale e civile, edificazione di uno Stato di diritto vero, solido, restano l’urgenza radicale. Ma anche bilanci consolidati per l’intera galassia e “rivoluzione” nell’uso della rete

La Calabria? Chi ha guidato la Regione non ha mai ritenuto di dargli la dignità che meritava

di Giuseppe Candido

 

Valerio Federico, Piazza Duomo, 10 aprile 2011
Valerio Federico, è il nuovo tesoriere di Radicali italiani

Il XII congresso dei Radicali a Chianciano si è chiuso senza neanche un intervento di Marco Pannella che, invece paradossalmente, si è “limitato” a dire la sua facendo addirittura una conferenza stampa a margine del congresso stesso e proprio nell’atrio dell’Excelsior che ne ospitava i lavori. Per il leader radicale il segretario e il tesoriere uscenti, nelle loro relazioni presentate al congresso, hanno la colpa grave di non aver relazionato di nulla. Un “vuoto politico”, perché per Pannella non c’è stata “nessuna relazione politica in quella udita dal Segretario”, ormai ex, Mario Staderini che è tornato al suo lavoro di avvocato. Ma adesso si punta sul nuovo. Anche se per conoscere la composizione del prossimo Comitato nazionale, il parlamentino del partito radicale, si è dovuto attendere sino a martedì a causa dell’effetto del nuovo sistema elettorale, una cosa è stata certa da subito. La nuova segretaria eletta con 117 voti di 196 votanti in congresso è Rita Bernardini, già segretaria dei Radicali sino al 2008, Deputata durante la precedente legislatura dal 2008 al 2013 e fortemente impegnata per la battaglia nonviolenta di Marco Pannella per l’amnistia e la giustizia. La sua elezione rappresenta infatti l’intento fermo di proseguire sulla battaglia della giustizia giusta. Il nuovo tesoriere, invece, meno conosciuto sul piano nazionale, si chiama Valerio Federico.

Manager nel settore del No Profit e membro uscente della Direzione Nazionale di Radicali Italiani dal 2011, Federico è di Milano ma ha origini calabresi (il papà era infatti natio di Reggio Calabria) ostinatamente vantate in ogni occasione. In seno al congresso, Valerio può essere considerato, come lui stesso sottolinea, espressione di quella parte, poi rivelatasi maggioritaria in seno al congresso, che si è espressa criticamente in ordine delle recenti scelte di Pannella di criticare fortemente la segreteria e il tesoriere uscenti. Consigliere di Zona, nella Zona 6 del comune di Milano, e capogruppo per il Gruppo Radicale Federalista Europeo dal 27 settembre 2012, Valerio è stato eletto lo scorso 3 novembre 2013 dal XII congresso tenutosi a Chianciano con 153 preferenze su 196 votanti. Quando dalla Calabria gli abbiamo domandato con un sms la disponibilità per un’intervista la risposata è stata: “Sto impazzendo dalle cose che mi ritrovo, ma mi farebbe piacere”. Membro dal 2003 al 2011 del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni dal 2005 al 2011, dal 2005 al 2009, Valerio è stato Segretario della storica associazione di Radicali Milano, “Enzo Tortora”, con la quale, tra l’altro, è stato autore di numerose battaglie politiche come quella per l’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati in seno al Comune di Milano. Anche Valerio, come Rita, conta quindi su una lunga esperienza politica nel Partito Radicale e ha scritto, proprio in riferimento alle battaglie politiche dei radicali, numerosi dossier.

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Valerio Federico durante una manifestazione a Milano, sul caso di Eluana Englaro

La prima che gli rivolgiamo è una domanda “secca”: Che significa, oggi, essere Radicali?

Rispetto al conformismo italiano, di destra e di sinistra, significa essere “altro”. E questo è una caratteristica unica che hanno i Radicali, in questa fase particolarmente delicata del Paese.

A differenza di “altri” Radicali, Valerio ha il dono della sintesi che usa anche quando non servirebbe. Altro? In che senso?

Altro”, perché noi Radicali non ci siamo mai uniformati alle dinamiche di potere italiane, sia che queste partano dal centrodestra o dal centrosinistra. Noi siamo “altro”, perché abbiamo un’analisi (della situazione politica, ndr) che non ha nessuno nel Paese, che è quella del “regime”. Un sistema sostanzialmente illegale, quello italiano, dove lo Stato di diritto non è stato edificato a favore dei cittadini e dove il Diritto non è effettivo. Un Paese dove i diritti che le leggi stesse prevedono non possono essere garantiti ai suoi cittadini.

Lo Stato di diritto è una cosa che serve soprattutto ai più umili, ha detto Emma Bonino. Amnistia, giustizia, diritti e libertà economiche ma anche maggiore trasparenza interna al partito e, addirittura, un bilancio consolidato dell’intera area radicale tra le tue proposte al congresso. Allora, Valerio, da dove si riparte?

Intanto, noi chiediamo al Paese e proviamo a far cambiare il Paese da tanti anni, e certo non rinunciamo a riformare noi stessi e a riformare la nostra “area”, tenendo conto dei mezzi nuovi che la tecnologia da’ a disposizione. E quindi il mio obiettivo è anche quello di una piccola “rivoluzione di rete” di Radicali italiani. Un adeguamento del movimento ai nuovi strumenti tecnologici a disposizione e, la mia richiesta è anche quella che, l’area Radicale, così peculiare nell’ambito dei partiti italiani, questa così detta “galassia” formata da più movimenti tutti costituenti il Partito Radicale Nonviolento Trasnazionale e Transpartito, si doti di un bilancio consolidato. Cioè, di quanto noi abbiamo richiesto e ottenuto dal Governo Monti per i Comuni italiani, alle singole regioni e, naturalmente, ci adopereremo per adottare il bilancio consolidato anche per l’area Radicale. Il bilancio consolidato, infatti, non è altro che la possibilità di avere un quadro reale della situazione economica-finanziaria di un Comune, di una Regione. Perché in Italia, questo, adesso non è disponibile? Perché i Comuni italiani e le Regioni italiane si dotano di un bilancio “normale” e questi non comprendono la situazione economica delle varie società controllate o partecipate. E quindi, uno che va a vedere la situazione di un bilancio di una Regione o di un Comune, non essendo in grado di comprendere qual’è la reale situazione economica-finanziaria, perché i bilanci delle società partecipate non sono comprese pur essendo parte integrante del bilancio. Per quanto riguarda l’area Radicale, si tratta di avere un quadro generale di tutti i soggetti che la compongono e chiarezza anche nei flussi finanziari tra un soggetto e l’altro, in modo da avere un quadro generale da mettere a disposizione dei militanti radicali per comprendere la situazione economica.

Perfetto. Della serie: “Siamo noi il cambiamento che vorremo vedere nel mondo”. Un piccolo movimento, i Radicali italiani, che però è stato significativo per la storia di questo Paese. Battaglie come il divorzio, l’aborto, l’obiezione di coscienza. E fatto di nomi come Enzo Tortora, Leonardo Sciascia e Domenico Modugno tra i Radicali storici più noti. Che è effetto fa avere responsabilità diretta, di rilievo nazionale, nel Partito di Emma Bonino e Marco Pannella?

In linea di massima, se ci penso, l’idea (che mi viene, ndr) è quella di rinunciare subito. E ti chiedo di non farmici pensare. È una responsabilità evidentemente e assolutamente troppo grande. Naturalmente va precisato che i Radicali italiani è un soggetto politico, forse il più conosciuto, dell’area Radicale, le battaglie di cui tu fai riferimento sono dell’intera area e quindi del Partito Radicale storico. Detto questo, è del tutto evidente che è meglio pensare all’attualità e non ai contributi che questo partito ha avuto nella sua storia, per provare e per tentare di sentirsi adeguati.

Quali le iniziative più urgenti e le battaglie per il prossimo futuro, per Radicali italiani?

Da una parte, noi non molliamo rispetto a quello che è l’urgenza di Radicali italiani, che è l’urgenza anche di Marco Pannella e della nuova segretaria, Rita Bernardini, ed è l’urgenza di tutti noi. Cioè quella di ottenere un provvedimento di amnistia come passaggio indispensabile, irrinunciabile, per la riforma della giustizia penale e, in secondo luogo per effetti indiretti, della giustizia civile di questo Paese. Avendo noi identificato l’illegalità di questo Paese patente, dimostrata continuamente dai Radicali, e a discapito dei cittadini, naturalmente noi non possiamo che porci l’obiettivo di riformare le regole affinché i cittadini abbiano diritti che possano fruire. Non solo diritti affermati sulla Carta (Costituzionale, ndr). Amnistia, riforma della giustizia penale e civile, edificazione di uno Stato di diritto vero, solido, è e resta l’urgenza radicale. Naturalmente, la mia presenza negli organi dirigenti è anche finalizzata a porre altre questioni assolutamente prioritarie. Ed è su queste che mi adopererò principalmente e che sono legate sia a una riforma di Radicali italiani per rafforzare gli strumenti di rete, come ho già accennato; quello di riportare al centro dell’attenzione radicale anche l’economia e le iniziative, diciamo così, “economiche ed ecologiche” nello stesso tempo. Riprendere con forza quella lotta al “capitalismo inquinato”, al capitalismo dei favori, che è il capitalismo italiano e che è il capitalismo che porta l’Italia ad avere una crisi al di fuori e diversa dalla crisi internazionale e dalla crisi europea. L’Italia non cresce per una sua peculiare caratteristica che è diversa da quelle che sono le ragioni base della crisi internazionale ed europea. L’Italia deve risolvere i suoi problemi specifici che l’hanno portata a crescere meno di qualunque altro Paese dell’Unione Europea. Quindi, queste sono anche le priorità che io tenterò di riportare all’attenzione del partito; e chiudo, anche, quello che è il fenomeno che chiamerei dei “regimi locali”. Una sorta di capitalismo inquinato locale. L’Italia è l’Italia dei campanili, un Paese fatto cioè da Comuni e Regioni che hanno istituito piccoli “sotto regimi” fatto di sistemi clientelari di società partecipate, con il beneplacito delle fondazioni bancarie dove i partiti continuano, magari anche in forme diverse, a mantenere il controllo di attività economiche togliendole al mercato e provocando sprechi, perditi e debiti a danno dei cittadini.

Quel sistema che Sergio Rizzo chiama dei “rapaci”. Essere Radicali a Milano è molto diverso dall’esserlo in una regione come la Calabria. Ai Radicali calabresi cosa consigli?

Certamente i problemi sono di natura diversa. Ai Radicali calabresi io non posso che consigliare di andare al centro dei problemi del meridione d’Italia. Anche lì, è vero, c’è un problema di legalità. Ma certamente i fattori che portano l’illegalità ben più grave che c’è nel meridione rispetto a quella del settentrione, hanno caratteristiche diverse. Anche se non completamente. E quindi c’è bisogno, sicuramente, di una “rivoluzione culturale” ben più forte e approfondita. Soprattutto, dobbiamo anche dire che le risorse straordinarie che la Calabria ha, sono di natura diversa da quelle della Lombardia. Devo dire che chi ha guidato la Calabria non ha mai ritenuto di dargli la dignità che merita puntando sulla forza della Calabria, delle sue persone e dei suoi paesaggi, delle aree del suo patrimonio artistico, e di tutto quello che la Calabria ha e che, evidentemente, una serie di interessi convergenti ritiene di non dover valorizzare per lasciare la Calabria in mano ai soliti noti che continuano a riuscire a schiacciare le qualità, le propensioni dei calabresi che potrebbero puntare verso uno sviluppo diverso. Uno sviluppo calabrese, uno sviluppo specifico che la Calabria potrebbe dare all’Italia e che continua a non poter dare.

 

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Radicali a congresso. Bonino: “Chi ha bisogno dello Stato di Diritto sono sempre i più deboli. I potenti dello stato di diritto possono anche farne a meno”.

Emma Bonino, a differenza di Marco Pannella che addirittura ha fatto una conferenza stampa per dirlo pubblicamente, non è in polemica con la dirigenza radicele uscente. Il Ministro degli esteri, al XII congresso comincia il suo discorso ricordando le battaglie in Kosovo, e il fatto che lì oggi, proprio il 3 novembre di 20 dopo, si voti: ricorda le battaglie del 1993, del 1999 e del 2005. “Promuovere democrazia e diritti umani” – ricorda Emma Bonino ai suoi compagni – “è un processo lungo e difficoltoso”. Questa cosa, dice, “ci deve ricordare chi siamo, il nostro senso transnazionale”. Poi salta all’attualità. “Serve per cercare di capire i rischi che tutti corriamo nell’area del mediterraneo. La primavera è una parola inadeguata. Risveglio, è la parola che descrive ciò che sta succedendo”. Quel compito che gli è stato assegnato di dialogo con i Paesi del mondo, Emma Bonino riesce a farlo e può farlo perché – dice – “La scuola che ho vissuto con voi mi dà la capacità di leggere quello ciò che succede”. Poi, per Bonino c’è “La fiducia nella legge”. Nelle leggi del nostro Paese e delle leggi internazionali che, sottolinea Bonino, l’ha portata ad essere così determinata come nel caso della Siria, in cui – ricorda – “ho ribadito come per quell’area non ci fosse nessuna possibile soluzione militare. Mi si rimprovera non di non fare ma di essere invisibile. Non ho molta partecipazione alle chiacchiere da caffè dei saloni televisivi ma segnalo che ci sarei andata se mi avessero invitata. Sono virtuosa – dice – per mancanza di tentazioni”.

“Manca una politica coerente di immigrazione e asilo a livello europeo”. Per il Ministro degli Esteri, “Lampedusa è semplicemente la punta di un iceberg” costituito da “milioni di persone in movimento per sfuggire a fame, guerre, repressioni”. Ciò comporta una crescente attività di criminalità organizzate di traffici umani, e non solo umani. “Se questa è la fotografia” e “se viene meno la speranza di un processo politico” questa gente si metterà in movimento. Questi sono problemi che non sono problemi dai singoli stati. È importante che ci si metta a lavorare assieme. Intanto l’operazione mare Nostrum, per evitare che il mediterraneo continui ad essere un cimitero. Per interpretare i fenomeni è necessario avere una bussola, un punto di vista è necessario per dialogare. Il dialogo. Queste cose le ho imparata dopo una lunga storia di vita nel partito radicale. E ho imparato che le riforme sono un processo lungo. E la cocciutaggine per perseguirle, io l’ho imparate qui. Attività faticosa di dialogo e perseveranza, per i detenuti nelle carceri straniere, per i marò in India … ecc.

Poi nel discorso al congresso del Ministro Bonino non manca il passaggio sulla necessaria e urgente riforma della Giustizia. “Con l’alibi di Berlusconi”, dice, “l’amministrazione della giustizia, il suo apparato, si è completamente putrefatto. Da qui la posizione di Marco (Pannella ndr) e da noi tutti condivisa, dell’amnistia per la Repubblica, per far tornare lo Stato nella legalità e la relativa lista Amnistia, Giustizia Libertà”.

“Chi ha bisogno dello Stato di Diritto” – ricorda la Bonino – “sono sempre i più deboli: le donne, immigrati, tossicodipendenti. I potenti dello stato di diritto possono anche farne a meno. Promuovere lo stato di diritto è la nostra ragion d’essere. Questa ragione sociale si rafforza se guardiamo quello che sta succedendo e sempre più deteriora questo Paese. Abbiamo ancora voglia di continuare a fare queste battaglie? Se vogliamo essere speranza, questa speranza deve nascere da qui”.

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Storie nascoste

di Maria Elisabetta Curtosi

Una volta all’anno, con tanta malinconia rammentiamo l’esistenza dei lager, i campi di concentramento tedeschi che tutti conosciamo. L’immagine di tale realtà è annebbiata, remota, immergendoci nella convinzione che quegli avvenimenti inumani siano indiscutibilmente conclusi e irripetibili. Ricordo che un mio professore, durante una lezione, mi spiegò che il nazismo è una bestia e che non è sola, perché “nazismo e comunismo sono due facce della stessa medaglia”. Infatti in oriente, precisamente in Cina, vediamo che ciò che un tempo si chiamava lager in Germania e gulag in Russia, oggi, in Cina, si chiama laogai.I laogai vennero istituiti da Mao un anno dopo la rivoluzione comunista, aveva seguito le impronte di Lenin che aveva aperto i gulag nel 1948 nell’URSS. I laogai vengono intesi come luoghi dove ci si riforma attraverso il lavoro, così dall’esterno tutto appare come soluzione giusta ed equa ai problemi sociali. Ma in verità i  laogai ha tutt’altro significato: significa lavoro forzato; diciotto ore di lavoro al giorno e centoventisei a settimana; significa patire la fame, diventare scheletri viventi, abbandonare la propria famiglia e la vita normale. Il tuo smartphone, i tuoi vestiti, il tuo mouse, tutto ciò che ti circonda potrebbe provenire da un laogai poiché commerciare i prodotti fabbricati in questi campi di lavoro è legale. Numerose multinazionali cinesi trovano conveniente vendere le mercanzie dei laogai: dato che la manodopera è gratuita e i profitti sono alti, riescono eccellentemente a esportare tali prodotti nascondendo la reale provenienza – che sarebbe teoricamente illecita – usando il secondo nome del laogai, che è sempre quello di un’impresa commerciale. Per le imprese cinesi il termine laogai significa profitto. Purtroppo sono certa che non saremo noi a chiudere i battenti dei laogai e quindi dare la possibilità al popolo cinese diesprimere la loro democratica esigenza di capovolgere il sistema. Ma mi è sufficiente pensare che oggi si parla di questa cruda realtà, quando ieri la disinformazione la celava. Il sogno di Harry Wu  – che è stato prigioniero nei laogai per diciannove anni – è quello di riuscire a inserire il termine laogai nei dizionari di tutte le lingue. Io mi auguro, invece, che quel termine possa andare oltre ed entrare nella vita di ognuno di noi, di modo che il mondo smetta di parlare di baggianate e di tacere sulle cose importanti. Liu Xiaobo , che ha ricevuto un premio Nobel per la pace, scrisse: “l’uomo ha l’intelletto, per questo si crede superiore agli animali e ritiene di poter dominare su tutte le cose del mondo. […] le infinite regole, leggi, norme, dogmi e teoremi stabilite dalla ragione costringono in maniera evidente l’esistenza a un appiattimento dottrinale, facendo sì che l’uomo sia così limitato dalle sue stesse creazioni da non riuscire nemmeno a muovere un passo”.

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Incoerente e menzognero. Il Sindaco di Firenze e l’Icam, l’istituto di custodia attenuata per donne detenute madri, che a Firenze ancora non c’è

Non soltanto giravolte.  Da Lucia Annunziata aveva detto che a Firenze c’era il primo Istituto di custodia attenuata per madri detenute d’Italia. Falso, per il DAP quello di Firenze non è ancora in funzione e il primo è stato quello di Milano. Poi Venezia.

 di Giuseppe Candido

Che Matteo Renzi non sia campione di coerenza l’ha evidenziato Libero che, ieri 15 e oggi 16 ottobre 2013, ha mostrato ai suoi lettori come, soltanto 10 mesi fa, il Sindaco di Firenze, oggi in corsa per la segreteria del PD, fosse “pro amnistia”. E adesso lo sa tutto il web.

La giravolta manettara, come la chiamano Marco Gorra e Luciano Capone sul quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, è evidente.

Renzi passa dall’appoggio alla “nobile battaglia” di Pannella per l’amnistia già manifestato nel 2005, in occasione della marcia di Natale cui pure il Presidente Napolitano allora partecipò, e ribadito fin nel 2012 sui social network e con la sottoscrizione di un appello, assieme ad altri dirigenti del PD, “affinché Pannella cessasse il suo sciopero della fame” dicendosi “sostenitore” della sua battaglia, alle parole dette contro l’amnistia l’altro giorno, dopo il messaggio del Presidente alle Camere, durante il suo tour elettorale e ribadite, nei concetti essenziali, durante la trasmissione “in 1/2 ora” di Lucia Annunziata. L’amnistia, che per Renzi “è poco seria”, sarebbe oggi diventata persino anti educativa per le giovani generazioni.

Ma oltre alle giravolte di cui la politica è piena, c’è un’altro aspetto del sindaco di Firenze che dovrebbe far riflettere i democratici che andranno a votare per eleggere il nuovo segretario il prossimo 8 dicembre. Pur di avere qualche elettore democratico in più dalla sua parte, Renzi si rivolge direttamente allo stomaco quando serve dicendo d’esser contro l’amnistia, ma poi dimostra di aver “un cuore grande così” vantandosi, in diretta dall’Annunziata, di aver realizzato, da sindaco a Firenze, il primo istituto in Italia di custodia attenuata per le madri detenute. “Noi siamo i primi in Italia ad aver realizzato un ICAM, un’istituto di custodia attenuata per madri”. Peccato che non sia il primo e non sia ancora neanche in funzione. Andatevelo a riascoltare. Dove? Su Radio Radicale, ovviamente .it per riascoltare. Durante la trasmissione di Radio Carcere del 15 ottobre, il conduttore storico Riccardo Arena assieme a Rita Bernardini rendono palese la menzogna detta dal sindaco di Firenze in diretta alla trasmissione di Lucia Annunziata. Per farlo, la già Deputata, On.le Rita Bernardini e Riccardo Arena sono andati a scomodare nientemeno che il Dott. Luigi Pagano, vicario capo del DAP, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il quale, sollecitato dal cronista, è lapidario. A Firenze non ci sono ancora Icam in funzione. E comunque, il primo ad entrare in funzione – ribadisce Pagano – “è stato quello di Milano, il secondo a Venezia”. Secondo Pagano, per Firenze al momento pare ci sia soltanto il progetto del comune e un finanziamento della Regione. Andatela a riascoltare la trasmissione del 15 ottobre con il dott. Luigi Pagano che, in diretta, smentisce Matteo Renzi.

Quindi non solo giravolte: prima pro amnistia con Pannella poi contro. Ma anche belle e proprie bugie per attrarre più possibile voti dalla sua. Bugie a parte, che però sono indicative, una domanda a Renzi vorrei farla; per quanto riguarda l’aspetto diseducativo verso le giovani generazioni che avrebbero un provvedimento di amnistia e indulto; da insegnante mi chiedo se sia più educativo un’amnistia fatta secondo Costituzione, oppure raccontare ai nostri giovani che l’Italia, il loro bel Paese che con l’istruzione quotidianamente li educa alla convivenza civile e alla legalità, preferisce invece derogare la sua stessa legalità costituzionale, derogare il rispetto dei diritti umani sanciti universalmente, non ottemperare ad una sentenza della CEDU e continuare a torturare, anziché rieducare, i propri cittadini che sbagliano.

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La ricerca sfrenata dei combustibili fossili

di Maria Elisabetta Curtosi

La Nasa ha pubblicato qualche tempo fa alcuni studi sul clima in cui ammette di aver sottostimato la rapidità dei cambiamenti climatici in atto. E mentre aumenta la siccità che nei prossimi anni renderà inabitabile il 30 per cento del suolo attualmente popolato, continua la corsa sfrenata all’estrazione dei combustibili fossili. Una corsa che andrebbe arrestata ora.

 

Mentre tutta la nostra attenzione è monopolizzata dagli spread e dalla crisi dell’euro, la Nasa pubblica alcuni studi sul clima in cui ammette di aver sottostimato la rapidità dei cambiamenti in atto: il pianeta si sta avvitando in una spirale di cambiamenti climatici che si accingono (nei prossimi 40/50 anni) a renderne inabitabile il 30% della superficie attualmente popolata.

La situazione italiana, per il centro sud è grave. Sopra una cartina con il deficit di precipitazioni, nello scorso mese di febbraio, rispetto alla media dello stesso periodo nei 14 anni precedenti.

Come era già stato evidenziato nel misconosciuto studio dell’ENEA del 2003 – Evoluzione del clima ed impatti dei cambiamenti climatici in Italia -, le temperature medie nel centro sud sono aumentate tra il 1865 ed il 2000 di 0,7/0,9 gradi centigradi, mentre la tendenza di crescita per le temperature estive è stimata tra 0,1° e 0,4° per ogni decennio successivo al 2000.

Il deficit di precipitazioni accertato nel periodo dal 1951-1996 è del 14%, in incremento logaritmico negli anni successivi.

Andrea Marciani  – scrive- l’epoca dei negazionisti al soldo dei petrolieri dovrebbe vedere la fine e sarebbe il caso che nessuno si azzardasse più a mettere in discussione l’origine antropica di tali mutamenti (a tal proposito consigliamo la lettura di questo studio di qualche anno fa), in parte causati dal cattivo uso delle risorse di superficie (disboscamenti, bonifiche, urbanizzazione, impermeabilizzazione del suolo e via dicendo) ma soprattutto dalla massiccia immissione di CO2 in atmosfera, per l’uso di combustibili fossili.

Combustibili fossili che l’umanità dovrebbe smettere di estrarre ora e subito, invece, anche se le rinnovabili hanno ricevuto un forte impulso negli ultimi anni, l’estrazione di queste risorse non ha subito alcun rallentamento; al contrario si fanno sondaggi in luoghi dove si sa di trovarne quantità risibili e, in un crescendo frenetico, si adottano tecniche sempre più imprudenti o distruttive, (come testimoniano il disastro della piattaforma BP nel golfo del Messico nel 2009 o le assurde estrazioni di sabbie bituminose dell’Alberta).

In un parossismo da psicosi bulimica, l’umanità consuma le sue risorse in catatonica indifferenza ai segnali di allarme che le squillano intorno. Come fanno quelle riviste patinate che incastonano un articolo sull’avanzata del deserto in Sahel, tra la pubblicità di un SUV e quella di una crociera ai Caraibi.

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Amnistia? No, chi ha sbagliato deve pagare !

di Giuseppe Candido

È questo il bisogno “ruvido” di giustizia, di cui parla oggi Massimo Adinolfi su l’Unità. Pratico, comodo da propagandare sia dalle pagine dei giornali sia nelle aule parlamentari, che si va diffondendo nel Paese ma che porta con sé la triste concezione della pena con mero fine “vendicativo” e perciò assai lontana dalla nostra Costituzione (la più bella del mondo, ma la più disattesa) e dal diritto internazionale. Non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge. Per questo motivo, lo scorso 23 settembre, Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale Nonviolento, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, forti della sentenza pilota “Torregiani e altri” che ha condannato l’Italia ed è divenuta definitiva, hanno inviato ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano ai Giudici e ai direttori delle carceri, il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali.

Dopo il messaggio di Napolitano alle Camere, Marco Pannella che dal 2005 porta avanti questa battaglia, da Potenza coi suoi compagni rilancia ancora una volta la lotta non violenta per l’amnistia con uno sciopero totale della fame e della sete.

Ma sembra invece che solo la parola “amnistia” pronunciata dal Presidente provochi, in alcune forze politiche, gli istinti giustizialisti più reconditi da morale un po’ reazionaria. Per costoro non c’è sovraffollamento delle carceri, non c’è trattamento inumano o tortura che valga quel discorso di Napolitano. Quello che stupisce non è certo la posizione da sempre forcaiola della Lega. Quello che invece stupisce è la posizione del M5S espressa prima ancora che il Presidente inviasse il messaggio alle Camere, dai deputati grillini della Commissione Giustizia e pubblicato lo scorso 2 ottobre dal Tempo col titolo “Basta malapolitica, servono galere a cinque stelle”.

Non sentendomi rappresentato dalla definizione di “malapolitica”, da ex candidato alla Camera per la lista “Amnistia Giustizia Libertà”, ma anche da simpatizzante un po’ grillino, rispondo ai deputati penta-stellati proprio con le parole che Beppe Grillo usò poco tempo addietro: “Marco Pannella” – scriveva sul suo blog nel 2011 – “si sta battendo per una causa giusta, contro le morti in carcere, ogni anno più di 150. Non ci vogliono più carceri,” – sosteneva a furor di blog – “ma meno detenuti”. E aggiungeva: “Va abolita la legge Fini-Giovanardi che criminalizza l’uso della marijuana. I reati amministrativi vanno sanzionati con gli arresti domiciliari e un lavoro di carattere sociale. Inoltre, quando questo sia possibile, gli stranieri, extracomunitari o meno, devono poter scontare la pena nel loro Paese d’origine”.

Oggi invece, quando il suo movimento è in Parlamento e potrebbe fare qualcosa per cessare subito, nei tempi che l’Europa ci impone, quella che è una situazione inumana e degradante, Beppe Grillo tuona: di amnistia non se ne deve neanche parlare. Solo perché, sostiene, potrebbe essere un regalo a Berlusconi. Ma è il Parlamento che dovrebbe decidere su quali reati concedere l’amnistia. Magari partendo proprio da quelli che si vuole depenalizzare perché non destano allarme sociale. Quello di Berlusconi però è davvero un chiodo fisso; non si vuol comprendere o si fa finta di non capire che un provvedimento di amnistia e d’indulto, così come prevede la nostra Costituzione e così come di recente ha ricordato pure il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sono gli unici in grado, da subito, di far rientrare l’Italia nell’ambito della propria legalità costituzionale e del diritto europeo. Ed evitare le pesanti condanne di risarcimento. I Deputati a 5 Stelle sostengono di aver “studiato e approfondito” bene il problema e che che si sarebbero “accorti” che questa “supposta emergenza carceri è stata provocata dalla stessa politica e dalla stessa burocrazia che la doveva risolvere”. Purtroppo però, l’ha spiegato bene anche il Presidente, la loro proposta di ristrutturazione delle patrie galere sarebbe pronta, proprio come loro stessi affermano, solo alla fine del 2015 e perciò ben oltre il tempo ultimo che l’Europa ci ha concesso per uscire dalla strutturale e sistemica violazione dell’articolo 3 della CEDU. E intanto che facciamo? Deroghiamo i diritti umani? Proseguiamo a violare la convenzione? Ce ne infischiamo della nostra Costituzione? Mentre discutiamo i detenuti intanto sono torturati, si suicidano, le violenze in carcere aumentano e aumentano pure i disagi di chi in carcere ci lavora essendo costretto, quotidianamente, a torturate i propri simili. Senza contare che chi esce da queste galere è peggiore di prima, con buona pace del fine rieducativo della pena che dovrebbe tendere al reinserimento sociale.

Lo scorso 8 gennaio l’Italia è stata condannata con una sentenza definita “pilota” dall’Europa per violazioni dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che vieta trattamenti inumani e degradanti, non occasionali ma addirittura “sistematiche e strutturali”. Il 28 maggio 2013, rigettato il ricorso dell’Italia avverso quella condanna, la stessa è divenuta definitiva. L’Italia deve adeguarsi subito entro il 28 maggio 2014 perché dopo, perdurando le condizioni attuali, anche gli altri ricorsi ora pendenti, assieme ai tanti che si potranno produrre, saranno accolti dalla Corte. Quando Marco Pannella chiede l’amnistia per la Repubblica non lo fa solo per “caritatevole compassione” verso chi quei trattamenti inumani e degradanti li subisce; sopratutto lo fa per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Casomai la compassione la si ha, dice Pannella, verso uno Stato di Diritto che smette di essere tale.

Oggi che il Presidente Napolitano, nella sua veste più alta, ha inviato alle Camere il messaggio sulle disumane condizioni delle carceri e sulla condizione della giustizia, l’ottavo reso ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione in tutta la storia repubblicana, sarebbe proprio il caso di valutarlo con molta attenzione; magari con minore enfasi elettorale, perché se è vero che elettoralmente parlando l’amnistia è poco popolare, è vero ancor di più che è dalla vita del Diritto che scaturisce il diritto alla vita. Non viceversa.

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Lampedusa e la Bossi-Fini

di Giuseppe Candido
Quella di Lampedusa dello scorso sabato 5 ottobre è forse la più grave di un lunga lista di tragedie in mare. 194 finora i corpi recuperati e 169 i dispersi in mare. Ma la lista è destinata ad allungarsi perché i superstiti dicono che sul barcone erano in 518. Il Mediterraneo pare essersi trasformato in un cimitero. Una vergogna, ha detto giustamente Papa Francesco. Dopo il giorno del pianto invocato dal Pontefice arriva anche quello della riflessione. L’8 luglio Papa Francesco era andato proprio a Lampedusa, nell’isola siciliana perché, come si leggeva nel comunicato ufficiale, “profondamente toccato dal recente naufragio di un’imbarcazione che trasportava migranti provenienti dall’Africa, ultimo di una serie di analoghe tragedie, intende pregare per coloro che hanno perso la vita in mare, visitare i superstiti e i profughi presenti, incoraggiare gli abitanti dell’isola e fare appello alla responsabilità di tutti affinché ci si prenda cura di questi fratelli e sorelle in estremo bisogno. A motivo delle particolari circostanze – proseguiva la nota – la visita si realizzerà nella forma più discreta possibile, anche riguardo alla presenza dei vescovi della regione e delle autorità civili”.
E così fu. Ma le tragedie non sono finite: uomini, donne e bambini ammassati in barconi in viaggio verso la speranza sono ancora morti tragicamente. Traditi dalla speranza di una vita meno misera. Ma il paradosso è che, per coloro che invece ce l’hanno fatta, l’accoglienza comprende oltre alle coperte termiche, il vitto e l’alloggio anche un bel processo penale per il reato di clandestinità. Un reato penale introdotto dalla Legge Bossi Fini. Una legge che oggi, dopo la tragedia, tutta la sinistra si dice pronta a modificare. Dall’On.le Boldrini, presidente della Camera, passando per il governatore della Puglia e leader di SEL, Nichi Vendola, sino a i vertici massimi del PD e al suo ministro per l’Integrazione Cecil Kyenge, tutti si dicono pronti ad abrogare in toto o in parte la legge Bossi-Fini. Ma allora perché non hanno sostenuto i referendum radicali? Perché li hanno praticamente affossati? Credono di poter far loro in parlamento, come ha detto Renzi, con il governo delle larghe intese? Non sarebbe stato corretto far esprimere, su questi temi, gli italiani? Ora, il popolo italiano che loro dicono di rispettare, su quei temi non potrà neanche esprimersi. Mentre, grazie a Silvio Berlusconi che li aveva firmati tutti e dodici e al PdL che si è attivato per la raccolta, potrà farlo sui quesiti riguardanti la “giustizia giusta” come la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, la limitazione della custodia cautelare, i magistrati fuori ruolo e persino per abolire l’ergastolo. I referendum radicali su divorzio breve, abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e alle chiese, per abolire il reato d’immigrazione clandestina e delle norme che ostacolano il lavoro regolare e per abolire il carcere per i fatti di droga di lieve entità, non potranno invece essere votati dai cittadini.
Questo fallimento però non è solo della sparuta truppa di militanti radicali che aveva ed ha solida consapevolezza delle proprie esigue forze, né solo di uno Stato sempre meno in condizioni di legalità e con agibilità democratica ridotta al lumicino in cui pure la raccolta è risultata ostacolata da numerosi fattori; quella dei 6 quesiti referendari che non hanno raggiunto il quorum delle 500.000 firme è un fallimento di tutta la sinistra, anche quella calabrese, che oggi, con belle e toccanti parole, dice di voler abrogare proprio quella legge Bossi-fini ma che in realtà non ha fatto nulla per sostenere la raccolta delle firme come invece ha fatto, per la giustizia, Berlusconi e il PdL. Papa Francesco, ricordo, andò a luglio a Lampedusa per rendere omaggio ai migranti morti nel Mediterraneo ma, sotto traccia, aveva anche lanciato un appello alla politica perché si ricordasse che queste tragedie umanitarie sono una vergogna; soprattutto quando sono aggravate da una legge che rende criminale chiunque giunga in Italia su un barcone in cerca di un futuro meno misero. Un appello che però allora non venne colto.

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Aforismi cresciuti nel nulla.

di Maria Elisabetta Curtosi

E’ necessario, in questo notro “strano” momento storico, riprendere il testo “Discorso sopra i costumi presenti degli italiani” di Giacomo Leopardi in cui collegava il nostro ridere con il nostro cinismo, col nostro spirito di sopraffazione, con la nostra assenza di “conversazione”, termine che deriva dal Settecento di cui s’è persa l’originale pregnanza semantica che non vuol dire solo scambio pacato di opinioni con rispetto dei turni ma anche socievolezza, buone maniere, saper stare al mondo.

 
<< In Italia il più del riso è sopra gli uomini e i presenti. La raillerie il persiflage [la canzonatura e la presa in giro] , cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi l’uomo di più mondo, e considerato superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile, e il più alieno dal modo di conversare. Gl’italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout [spingersi agli estremi]colle parole, più di alcun’altra nazione. Il persiflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e pe lo più del grossolano, ed una specie di polissonnerie [marachella, atto di monello], ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa.
Gl’italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di sé stessi e per conseguenza di voi >>.

Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (Giacomo Leopardi)

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Chi sono i pazzi?

di Maria Elisabetta Curtosi

Chi Sono i pazzi?

Quelli che vedono l’orrore nel cuore dei loro simili e cercano la pace a qualsiasi prezzo? O piuttosto quelli che fingono di non vedere quanto succede intorno a loro? Il mondo, Ben, è dei pazzi o degli ipocriti. non esistono altre razze sulla faccia della Terra oltre queste due. E tu devi sceglierne una.”

(C. Zafòn, Il palazzo della mezzanotte)

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Muore lo Stato di Diritto quando prevale la ragion di Stato

L’Italia non è più uno Stato di Diritto. Quando quest’affermazione l’ha fatta il Senatore Silvio Berlusconi nel suo video messaggio dello scorso 12 settembre è sembrata essere l’ennesima esagerazione, incauta, di chi ha il dente avvelenato con la Magistratura e non accetta le sentenze neanche quando queste, dopo il terzo grado, sono definitivamente passate in “giudicato”. Eppure, in quelle parole che all’apparenza possono essere considerate una grossa bugia per coprire i propri personali problemi giudiziari, nascondono una cocente verità. Se non bastassero le continue e ormai trentennali condanne dell’Europa inflitte al nostro Paese per l’eccessiva lunghezza dei processi al ritmo di oltre duecento sentenze all’anno, è più recente la notizia che l’Italia rischia la procedura d’infrazione europea anche per non aver dato attuazione alla legge e alle direttive che esigerebbero la effettiva responsabilità civile dei magistrati. Il 26 settembre l’Unione avrà aperto un procedimento d’infrazione perché l’Italia non si è ancora adeguata alla legge europea riguardante il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati. Ma questa, parlando di leggi non rispettate dallo Stato Italia, sorvegliato speciale in tema di giustizia, è solo una pagliuzza rispetto alla più grossa trave nell’occhio costituita dalla sentenza della CEDU, la c.d. Sentenza “Torregiani e altri”, dello scorso 8 gennaio 2013 divenuta ormai definitiva lo scorso 28 maggio dopo il rigetto, da parte della Grand Chambre, del ricorso presentato dal Governo italiano perché “la questione carceri è di grave rilevanza istituzionale, non soltanto sociale ed economica”. Una sentenza pilota di rilevanza istituzionale che potrebbe, se il nostro Paese non provvederà entro il prossimo 28 maggio, applicarsi a tutti i detenuti che si trovano nelle medesime condizioni. Una sentenza che ha visto condannata l’Italia non per occasionali ma per “sistematiche e strutturali violazioni” dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti Umani che vieterebbe quei trattamenti inumani e degradanti che, invece, avvengono quotidianamente nelle nostre patrie galere. Uno Stato cessa di essere Stato di Diritto quando cessa, esso stesso, di rispettare la sua stessa Legge fondamentale e le convenzioni internazionali su temi così importanti come la violazione dei diritti umani. Quando Marco Pannella invoca l’amnistia per la Repubblica lo fa non per caritatevole compassione per chi subisce i trattamenti inumani, ma anche e spora tutto, lo per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Giustizia lentissima, magistrati non responsabili dei propri errori e carceri sovraffollate in cui sistematicamente e strutturalmente avvengono trattamenti inumani e degradanti dei detenuti e, ricordiamolo, delle persone che ivi lavorano. Sono queste le motivazioni che hanno indotto Giacinto Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, ad inviare ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della citata sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali. Il senso delle diffide è che, come vuole la nostra Giustizia, non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge.
Già la CEDU, emettendo la sentenza Torreggiani per violazione sistematica e strutturale dell’articolo 3 della Convenzione, ha sottolineato come lo Stato, fino a quando la politica non avrà risolto il problema strutturale del sovraffollamento carcerario, è comunque tenuto a garantire che l’esecuzione delle pene avvenga nelle forme previste dal codice penale, dalla costituzione e dalle convenzioni sui diritti fondamentali dell’uomo che non possono (o non potrebbero) essere mai derogati. “Lo Stato”, si legge nella sentenza, “è tenuto ad organizzare il suo sistema penitenziario in modo tale che la dignità dei detenuti sia rispettata”. Come ha sottolineato anche la Corte Costituzionale già nel 1966, proprio in riferimento al 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione, “Una pena è legale solo se non consiste in un trattamento contrario al senso di umanità”. Articolo 27 della Costituzione che, sempre per la Corte Costituzionale, deve essere integrato da quanto previsto dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. E lo stesso discorso è valido, ovviamente, anche per chi, ancora da presunto innocente, si trova in carcerazione preventiva in ragione dell’esecuzione di una misura di custodia cautelare. Tuttavia, come spiegano Pannella e Rossodivita nella diffida inviata anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonostante gli auspici della Corte europea la sentenza Torreggiani sembra essere caduta nel vuoto. I magistrati continuano ad applicare misure di custodia cautelare in carcere anche quando non sarebbe strettamente necessario e i direttori eseguono ordini di custodia fuori dalla legalità costituzionale. La diffida si conclude invitando tutti i Procuratori Capo, i Presidenti degli uffici GIP, i Presidenti di Tribunale, a voler conformare – mediante la doverosa e necessaria riorganizzazione del lavoro degli uffici – l’emissione degli ordini di esecuzione pena e delle ordinanze applicative di misure cautelari di custodia agli artt. 3 della CEDU, 27, comma 3, e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana. Come? Verificando, prima dell’emissione di un ordine di esecuzione o di custodia cautelare, la disponibilità da parte delle Case di reclusione e/o delle Case circondariale a poter accogliere il destinatario in condizioni tali da non violare il precetto di cui all’art. 3 della CEDU. E, nella diffida, Pannella e Rossodivita invitano pure tutti i direttori delle carceri della Repubblica a voler informare doverosamente i Procuratori della Repubblica, i Presidenti di Tribunale, i Presidenti degli Uffici GIP, in ordine alla possibilità o meno di accogliere i detenuti in condizioni tali da non violare l’art.3 della CEDU che, ricordiamolo, è un diritto umano che non può e non dovrebbe essere mai derogato, neanche in caso di guerra o per motivi di sicurezza nazionale. Speriamo che la ragion di Stato non prevalga, ancora una volta, contro quello Stato di diritto che in Italia più che morto sembra essere dimenticato.

Giuseppe Candido
www.giuseppecandido.it

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