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Camminando controvento

di Maria Elisabetta Curtosi

Ci sono donne che camminano controvento da una vita. Per questo riporto per intero una citazione di C. De Felice che mi ha piacevolmente colpito.

Ci sono donne che hanno occhi profondi e sconosciuti come oceani. Ci sono donne che cambiano pelle per amore..Ci sono donne che donano il loro cuore, per poi ritrovarsi a raccattarne i cocci da sole…Ci sono donne che in silenzio fanno ballare la propria anima su una spiaggia al tramonto…Se ti fermi un istante le puoi sorprendere, mentre lottano contro il proprio istinto…Mentre fanno passeggiare il proprio dolore a piedi nudi, affrontando onde che ad ogni mareggiata sono sempre più minacciose…Ci sono donne che chiudono gli occhi, ascoltando una musica lenta, che rende ancora più salate le loro lacrime…Ci sono donne che con orgoglio ma con il nodo in gola, rinunciano alla felicità…Ci sono donne che con i loro occhi fotografano quegli splendidi ma così fugaci attimi in cui si sentono abbracciate dall’amore,sperando di mantenerli vivi e colorati per sempre…Se apri gli occhi un istante le puoi osservare, mentre disseminano briciole di se stesse lungo il percorso verso quel treno che le porterà via, mentre urlano la loro rabbia contro vetri tremolanti di una casa diventata prigione…mentre sorridono di disperazione a chi le vorrebbe far tornare alla vita di sempre…Ci sono donne che non si fermano davanti a nulla… perché non troveranno mai la fine di quel filo…Ci sono donne che hanno fatto un nodo per ogni loro lacrima,sperando che arrivi qualcuno a scioglierli…Non fermare il cuore di una donna, niente vale di più. Non far piangere una donna, ogni lacrima è un po’ di lei stessa che se ne va…Non farla aspettare da sola ed impaurita seduta sul confine della pazzia e se la vuoi amare, fallo davvero,con tutto te stesso! Stringila e proteggila… lotta per lei, uccidi per lei, piangi con lei, donale il più bel raggio di sole,ogni giorno tieni sempre accesa quella luce nei suoi occhi,quella luce è speranza, è amore, è puro spirito. É vento, è la più bella stella di qualsiasi notte…

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Omaggio a Vittorio De Seta

SpecialePrimaNumero (Anno VII n° 1-8/ 2013) speciale di Abolire la miseria della Calabria dedicato al Maestro del film documentario mondiale scomparso in Sellia Marina il 28 novembre 2011. Speciale alta risoluzionespeciale media risoluzione

 

 

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La delusione

di Maria Elisabetta Curtosi

“Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, beffato, umiliato. La vittima d’una ingiustizia che non t’aspettavi, d’un fallimento che non meritavi. Ti senti anche offeso, ridicolo, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po’ di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s’accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono.”
Oriana Fallaci

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Zanotti-Bianco in viaggio tra i monumenti della Calabria.

di Maria Elisabetta Curtosi

Oltre mezzo secolo fa lo stesso Zanotti Bianco rievocava l’incontro con la Calabria, la Magna Grecia, un incontro dettato da una precisa scelta di vita, una vera e propria missione: “Sarà tra poco mezzo secolo che percorro in tutti i  sensi le terre dell’antica Magna Grecia. Per quanto istintivamente attratto da ogni testimonianza artistica e dal fascino delle ricerche archeologiche, tuttavia la miseria ed i dolori di questa regione, ingigantiti dalla spaventosa tragedia del terremoto che prese nome da Reggio e Messina, occuparono nei primi anni di lavoro quaggiù tutta intera la mia vita(…) Fu Paolo Orsi, il grande, perseverante archeologo roveretano, che con la descrizione dello stato  miserando dei monumenti superstiti della Calabria, mi fece sentire il dovere della pietà per le creazioni d’arte del passato, silenziose educatrici degli spiriti nel futuro, e mi spinse a creare nel 1920, in quel desolato dopoguerra, la Società Magna Grecia”.  Paolo Orsi gli fece conoscere Carlo Felice Crispo, storico della civiltà magno-greca della Calabria ed in particolare di Vibo Valentia, già Hipponion. Conobbe anche il marchese Enrico Gagliardi. Diventò subito amicizia vera perché avevano in comune l’amore per il bello ed i valori della libertà e della onestà. Oltre a questi grandi vibonesi altre figure di primo piano aderirono alla Società: il prof.  Eugenio Scalari, Pietro Tarallo, Mario Micalella, il conte Capialbi, Mario Cordopatri, Vincenzo Cremona, Leonardo  Donato ed altri. Con il marchesino Gagliardi a bordo di una macchina cabrio visitarono tutti i monumenti di Monteleone, Pizzo, Mileto.  Giuliana Benzoni, stretta collaboratrice di Zanotti cosi lo descrive: “Esile, dagli occhi cerulei, con biondi capelli da agnellino che adornavano una testa da cherubino, affascinante come una visione, spirituale come un santo, concreto come un banchiere, splende per bellezza fisica, passionalità, ardore: un tombeur de femmes eccezionale”.

(1) Umberto Zanotti-Bianco era nato nel 1889 a Canea sull’isola di Creta, il padre console,la madre di origine scozzese, studi nel collegio Carlo Alberto di Moncalieri dai padri Barnabiti. Ammirava Mazzini e gli ideali del Risorgimento, Tolstoj e Romolo Murri. Allo scoppio della prima guerra mondiale,seguendo l’esempio di Gaetano Salvemini, si arruola volontario. Nel 1939 Achille Storace aveva protestato perché la sua associazione ANIMI era ancora in vita e quindi dimostrava che il fascismo non aveva risolto tutti i problemi del Sud. Zanotti chiede l’aiuto della principessa Maria Josè che assume l’alto patronato dell’associazione. Nel 1941 viene arrestato e inviato al confino vicino a Sorrento. Erede del Cattolicesimo Liberale. Partecipa in seguito alla lotta clandestina nelle file del partito liberale. Nel 44 assume la presidenza della Croce Rossa. Nel 1952 è nominato senatore a vita da Luigi Einaudi. Fonda assieme ad Elena Croce Italia Nostra. Muore a Roma nel 1963.

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Giornata mondiale contro le droghe: il proibizionismo ha fallito

3leggiCome ogni anno da quando fu istituita dal’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1987, il 26 giugno si celebra la Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito di droga. E anche in Calabria molte pubbliche amministrazioni hanno annunciato iniziative per celebrare la manifestazione che ha lo scopo dichiarato di ricordare l’obiettivo comune a tutti gli stati membri di creare una comunità internazionale libera dalla droga. Un obbiettivo che però, in quasi trent’anni di politiche proibizioniste, non è stato raggiunto: i consumi, soprattutto tra i giovani, sono aumentati vertiginosamente e, con essi, gli introiti delle organizzazioni criminali. Nonostante politiche incentrate a “tolleranza zero” verso traffici e consumi, i dati sono allarmanti: uno studente su 4 tra i 15 e i 19 anni ha sperimentato almeno una volta il consumo di cannabis. Secondo il DPA, il dipartimento delle politiche antidroga, “un ragazzo su 3 e 1 ragazza su 5 riferiscono di aver utilizzato cannabis più assiduamente, 20 o più volte negli ultimi dodici mesi. Uno studente su 33 riferisce di aver assunto cocaina almeno una volta nella vita e 1 su 47 dichiara di aver consumato la sostanza nel corso dell’ultimo anno. Un ragazzo su 47 riferisce di aver provato sostanze stimolanti (amfetamine, ecstasy, ecc.) almeno una volta nella vita, mentre 1 su 77 le ha utilizzate nel corso dell’ultimo anno.

Il 28 maggio 2013 il DPA ha presentato la relazione annuale europea sul fenomeno droga. Dalla relazione emerge come, in Europa, circa 85 milioni di persone adulte (corrispondenti al 25% degli adulti) hanno fatto uso nel corso della vita di sostanze illecite: la cannabis ed i derivati appaiono tra le sostanze più largamente consumate e sequestrate”. La quantità di sostanza sequestrata risulta in queste percentuali: foglie di cannabis 41%; resina di cannabis 36%; cocaina e crack 10%; eroina 4%; amfetamina 4%; piante di cannabis 3%; ecstasy 1%; meta anfetamina 1%. Di fatto, quindi, la cannabis rappresenterebbe nel complesso circa l’80% del consumo di sostanze tra la popolazione europea.

Nel Rapporto annuale (Giugno 2011) della Commissione Globale delle politiche sulle droghe, è scritto a chiare lettere: “Nonostante la crescente evidenza di come le attuali politiche non raggiungano i loro obiettivi, la maggior parte degli organismi politici, a livello nazionale e internazionale, si sono orientati ad evitare un aperto esame o un dibattito sulle alternative”. È la politica dello struzzo che governa padrona. Gli stati, Italia compresa, preferiscono non ammettere il fallimento delle politiche proibizioniste che, negli anni, hanno incrementato traffici illeciti enormi senza far diminuire i consumi. Anche se qualche segnale positivo si coglie in slogan del tipo, “chi consuma droga alimenta le mafie”, e se si moltiplicano le iniziative referendarie e popolari per modificare o abrogare parzialmente le leggi attuali che rendono dei criminali, sbattendoli nelle affollate galere, tutti quei ragazzi, consumatori e piccoli spacciatori, che invece avrebbero bisogno di essere aiutati, è evidente che si è ancora lontani dall’affrontare in modo laico e pragmatico il problema. Il proibizionismo ha fallito sulle droghe come fallì in America negli anni ’30 del secolo scorso quando aveva alimentato a dismisura gli introiti delle organizzazioni criminali. Oggi la ‘ndrangheta, solo grazie alle politiche proibizioniste, detiene ingenti somme (40 miliardi di euro l’anno) che ricicla reinvestendo nell’economia legale. Eppure, per capire la “lezione di Hall Capone” basterebbe leggere ciò che la stessa commissione globale per le politiche sulle droghe mette nero su bianco nel suo rapporto annuale 2011.

La guerra globale alla droga è fallita, con conseguenze devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo. Cinquanta anni dopo la Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti, e a 40 anni da quando il presidente Nixon lanciò la guerra alle droghe del governo americano, sono urgenti e necessarie riforme fondamentali nelle politiche di controllo delle droghe nazionali e mondiali.

Le immense risorse dirette alla criminalizzazione e alle misure repressive su produttori, trafficanti e consumatori di droghe illegali hanno chiaramente fallito nella riduzione dell’offerta e del consumo.

Le apparenti vittorie dell’eliminazione di una fonte o di una organizzazione vengono negate, quasi istantaneamente, con l’emergere di altre fonti e trafficanti. Gli sforzi repressivi diretti sui consumatori impediscono misure di sanità pubblica volte alla riduzione di HIV / AIDS, overdosi mortali e altre conseguenze dannose dell’uso della droga. Invece di in- vestire in strategie più convenienti e basate sul evidenza per la riduzione della domanda e dei danni le spese pubbliche vanno nelle inutili strategie della riduzione dell’offerta e della incarcerazione.

I nostri principi e le raccomandazioni possono essere riassunti come segue:

Terminare con la criminalizzazione, l’emarginazione e la stigmatizzazione delle persone che fanno uso di droghe ma che non fanno alcun male agli altri. Sfidare i luoghi comuni sbagliati, circa i mercati della droga, l’uso di droga e la tossicodipendenza, invece di rafforzarli.

Incoraggiare i governi a sperimentare modelli di regolamentazione giuridica della droga per minare il potere del crimine organizzato e salvaguardare la salute e la sicurezza dei loro cittadini. Questa raccomandazione vale soprattutto per la cannabis, ma incoraggiamo anche altri esperimenti di depenalizzazione e regolamentazione legale, che possano raggiungere questi obiettivi e fornire modelli per altri.

Offrire servizi sanitari e cure a chi ne ha bi- sogno. Garantire che sia disponibile una varietà di modalità di trattamento, compreso non solo il trattamento con metadone e buprenorfina, ma anche i programmi di tratta- mento assistito con eroina che si sono dimostrati efficaci in molti paesi europei e in Canada.

Implementare i programmi di accesso alle siringhe e alle altre misure di riduzione del danno che si sono dimostrate efficaci nel ridurre la trasmissione dell’HIV e di altre infezioni a trasmissione ematica così come le overdose fatali. Rispettare i diritti umani delle persone che usano droghe. Abolire le prati- che abusive eseguite in nome del tratta- mento – come la detenzione forzata, il lavoro forzato e gli abusi fisici o psicologici – che contravvengano standard dei diritti umani e delle norme o che annullino il diritto all’autodeterminazione.

Applicare pressappoco gli stessi principi e le politiche sopra esposti alle persone coin- volte nelle estremità ultime dei mercati di droghe illegali, come gli agricoltori, i corrieri e piccoli venditori. Molti sono vittime di violenza e d’intimidazione o sono tossicodipendenti. Arrestare e imprigionare decine di milioni di queste persone, negli ultimi de- cenni, ha riempito le prigioni e distrutto vite e famiglie senza ridurre la disponibilità di droghe illecite o il potere delle organizzazioni criminali. Sembra non ci sia limite al nu- mero di persone disposte a impegnarsi in tali attività per migliorare la loro vita, provvedere alle loro famiglie, o comunque sfuggire alla povertà. Le risorse per il controllo della droga possono esser meglio dirette altrove.

Investire in attività che possano prevenire sia, in primo luogo, l’uso di droga tra i giovani, sia lo sviluppo di problemi più gravi per chi fa uso di droga. Evitare i messaggi semplicistici come “basta dire di no”, e le politiche “tolleranza zero”, a favore di messaggi e politiche di sforzi educativi fondati su informazioni credibili e programmi di prevenzione che si concentrino sulle abilità sociali e le influenze tra pari. Gli sforzi di prevenzione più efficaci possono essere quelli destinati a specifici gruppi a rischio.

Concentrare le azioni repressive sulle organizzazioni criminali violente, ma in modo che indeboliscano il loro potere e la loro portata,

dando priorità alla riduzione della violenza e dell’intimidazione. Gli sforzi delle azioni di polizia dovrebbero concentrarsi non sulla riduzione dei mercati della droga di per sé, ma piuttosto sulla riduzione dei loro danni alle persone, comunità e alla sicurezza nazionale.

Dare inizio alla trasformazione del regime globale di proibizione delle droghe. Sostituire le politiche e le strategie sulla droga orientate dall’ideologia e dalla convenienza politica con politiche economiche responsabili basate sulla scienza, sulla salute, sulla sicurezza e sui diritti umani – e adottare criteri appropriati per la valutazione. Rivedere la classificazione delle droghe che ha prodotto palesi anomalie come la difettosa categorizzazione della canapa, della foglia di coca, e del MDMA. Assicurarsi che le convenzioni internazionali siano interpretate e/o riviste per fornire una base legale solida che permetta di sperimentare la riduzione del danno, la depenalizzazione e la regolamentazione.

A questo link il rapporto 2011 della Commissione Globale per le politiche contro la droga, tradotto dal Partito Radicale

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Senza informazione non c’è Democrazia

di Giuseppe Candido

PRTNT_logoQualcuno mi racconta che i Radicali sono ormai “una forza politica marginale” e, per questo, alle ultime elezioni politiche hanno avuto il risultato che hanno avuto: un misero 0,2 per cento. Familiari, amici, in realtà me lo ripetono da qualche anno, sin dalle elezioni regionali del 2010, quando in Calabria arrivammo allo 0,5. A volte, scoraggiato, sono quasi stato tentato di dar loro ragione. Tuttavia c’è un “però” degno di nota che forse aiuta tutti a capire il perché non solo della debacle del Partito Radicale in cui milito da oltre dodici anni ma anche della situazione dell’illegalità italiana sotto molti profili.

Siamo condannati dall’Europa da trent’anni al ritmo di 200 sentenze all’anno per l’irragionevole durata dei processi e, per le carceri, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo lo scorso 8 gennaio ci ha condannato a risarcire 7 detenuti per una detenzione che vìola i diritti umani con trattamenti inumani e degradanti che scavalcano la nostra stessa legge fondamentale: la Costituzione. Poi c’è l’illegalità italiana, anche questa sistemica, sulla situazione della gestione dei rifiuti che ci regala sanzioni annue da parte europea da capogiro. E c’è l’illegalità di una evasione fiscale diffusa associata a una corruzione altrettanto sistemica. Eppure, tra queste e altre situazioni d’illegalità italiana, ce ne una, altrettanto importante per un Paese democratico che forse consente di spiegare anche l’ultimo risultato elettorale di questa forza politica che però esiste da oltre cinquant’anni senza mai essere stata coinvolta in scandali e ruberie di alcun tipo.

È l’illegalità del sistema delle comunicazioni ormai sancita definitivamente in “Nome del Popolo italiano” da sentenze anche queste passate in giudicato, ma che quasi nessuno racconta. Dal 2010 noi Radicali veniamo sistematicamente discriminati dalla Rai illegalmente. Dopo una battaglia legale durata 3 anni, lo scorso 2 maggio 2013 il Tar del Lazio, con la sentenza n°4539, ha ordinato perentoriamente all’Agcom di adempiere entro 30 giorni, altrimenti nominerà Commissario. Secondo la sentenza l’Agcom, l’autorità che dovrebbe garantire la pluralità nell’informazione radiotelevisiva con la quale principalmente si forma il consenso politico, risulta aver eluso una precedente sentenza del novembre 2011 con cui lo stesso giudice amministrativo aveva annullato la delibera di archiviazione dell’esposto radicale. Nel dare ragione all’associazione Lista Marco Pannella, difesa dall’avvocato Giuliano Fonderico, e il cui leader è in sciopero della fame e della sete anche per chiedere che venga rispettato il diritto dei cittadini di conoscere le 12 proposte referendarie lanciate lo scorso 16 giugno a Napoli, il Tar ha sottolineato i vizi alla base del provvedimento con cui l’Agcom aveva archiviato l’esposto radicale e, di fatto, “legalizzato” la condotta della Rai, la quale aveva negato qualsiasi presenza dei Radicali nelle trasmissioni Ballaro’, Porta a Porta e Annozero, marginalizzandoli anche nei telegiornali.

Nel provvedimento ormai definitivo si legge che “Dall’esame della Sentenza n.8064/11 emerge che il Tribunale ha ritenuto la legittimazione al ricorso in capo all’Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella che può “essere ricompresa tra i <soggetti politici> di cui all’art.7, comma 2, lett.c), del d. lgs. n. 177/05 e tra i <gruppi rappresentati in Parlamento> di cui all’art.45, comma 2, lett. d) del d. lgs. citato in riferimento ai quali deve attivarsi il potere di vigilanza dell’Autorità intimata nei sensi evidenziati nel presente contenzioso”. E ancora: Il TAR “Ha ritenuto che in relazione alla considerazione del tempo di antenna sui tre Tg, non è stata fornita alcuna motivazione in ordine alle modalità con cui esponenti politici sono stati considerati tout court equiparabili agli altri soggetti politici nei confronti dei quali era stato effettuato raffronto privi di rappresentanti presenti nel Parlamento nazionale d’europeo considerata la peculiare situazione dell’associazione nazionale lista Marco Pannella, sopra Richiamata anche al fine di ritenere la legittimazione attiva della promozione del presente gravame; In quest’ottica l’autorità avrebbe dovuto considerare la fattispecie peculiare e motivare con argomentazioni idonee in ordine alla conclusione che accomunava l’associazione in questione con altri soggetti politici privi di accordi di tale tipo e quindi effettivamente privi di esponenti eletti nel Parlamento nazionale ed europeo, Al fine di valutare situazioni analoghe di talchè il collegio ha rilevato La carenza di motivazione in ordine all’indicazione dei criteri seguiti dall’autorità nel comparare situazioni invece indubbiamente diverse per ragioni oggettive nel caso di specie attestate dal su ricordato accordo politico con il partito democratico”. Porta a Porta, Ballarò e Annozero, hanno fatto un po’ come hanno voluto proprio autorizzate dall’agcom, auto determinandosi a non accogliere le segnalazioni di esponenti radicali per la loro assenza.

In buona sostanza, il TAR Lazio, ha censurato la motivazione in base alla quale l’Agcom ha equiparato i Radicali a soggetti politici privi di rappresentanza parlamentare nonostante, dal 2008, avessero 6 deputati e 3 senatori, senza peraltro considerare che “una serie di partiti realmente privi di rappresentanza parlamentare fossero stati comunque molto presenti nei programmi Rai”, come ad esempio gli esponenti di SEL, il cui leader stentava a dividersi tra i vari programmi politici d’approfondimento.

Ma la violazione del diritto si perpetua: come nelle carceri i trattamenti inumani e degradanti sono ormai “sistemici” e si perpetuano anche nei confronti degli operatori che in quei luoghi lavorano, nel campo dell’informazione l’illegalità del sistema radiotelevisivo italiano prosegue e, anche sui referendum è negata ai cittadini l’informazione. Oggi, Marco Pannella, è in sciopero della fame e della sete per chiedere che sui temi dei dodici referendum, e su quelli della giustizia, siano dati adeguati spazi di informazione. Un digiuno di verità cui si oppone con la nonviolenza un digiuno dei cibi solidi e liquidi. Perché ad essere violati – ricordiamolo per non apparire velleitari – non sono solo i diritti dei soggetti politici discriminati. Ad essere violato è, in primo luogo, il diritto dei cittadini di essere informati e quindi di poter conoscere per deliberare.

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Democrazia partecipata? Solo coi Referendum si può fare

Se la politica non cambia allora cambiamo noi la politica con i referendum! Se la politica è immobile sono cittadini che si devono muovere. Dopo il lancio a Napoli lo scorso 16 giugno anche dei sei quesiti referendari sulla Giustizia (www.referendumgiustiziagiusta.it) che si vanno ad aggiungere ai quesiti cambiamonoi (Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; Droga: niente carcere per i fatti di lieve entità; Divorzio breve; 8 × 1000 per lasciare allo Stato la quota non destinato dai cittadini alle chiese; Lavoro e immigrazione clandestina), parte anche in Calabria la raccolta delle firme per 12 referendum! Documentati sui siti cambiamonoi e referendumgiustiziagiusta e vai a firmare ( in tutti i comuni d’Italia) da venerdì prossimo o ai tavoli che trovi indicati sui siti. Questa volta si vota firmando; anche perché affidare tutto a una persona e un blog non è il massimo. Sosteniamo i referendum in modo che sia tutto il popolo a scegliere su temi che, sperare intervenga la politica (anche quella grilliota) è solo una speranza. Firma e manda i tuoi amici a fare lo stesso in modo che il popolo, la gente, col voto tra un anno possa dire la sua su temi così caldi!

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Giuseppe Candido, firmatario appello comitato promotore referendumgiustiziagiusta.it

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Storia ed etnologia

di Maria Elisabetta Curtosi

Nell’opera Le strutture elementari della parentela, Lévi-Strauss osserva che è necessario integrare lo studio su civiltà diverse dalla nostra con un approccio completamente diverso, come quello consentito dall’etnologia. Secondo Lévi-Strauss, la differenza fondamentale tra storia ed etnologia non è né di oggetto, né di scopo, né di metodo Esse hanno infatti lo stesso oggetto (la vita sociale), lo stesso scopo (una migliore comprensione dell’uomo) e un metodo in cui varia soltanto il dosaggio dei procedimenti di ricerca. Storia ed etnologia si distinguono soprattutto per la scelta delle prospettive complementari: la storia organizza i suoi dati in base alle espressioni coscienti, mentre l’etnologia lo fa in base alle condizioni inconscie delle vita sociale. Lévi-Strauss osserva che nella maggior parte dei popoli primitivi è molto difficile ottenere una giustificazione morale, o una giustificazione razionale di un’usanza o un’istituzione: anche quando si hanno delle risposte, esse hanno sempre il carattere di razionalizzazione. Le ragioni inconscie per cui si pratica un’usanza o si condivide una credenza, sono in genere assai lontane da quelle con cui il soggetto cerca di giustificarle. Secondo Lévi-Struss, gli studi etnologici e linguistici dimostrano che l’attività inconscia dell’uomo consiste nell’imporre forma a un contenuto, e queste forme sono fondamentalmente le stesse per tutti gli individui.

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Una sagra antica e meravigliosa: la “Festa dell’abete” di Alessandria del Carretto nel ricordo del regista Vittorio De Seta

di Francesco Lo Duca

ALESSANDRIA DEL CARRETTO (CS) – «Alla fine dell’inverno esplode improvvisa la celebrazione della primavera, detta Festa dell’abete, una sagra antica e meravigliosa». E’ ancora così la festa della “Pita”di Alessandria del Carretto, filmata nel 1959 dal regista Vittorio De Seta nel suo memorabile cortometraggio “I dimenticati”. Nell’ultima domenica di aprile, agli abitanti di Alessandria del Carretto (comune del Parco nazionale del Pollino,situato a 1.000 metri s.l.m. al confine con la Basilicata) si sono uniti molti visitatori provenienti prevalentemente dall’intero territorio regionale calabrese, dalla Lucania e Puglia. “Idimenticati” è il documentario conclusivo di una serie di dieci cortometraggi girati da Vittorio De Seta tra il 1954 e il 1959, inseriti all’interno della collana “Il mondo perduto”, pubblicata da Feltrinelli nel 2008. Vittorio De Seta, regista e sceneggiatore nato a Palermo il 15 ottobre 1923 e scomparso a Sellia Marina(CZ) il 28 novembre 2011, ha raccontato di aver avuto l’idea di realizzare questo documentario dopo aver appreso dell’esistenza in Calabria, di paesi senza strada alla fine degli anni ’50. Ad Alessandria del Carretto filmò la “Festa dell’abete”, integrandola nel suo cortometraggio. Dal filmato di De Seta, il paese di Alessandria del Carretto sembrerebbe destinato a essere dimenticato e a scomparire. La costruzione della strada che seguendo il profilo della montagna avrebbe dovuto portare dalle pendici dell’alto Ionio calabrese, lungo i vari paesi, fino al paese più in alto, appunto Alessandria, è stata interrotta anni prima. Ad un certo punto un camion che trasporta le merci è costretto a fermarsi e il carico, destinato ai paesani di Alessandria, deve essere trasferito a dorso di mulo. Gli animali e gli uomini che li guidano devono attraversare irti boschi, fiumare, arrampicarsi lungo versanti di roccia prima di giungere al paese, rimasto isolato dalla neve e senza comunicazioni per tutto l’inverno. All’arrivo della primavera gli abitanti di Alessandria preparano una grande festa per salutare la bella stagione. Seguendo una tradizione millenaria, all’alba i taglialegna “maestri d’ascia” salgono sul monte e abbattono un grosso abete, poi tutti gli uomini, insieme, lo trascinano con grande fatica fino nel paese. Le donne e i più giovani vanno incontro alla carovana preparandosi al divertimento. Nella successiva prima domenica di maggio ci sarà l’albero della cuccagna e la festa in onore del Santo Patrono di Alessandria del Carretto, Sant’Alessandro papa e martire, in cui le donne venderanno oggetti e cibo e tutto il paese scongiurerà così la durezza dell’inverno appena trascorso. Quella sagra antica e meravigliosa, ripresa nel documentario di De Seta, è ancora oggi percepibile, anzi arricchita dalla partecipazione delle donne e da tanti giovani che aiutano a trasportare l’abete fino al paese, lungo un percorso pur sempre scivoloso e tortuoso. La festa è allietata da veterani e giovani suonatori di zampogna, organetto e tamburello che si uniscono ai protagonisti delle “tire”, le pertiche usate per il trasporto dell’albero. La ricorrenza a cui si assiste non è più la Calabria amara e povera degli anni cinquanta, ma si intravede tuttora una voglia di rivalsa, il desiderio di scongiurare un futuro incerto, strade e opere incompiute. Ad Alessandria del Carretto rimane altresì il vivo ricordo e il rapporto con la Calabria delregista Vittorio De Seta, autore di opere originali e indimenticabili come “Banditi a Orgosolo” e “Diario di un maestro”. Il profondo legame di De Seta con la Calabria, che ha dato i natali a sua madre, è approfondito nel documentario “In Calabria”, del 1993. In quel suo ritorno in Calabria, il regista fa vedere una Regione come terra di incontro e di scontro tra vecchio e nuovo, cercando soprattutto le tracce dell’emarginazione e delle culture in crisi.

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Quando la scuola cambia, intervista all’ex dirigente scolastico Mario Muccari

“Dalle scuole di “avviamento professionale” alla scuola media unificata per tutti, una grande rivoluzione nell’impianto generale del sistema dell’Istruzione obbligatoria”

di Giuseppe Candido*

7 giugno 2013 – Siamo all’Istituto Comprensivo Statale di Botricello, in provincia di Catanzaro, dove si è appena svolta la manifestazione conclusiva di fine anno con la premiazione, da parte della Fondazione Ualsi di don Alfonso Velonà, dei “migliori temi” degli alunni degli Istituti di Botricello, di Belcastro, Marcedusa e Cropani. La manifestazione si è conclusa con rappresentazioni teatrali, recite e video cortometraggi realizzati dai ragazzi.

L’ex dirigente scolastico di Botricello, Prof. Mario Muccari, persona di ragguardevole spessore culturale, nel suo intervento, si è soffermato su una “importante ricorrenza” che, proprio la scuola, non può certo dimenticare: “i 50 anni della scuola media unica”.

Dopo lunghe trattative tra DC e PSI, il 31 dicembre 1962 viene approvata la legge n.1859 che abolisce la “scuola di Avviamento al lavoro” ed istituisce, per la prima volta, “una scuola media unificata” che consenta a tutte e a tutti i cittadini l’accesso a tutte le scuole superiori.

Poiché la memoria assieme al sottoscritto tradisce anche altri colleghi docenti, a margine del suo intervento gli chiediamo di darci qualche ulteriore ragguaglio:

“La scuola media unica” – ricorda con un pizzico di malinconia di chi ha vissuto direttamente quegli anni nella scuola – “nacque il 31 dicembre del 1962 con la legge n°1859. Naturalmente, essendo la legge stata promulgata il 31 dicembre, ad anno scolastico ormai iniziato, ovviamente i suoi effetti si ebbero a partire dall’anno scolastico immediatamente successivo”.

Questo che cosa significava?

“Significava una grande rivoluzione nell’impianto generale del sistema dell’Istruzione obbligatoria perché la legge aumentava l’obbligo scolastico di tre anni per tutti i cittadini. Cresceva l’obbligo scolastico passando da 5 anni di scuola elementare a 8 anni (5 + 3 di scuola media per tutti).

Una rivoluzione per l’Italia degli anni ’60?

“Certo che era una rivoluzione: sofferta e auspicata già da molto tempo. Tant’è vero che in contemporanea la scuola elementare aveva già incominciato a provare continuità d’istruzione aumentando la permanenza nell’attività scolastica con la così detta ”sesta” elementare. E poi con la ”settima”. Forse queste sono cose che ricorderanno le persone più grandi. E contemporaneamente però erano nati altri indirizzi che dovevano e potevano garantire l’inserimento nel mondo del lavoro. Erano le Scuole di Avviamento professionale. E già il nome stesso è indicativo. Naturalmente non erano però, né gli esperimenti della scuola elementare né gli avviamenti professionali, scuole obbligatorie. Con la legge 1859 l’obbligatorietà divenne un fatto comune. Un fatto di legge, e quindi tutti questi momenti dovettero essere ”assorbiti” nella scuola media che perciò prese il nome di ”Unificata”. Doveva assorbire il vecchio impianto di scuola media che già esisteva come triennio essenziale e formativo per l’accesso all’Istruzione superiore. Vi siete mai chiesto perché si chiama 4° e 5° ginnasio lo studio classico, e poi seguono il 1°, il 2° e il 3° liceo? Si chiamano 4° e 5° ginnasio perché era la continuazione dei primi tre anni di scuola media. Che erano proprio propedeutici all’avviamento di studi importanti che poi davano libero accesso a tutte le facoltà universitarie. La nuova legge ”unificava” tutte queste presenze e, per questo, fu chiamata ”scuola media unica”. C’erano però dei problemi grossissimi. Perché, da una parte, bisognava pensare ad una scuola che formasse ”il cittadino di domani” e l’Uomo. Ma c’era anche la necessità di non trascurare l’impianto didattico di chi doveva proseguire gli studi. Per questo vi fu un periodo di transizione in cui i vecchi programmi della scuola continuarono ancora a resistere nella scuola media tant’è vero che, tutti ricorderanno, nella scuola media unica ancora resisteva l’insegnamento del latino che era obbligatorio nei primi due anni ma poi diventava facoltativo nel terzo anno. Praticamente questa facoltatività poteva aprire la possibilità della prosecuzione nel liceo Classico per chi era intenzionato a seguire questa strada oppure ‘no’ per chi invece non aveva seguito l’insegnamento facoltativo del Latino”

Oggi che invece si tende a far evadere l’obbligo scolastico con corsi di formazione realizzati a livello regionale che, quindi, non hanno tutti lo stesso standard di qualità su base nazionale, è un po’ il contrario di ciò che si voleva fare allora?

Sono comunque esperienze tutte positive. Nel senso che la preoccupazione oggi è legata a proiettare i soggetti verso la possibilità occupazionale.

Ciò vale anche quando questi corsi vengono fatti da associazioni e quant’altro come avviene in Calabria?

Non bisogna confondere così come si va’ espletando con quelli che erano gli intenti originari. Bisognerebbe vigilare attentamente e persistere.

LinK audio dell’intervista

* docente di scienze matematiche nella scuola media, in servizio presso l’Istituto Comprensivo Statale di Botricello.

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