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Emigrazione: uomini soli.

L’emigrazione è stata uno dei capitoli più importanti della nostra storia, infatti il primo ventennio del secolo scorso vide milioni di italiani attraversare l’ Oceano in cerca di fortuna negli Stati Uniti, Argentina e altri paesi del Sudamerica. Quale sia stato il contributo alla vita di questi paesi, nel bene e nel male, del fiume di italiani che sono sbarcati oltre oceano, più numerosi di qualsiasi invasione barbarica in Italia all’inizio del Medioevo è quasi impossibile da determinare. Gli emigrati dall’Italia erano, nella loro grande maggioranza, analfabeti o quasi analfabeti, zappaterra o operai non qualificati, spinti dal bisogno, assoldati da mercanti di mano d’opera. Naturalmente quando si parla di emigrati italiani ci si riferisce anche ai calabresi e cioè a quelle persone nati nella penisola, di razza italiana che  parlavano una derivazione linguistica italiana, che avevano un passaporto italiano ma che provenivano da villaggi sperduti della Sila, delle Serre o dall’Aspromonte dove il loro “ modus vivendi” non era stato modificato per secoli e che non avevano mai avuto contatto con altri popoli o regioni e comunque sia non avevano assolutamente risentito gli effetti dell’unità d’Italia. Erano rimasti ancora sotto il dominio di qualcuno. Perché emigrarono?  Molteplici le ragioni: le condizioni sociali, politiche ed economiche quelle che forniscono le migliori spiegazioni del fatto che degli uomini lascino la terra natia per andare a cercarsi una nuova patria.  Spesso emigravano uomini soli.

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Dopo la raccolta differenziata, a Botricello (CZ) via anche al compostaggio

da Redazione

Convegno compostaggio a Botricello (CZ)
Convegno compostaggio a Botricello (CZ)

Botricello, 23 marzo 2013 – Mentre fuori i cumuli di mondezzai invadono le strade, i bidoni sono stracolmi e le discariche funzionano a singhiozzo, in un momento di emergenza rifiuti che più grave in passato forse non si è visto, un po’ stoicamente ma con grande coraggio, l’amministrazione comunale di Botricello guidata dal dott. Giovanni Camastra, con affianco e in prima linea perché di problematiche ecologiche se ne è sempre occupato, l’assessore all’ecologia dott. Salvatore Procopio, che tra l’altro è anche un tecnico dell’Arpa Calabria, propone ai suoi cittadini il compostaggio domestico. Per questo, sabato 23 presso la nova sede comunale, dopo aver avviato nei giorni addietro uno specifico bando per richiedere ai cittadini l’adesione al progetto “per il compostaggio domestico dei rifiuti organici e del verde”, si è svolto uno specifico convegno di presentazione dell’iniziativa e di sensibilizzazione sul tema rifiuti, al quale hanno partecipato assieme ai due amministratori promotori, anche due esperti del settore: il dott. Agronomo Paolo Condito e il dott. Pasquale Chiodo. Molti i cittadini presenti, anche di altri comuni limitrofi. “Botricello, – ha ricordato nel suo intervento il Sindaco Giovanni Camastra – ha avviato da tre anni la raccolta differenziata porta a porta ma oggi siamo al limite della sopportazione”.

La compostiera
La compostiera fornita dall’amministrazione comunale ai cittadini aderenti al bando

Dopo le pillole (e le slide) di buone tecniche di compostaggio del dott. Condito e del dott. Chiodo, che  i due tecnici intervenuti hanno fornito soprattutto per spiegare, ai cittadini che hanno aderito al bando, le semplici tecniche di compostaggio e il “come” utilizzare la compostiera fornita dall’amministrazione, l’assessore Salvatore Procopio si è soffermato sui vantaggi, anche economici oltreché ecologici, che si possono avere se questa iniziativa, oggi in partenza, si diffondesse a macchia d’olio tra i cittadini.

“Ringrazio la dott.ssa De Fazio perché è la responsabile di questo progetto che – ha aggiunto Procopio – è la strada giusta per l’uscita dall’emergenza”. “Oltre ad essere una buona pratica ecologica che consente di sviluppare un’adeguata coscienza civica, il compostaggio domestico, semplice da realizzare, riduce del 30% il rifiuto prodotto agevolando non poco gli amministratori nelle operazioni di smaltimento”.

Ma l’aspetto ancora più vantaggioso, ha aggiunto Procopio nel suo intervento, “è quello economico” perché, come spiegato anche dai due tecnici, il vantaggio sarebbe doppio: “oltre alla riduzione dei rifiuti si avrebbe anche la possibilità di riduzione della TARSU del 25%”. Infatti, come ha ricordato lo stesso Procopio, nel bando è previsto che “una regolare adesione e il rispetto dei requisiti previsti dal bando, comporterà uno sconto del 25% dell’importo annuo previsto per il pagamento della TaRSU”. Il compost è un ammendante agricolo utile per le coltivazioni, per l’orto, il giardinaggio, e la coltivazione dei fiori e, come previsto dallo stesso bando, può essere usato dagli stessi contribuenti nel proprio giardini, nell’orto, per la manutenzione delle piante domestiche o, in alternativa, essere ceduto ad aziende florovivaistiche. Già, perché l’aspetto più interessante che è emerso dalla serata, oltre ai numerosi interventi che tra l’altro hanno sottolineato e incentivato ad estendere la promozione dell’iniziativa anche sotto l’aspetto didattico nelle scuole, è che cittadini stessi potrebbero consorziarsi per valorizzare il compost prodotto commercializzandolo presso aziende florovivaistiche o, sotto forma di pellet, come combustibile considerato la buona resa calorica una volta essiccato. Insomma, ha concluso Procopio che al margine c’ha concesso di scambiare con lui due veloci battute, dobbiamo cominciare a considerar il rifiuto non come una emergenza ma come una risorsa da cui trarre anche vantaggi di tipo economico.

Un momento del convegno sul compostaggio domestico organizzato come azione di sensibilizzazione sul tema Rifiuti da parte dell’amm. comunale: uno dei numerosi interventi del pubblico
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Pannella verrà in Calabria per ringraziare gli abitanti di Platì e rilanciare la battaglia

Pannella: “Andrò a Platì, quel piccolo comune dove abbiamo preso il 20%”. Un paesello di appena mille anime in provincia di Reggio Calabria dove però, con 176 voti, la lista di scopo Amnistia Giustizia Libertà è la terza forza politica, più avanti del Beppe nazionale. Ad annunciare la sua discesa in terra calabra, dai microfoni di radio carcere, la trasmissione di Radio Radicale condotta da Riccardo Arena, è stato lo stesso Marco, martedì scorso, sottolineando come, non solo a Platì ma anche ad Africo (7,88%) e San Luca (7,19), tutte in provincia di Reggio Calabria, ci sono state percentuali uniche per la lista di scopo Amnistia Giustizia Libertà: “Ci hanno capito”, ha detto.

Marco Pannella e Giuseppe Candido
Marco Pannella e Giuseppe Candido

. Anche in un’altra occasione, ha ricordato Pannella, prendemmo percentuali elevate in Calabria (a Rizziconi ha detto di ricordare): “erano le europee con candidato Enzo Tortora”; qualcuno in quell’occasione aveva tentato di strumentalizzare dicendo che i Radicali prendevano i voti dalla ‘ndrtangheta, invece lì – ricorda ancora Pannella – c’avevano solo capiti. Come adesso a Platì. Il fatto che Marco Pannella verrà in Calabria a Platì (RC) è stato poi confermato sempre dallo stesso leader storico del Partito Radicale Nonviolento durante la conversazione settimanale della domenica, tenuta ieri, domenica 17 marzo, assieme a Walter Vecellio e durante la quale, pur non specificando il quando, ha fatto intendere che la cosa si dovrà organizzare anche a stretto giro per far ripartire, proprio da Platì e dalla Calabria, in tutta Italia e in Europa una battaglia di civiltà estrema com’è quella per l’amnistia ma anche per una riforma della Giustizia e salvaguardare nel nostro Paese lo stesso Stato di Diritto.

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Ora tocca a loro (sic!)

di Giuseppe Candido

Ci vuole le faccia tosta per dire che ora, proprio loro che l’hanno causato, ci salveranno dal disastro. Dopo il caos dei rifiuti per le strade delle città e dei paeselli calabresi, peraltro non ancora cessato, e dopo la rabbia dei Sindaci del catanzarese autoconvocatisi in protesta dal commissario per l’emergenza Speranza, che già il cognome la dice tutta su un’emergenza che ormai dura da più di sedici anni, oggi ci tocca la vera notizia: dopo sedici anni di commissariamento e oltre un miliardo di euro gettati letteralmente in fumo come ci dimostrano quei cumuli di rifiuti per le strade e le discariche stracolme, il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, ha firmato l’ordinanza che prevede di “favorire e regolare il subentro” della Regione Calabria nelle competenze affidate per sedici anni all’Ufficio del Commissario. In pratica, tradotto dal politichese, l’emergenza resta tragicamente sotto gli occhi di tutti ma, d’ora in poi, toccherà alla Regione e al suo Presidente Giuseppe Scopelliti risolvere il problema rifiuti. Però, per cercare di capire bene, bisogna fare un passo indietro e ricordarsi come, durante i sedici anni di commissariamento dell’emergenza rifiuti in Calabria, più volte lo stesso Ufficio del Commissario sia stato guidato dal Presidente della Regione in carica al momento. È stato il caso di Agazio Loiero, nominato Commissario per l’emergenza rifiuti in Calabria quando al Governo c’era Romano Prodi ed è stato il caso del governatore Chiaravalloti delegato a presiedere l’Ufficio del Commissario per l’emergenza rifiuti durante il governo Berlusconi. E bisogna ricordare quando, nel 2007, il prefetto Antonio Ruggiero abbandona la guida dell’Ufficio appena affidatogli denunciando, nella sua relazione, i 41 dipendenti fantasma e bilanci di milioni di euro fatti su foglietti che ci valsero la penna di Gian Antonio Stella sulla prima pagina sul Corriere della Sera. Siamo ormai nel 2013 e ancora oggi, nel piano rifiuti, non si parla di trattamento meccanico biologico dei rifiuti come alternativa agli inceneritori, non si parla e, soprattutto, non si attua la raccolta differenziata porta a porta né tantomeno una politica incentivante il ciclo produttivo a rifiuto zero. Parlano solo di chi avrà le competenze di gestire quello che prima gestiva l’Ufficio del Commissario, pur rendendosi conto, sotto sotto, che di grana si tratta. Se proprio volessero raccontarla tutta ai propri lettori, i giornali e i media calabresi, soprattutto quelli che prendono il finanziamento pubblico per l’editoria, dovrebbero ricordare al Presidente Scopelliti, quando questi afferma candidamente che “Ora tocca a noi”, come se la politica calabrese non c’entrasse nel disastro che è sotto gli occhi di tutti e stigmatizza pure che “L’emergenza c’è, ma è colpa di chi non ha pianificato”, che proprio lui era tra quelli che non hanno pianificato. Che anche lui fa parte di quella classe dirigente di questo Paese, nazionale e regionale, che non è stata in grado di governare i fenomeni. Dimentica Scopelliti di essere stato già Sindaco di Reggio Calabria oltreché consigliere Regionale ai tempi del Presidente Chiaravalloti. Anche lui dovrebbe quindi, come classe dirigente di questa Regione, assumersi la responsabilità di un palese fallimento. Ma la miseria dell’informazione c’è, ed è anche calabra!

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Visita dei Radicali nelle carceri calabresi

Rita Bernardini
Maurizio Bolognetti, Rita Bernardini, Salvatore Colace e Giuseppe Candido in visita al Casa Crcondariale di Vibo Valentia il 6.3.2013 – Foto Francesco Lo Duca

Un dettagliato resoconto di Giuseppe Candido sulle condizioni dei detenuti delle Case circondariali di Vibo Valentia, Palmi e Reggio Calabria

di FRANCESCO LO DUCA

«La civiltà di un popolo si misura dalle sue carceri». Mossi dell’affermazione di Voltaire, deputati e senatori Radicali uscenti, hanno deciso di concludere il loro mandato parlamentare visitando alcune delle carceri italiane e, in questo «tour di civiltà», hanno ispezionando alcune delle carceri calabresi, «per verificare le condizioni di detenzione ma anche di lavoro di tutti coloro che prestano la loro opera all’interno degli istituti». In Calabria, mentre i giornali danno notizia di un altro suicidio, questa volta nel carcere di Crotone, il sei e sette marzo 2013, Rita Bernardini, deputata Radicale a termine del mandato, insieme ai Radicali Giuseppe Candido e Maurizio Bolognetti della Lista Amnistia Giustizia Libertà, hanno effettuato un “tour” di visite, sul grado di civiltà in tre delle dodici calabre galere: la casa circondariale di Vibo Valentia, quella di Palmi e di Reggio Calabria. Giuseppe Candido, uno dei partecipanti a questo itinerario carcerario calabrese, ha raccontato un’esperienza definita «toccante e formativa allo stesso tempo oltreché sicuramente rilevatrice di una scarsa civiltà del Paese in cui viviamo». Il “tuor” della delegazione radicale è iniziato dal Nuovo complesso penitenziario di Vibo Valentia, situato in località Castelluccio. I Radicali sono stati accolti e accompagnati dal direttore dell’Istituto penitenziario Mario Antonio Galati, dal comandante della Polizia penitenziaria di Vibo Valentia, Domenico Montauro e dal rappresentante sindacale Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), Francesco Ciccone. Nella Casa circondariale di Vibo sono in servizio 142 agenti (60 in meno rispetto alla pianta organica) che devono vigilare su 330 reclusi (la capienza organica dell’Istituto è di circa 260 ospiti). «Dei 330 detenuti – ha riferito dettagliatamente Giuseppe Candido – 123 sono in regime di media sicurezza, 204 alta sicurezza e soltanto 3 in regime di semi libertà. Sono 144 i reclusi in attesa di primo giudizio, 46 gli appellanti, 17 i ricorrenti e, soltanto, 92 quelli con sentenza definitiva; altri 17 detenuti hanno una condanna definitiva e uno o più procedimenti in corso e 7 sono in attesa di giudizio in più di un procedimento; 32 è il numero dei detenuti stranieri». Sono 160 i detenuti che frequentano corsi di istruzione e 68 lavorano in attività all’interno del carcere alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, ossia in attività di tipo domestico quale cucina, pulizia, lavanderia o di manutenzione dei fabbricati. Di recente, è stata decretata la chiusura dell’impresa privata che all’interno del carcere gestiva il laboratorio per la lavorazione dell’alluminio. «La prima cosa che ci sentiamo dire da alcuni detenuti – ha raccontato Candido – è che il Magistrato di sorveglianza non lo vedono quasi mai. Le lamentele più ricorrenti sono quelle relative all’elevato numero di ore al giorno passate nelle camere o cubi di pernottamento e soltanto due ore d’aria, mattina e pomeriggio. Ma è l’intera comunità penitenziaria a trovarsi in difficoltà: agenti, educatori, personale sanitario sono tutti costretti a vivere e lavorare in condizioni in cui si assiste sistematicamente a condizioni disumane delle persone detenute. I detenuti lodano l’impegno del personale di custodia ma per la forte carenza di organico anche la socialità per i detenuti del carcere di Vibo è ridotta al lumicino: un’ora due volte alla settimana». Un altro fattore di criticità è stato riscontrato nel freddo che i detenuti soffrono e nelle docce, spesso fatte (tre volte a settimana) con acqua fredda per un difetto al sistema di riscaldamento. «Occorre rifare le caldaie – ha detto Candido, riportando anche il rammarico del direttore del penitenziario espresso alla delegazione del partito di Marco Pannella – ma i fondi che l’amministrazione riceve sono insufficienti». A tal proposito, c’è l’impegno assunto da Rita Bernardini di intervenire presso il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per richiedere il necessario finanziamento, essenziale per il ripristino dell’impianto di riscaldamento. «Un altro aspetto che stupisce – ha proseguito Candido – è che molte persone, in attesa di sentenza definitiva, sono detenute assieme a persone già giudicate con una sentenza definitiva. Questa è una delle ragioni, assieme ai ridotti metri quadrati per ciascun detenuto e all’elevato numero di ore passate nelle camere di pernottamento, per cui l’Europa ci ha condannato l’8 gennaio scorso. Ci sono però casi positivi: un detenuto, ad esempio, ha pubblicato un racconto breve nel volume “L’altra libertà” vincendo il premio letterario Casali e, durante il suo periodo di detenzione, è riuscito anche a diplomarsi in Ragioneria, grazie a un corpo docente del carcere che, egli stesso, non ha esitato a definire straordinario, per l’impegno e la professionalità».

La mattina del giorno successivo, la delegazione radicale, accolta dal direttore Romolo Pani, ha ispezionato la Casa circondariale “F. Salsone” di Palmi (Rc). «Quello di Palmi – ha raccontato Giuseppe Candido – è un ex super carcere costruito su stimolo del Generale Dalla Chiesa, nel 1979, durante gli anni di piombo. Oggi il carcere svolge la tipica funzione di istituto giudiziario per detenuti in transito e con un elevato numero di traduzioni da un carcere all’altro». Proseguendo nel resoconto, con l’ausilio del suo bloc-notes, Candido ha affermato che nella casa circondariale di Palmi «su una capienza regolamentare totale di 206 posti, il giorno della visita ispettiva risultavano detenuti 267 persone, letteralmente stipate, di cui 195 detenuti in regime di alta sicurezza e altri 73 in regime di media sicurezza. In passato però la situazione è stata anche peggiore. Solo 44 detenuti, il 16,5%, hanno almeno una sentenza definitiva per cui, tutti gli altri, sarebbero da considerarsi presunti non colpevoli. I detenuti in attesa di un primo giudizio sono addirittura 163». Come si vive nel carcere di Palmi? «Le docce nelle celle – è stata la risposta – ci saranno soltanto nel 2014, per il momento sono ancora in “batteria” ma almeno qui hanno l’acqua calda. Tra lavoro e altre attività solo 20 detenuti sono impegnati: tutti gli altri passano 20 ore al giorno in quelle che invece, ricordiamolo, dovrebbero essere celle di pernottamento. Sono 15 detenuti che frequentano la scuola media e 5 quella elementare, mentre non ci sono scuole secondarie di secondo grado. Il laboratorio teatrale c’è ma non viene utilizzato; buona la collaborazione col Comune, che ha consentito la creazione di due posti di lavoro all’esterno del carcere e dove due detenuti sono affidati in regime di semilibertà. La sanità è un aspetto dolente perché, come ha spiegato il direttore, intorno al carcere c’è “un deserto sanitario”. I rapporti con il Magistrato di Sorveglianza sono buoni, e quando viene visita le celle dei detenuti per accertarsi delle loro condizioni». L’esposizione di Giuseppe Candido va avanti nella descrizione delle celle che «dovrebbero contenere al massimo quattro persone, mentre in alcuni casi, ce ne sono stipate come sardine anche sette. Un detenuto, ci ha fatto lui stesso notare, come la sua situazione di condannato definitivo, a scontare una pena residua di oltre dieci anni, fosse assolutamente incompatibile con quella del suo compagno di cella in custodia cautelare e in attesa di giudizio definitivo. Sono queste situazioni – commenta Candido – la diretta conseguenza del grave sovraffollamento». Dopo quasi cinque ore di visita, la delegazione radicale esce dal carcere di Palmi par dirigersi alla Casa circondariale di Reggio Calabria, dove sono accolti dal comandante e dalla direttrice reggente, dottoressa Longo. «Il carcere di Reggio – ha spiegato Candido – è anche dotato di una sezione femminile che al momento della visita ospitava 34 detenute, di cui 12 in alta sicurezza». Come sono le condizioni dei detenuti nella città dello Stretto? «Anche qui – è stata la risposta – c’è sovraffollamento, con 281 persone detenute, più sei in regime di semilibertà su un totale di 190 posti regolamentari; 138 sono detenuti in regime di alta sicurezza A1, 41 in alta sicurezza A2 e 38 i detenuti in media sicurezza; 25 in transito e 12 ammessi al lavoro esterno. Ma il dato che colpisce di più, oltre a quello del sovraffollamento, è il fatto che solo 56 detenuti, il 20% circa, hanno una sentenza definitiva, tutti gli altri sono in attesa di un giudizio definitivo e pertanto presunti non colpevoli. Soltanto sei – prosegue nel suo minuzioso elenco Candido – sono i detenuti ammessi al regime di semi libertà. La casa circondariale ha anche una sezione di osservazione psichiatrica giudiziaria. Nella sezione dell’alta sicurezza, nelle celle dove i detenuti con molto meno di 7 metri quadrati ciascuno trascorrono più di 20 ore al giorno, ci sono anche i letti a castello a quattro piani e c’è un solo telefono per cui molti detenuti lamentano che i propri familiari non possono telefonare perché trovano il numero occupato. Un particolare: c’è pure un laboratorio marmi che però non è mai entrato in funzione. Non c’è la scuola superiore, ma almeno ci sono la scuola media e quella elementare frequentata da 35 detenuti». A conclusione della seconda giornata di visite ispettive nelle case circondariali calabresi di Vibo, Palmi e Reggio i radicali Rita Bernardini, Maurizio Bolognetti e Giuseppe Candido hanno affermato di non voler mollare, promettendo, «anche fuori dal Parlamento, un impegno sul diritto dei cittadini e sull’urgenza di riportare il nostro Paese nelle condizioni civili di uno Stato di diritto».

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Tra l’America e la Calabria

di Maria Elisabetta Curtosi

“Tutte le mattine passavo in traghetto davanti alla Statua della Libertà e a Ellis Island, e ripensavo ai miei all’epoca in cui erano approdati in questo paese:  erano emozionati come lo ero io arrivando al porto in quella prima mattina d’ottobre? ”.  Frank McCourt, nel suo libro ” Che Paese, l’America” ( Adelphi,442 pagine,19 euro).

Una domanda alla quale non c’è risposta e che interessa milioni d’italiani partiti verso la fine dell’Ottocento  al di là dell’oceano per motivi di lavoro e non solo.

I versi di Michele Pane, poeta calabrese non hanno bisogno di commenti. << Maju addurusu,tu chi ‘mbuoschi l’arvului de lu coluri bellu d’a speranza, rinvirdi u cori miu chinu di triguli,fallu sonari n’tra vota tu.?mulicammillu ccu pampini tennari,frischi di l’acquazzina- cum’è usanza-pè sanari li piaghi chi lu vruscianu, ca niujia medicina cci poti cchiù: majiu addurusu e menta di papaveri, di suia,di murtijia e nepitella, fammi tu risbigghiari dintra st’anima tutto l’adduri d’amia gioventù; fammi penzari sempi sempi mammama  achijia cara vecchiarejia chi m’aspetta, suspira, chianti, spantica pecchi si spagna ca no tornu cchiù.Majiua addurusu mio fammi tu sentere n’atra vota la notti i vrisnignoli e alla matina i rondini e li passeri comu i sentia quando era jia, fammi vidimi ancora ntra li ticini di li picchi e di li torturi lu volu e u scrusciu di funtani fammi sentiri nò lu forti rumuri di sta città>>.

Un passato di miseria e mortificazione molto simile al presente degli altri.

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In Calabria è caos rifiuti ma la partitocrazia non da’ risposte

E rischia di essere travolta dallo tsunami a 5 stelle

di Giuseppe Candido

Rifiuti difronte la scuola elementare di Botricello (CZ) (Sic!)
Rifiuti difronte la scuola elementare di Botricello (CZ) (Sic!)

Come si può pensare o a sperare neanche minimamente che proprio la stessa classe dirigente che ha, negli anni, causato il disastro rifiuti in Calabria, un’emergenza drammatica che ormai dura da quasi 20 anni e che si acuisce giorno dopo giorno sotto gli occhi di tutti i cittadini calabresi, sia adesso capace di risolvere il problema dei rifiuti con un “nuovo” piano per l’emergenza: 27 pagine in cui neanche compaiono le parole “trattamento meccanico-biologico” e nel quale, ancora, si continua a parlare di altre discariche, ampliamento degli inceneritori esistenti e obiettivi di raccolta differenziata minimali. E ha ragione da vendere il vice presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, a bocciare senz’appello le nuove linee guida del Piano rifiuti della Calabria approvate dal Dipartimento Ambiente della Regione Calabria lo scorso 28 gennaio 2013, in piena propaganda elettorale. Ed è pur vero, anche secondo chi scrive, che se pure la politica calabrese continuerà a comportarsi da partitocrazia impermeabile al cambiamento, lo tsunami a 5 stelle rischia di travolgerla. E a nulla serviranno operazioni di puro maquillage. Per anni si è pensato che attraverso il commissariamento, la relativa proclamazione a termine e proroga continua dello stato di emergenza si riuscisse, superando le regole e i vincoli burocratici, di accelerare le procedure e consentire così l’uscita dall’emergenza in tempi brevi. Così non è stato, anzi: la proroga continua e infinita dell’emergenza rifiuti ha fatto sì che la legge derogata, la regola aggirata per l’emergenza, venisse di fatto strutturalmente dimenticata in favore di procedure tese a favorire clientele: appalti e incarichi professionali, per anni, sono stati dati senza alcun controllo preventivo; i bilanci dell’Ufficio del Commissario, giusto per ricordare ancora l’articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere che citava la relazione dello stesso commissario dell’emergenza uscente Ruggiero, venivano fatti sui foglietti. La Calabria in quell’occasione guadagnò le prime pagine dei quotidiani nazionali: ricordate? E mentre la politica nostrana aveva facile modo di spendere male i soldi che arrivavano negli anni dalla comunità europea per far fronte all’emergenza il problema ha continuato a esistere e persistere diffuso, la raccolta differenziata si è attestata tristemente, secondo il rapporto dell’Ispra, al 12,43% stante l’obiettivo posto al 31 dicembre del 2012 fosse stato programmato nel precedente piano rifiuti della Regione approvato nel 2007, al 65%. Una prova evidente, palese ma forse anche per questo ignorata nelle veline, di un fallimento; una prova che, però, non pare ancora sufficiente, evidentemente, a far cambiare drasticamente rotta. L’obiettivo del 32,6% di raccolta differenziata che la Calabria si pone nelle nuove linee guida senza neanche fissare una data precisa per il raggiungimento, è fuori dalla realtà europea e nazionale, e anche gli stessi, in realtà assai pochi, comuni calabresi che hanno oggi raggiunto obiettivi di raccolta differenziata maggiori per proprio impegno e virtuosismo, si chiederanno ora se devono ritornare indietro. Paradossale, roba da “morti che parlano”, ma tant’è. Addirittura, nel nuovo piano rifiuti si vola talmente in ribasso senza porsi neanche la domanda del “come” avviare la Regione alla fine di un’emergenza che dura ormai da quindici anni. Come uscire dall’emergenza? Costruendo altre discariche e ampliando quelle esistenti? Costruendo nuovi inceneritori e potenziando quelli esistenti? Su questo, volessimo davvero volare un po’ alto, dovremmo quantomeno osservare come fanno in altri Paesi assai più virtuosi del nostro dove, abbandonato l’incantesimo degli inceneritori da qualche anno, si è spinto assai sul riciclo, il riuso, la raccolta differenziata e, per la parte non riciclabile che comunque residua, si è optato per il nuovo sistema di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti come alternativa agli assai più pericolosi, e soprattutto assai più contestati, inceneritori che qualcuno, ostinandosi, continua ancora a chiamare impropriamente “termo-valorizzatori”.

La raccolta differenziata porta a porta anche della frazione organica è sicuramente il punto cardine del ciclo integrato ma, la differenziata da sola non basta: è necessario innescare a valle del sistema rifiuti una filiera del riciclaggio delle materie prime e del riuso, dalla quale è senz’altro possibile creare posti di lavori “ecologici” che potrebbero rappresentare, tra l’altro e cosa non da poco, davvero un volano positivo anche contro la crisi in atto nella nostra Regione. Il rifiuto “organico”, anch’esso raccolto porta a porta, dovrebbe andare agli impianti di compostaggio diffusi sul territorio ed utile per produrre bio-fertilizzante o energia da biomassa.

Quello che comunque non risulta riciclabile (o ancora raccolto indifferenziato) in Germania non lo si manda in discarica, né all’inceneritore. Trattare senza incenerire è la regola: evitando, tra l’altro, di inviare in discarica le ceneri tossiche degli inceneritori o il rifiuto tal quale putrescibile e quindi di per sé pericoloso per i percolati che produce. Il rifiuto non differenziato lo si può, infatti, rendere inerte mediante il c.d. trattamento cd meccanico-biologico a freddo che, già da qualche anno ormai, in Germania risulta in grande evoluzione: 64 gli impianti di TMB contro i 73 inceneritori. I rifiuti che rimangono indifferenziati e non riciclati vengono dapprima selezionati da appositi macchinari cercando di recuperare ancora vetro, metalli ed altro materiale riciclabile. Dopodiché il rimanente viene inviato in appositi “bio-reattori” chiusi e dotati di speciali “bio-filtri” che essiccano, a 40-60°C, ciò che rimane. Il tutto senza bruciare e producendo un biogas utile per produrre energia e far funzionare l’impianto stesso. Il materiale così essiccato viene così ridotto del 40 – 50% rispetto alla massa in ingresso, non è più putrescibile e non è nemmeno una cenere tossica come invece è quella incombusta che residua dagli inceneritori tradizionali. Infatti, essendo stato reso inerte, il materiale prodotto dal tmb lo si può addirittura riciclare in edilizia come sottofondo stradale evitando cave di prestito che deturpano i nostri paesaggi. Gli inceneritori, lo sappiamo bene noi calabresi, non eliminano affatto le discariche ma, anzi, producono delle ceneri altamente tossiche in quantità pari a circa il 25% di ciò che viene bruciato, e che richiede dei particolari accorgimenti per essere smaltite. Vent’anni fa, nel 1993 il Wall Street Journal, riportò un articolo in cui si affermava chiaramente che “quello degli inceneritori è il metodo più costoso di smaltimento dei rifiuti. Un impianto di trattamento meccanico biologico” – proseguiva allora l’articolo – “costa invece il 50-70% in meno di un inceneritore e il materiale che rimane è riutilizzabile come inerte o per produrre combustibile da rifiuti”. Oggi, nell’ambito di un ciclo integrato dei rifiuti, assieme alla raccolta differenziata porta a porta e al compostaggio dell’umido, il trattamento meccanico biologico a freddo sarebbe accettato certamente più facilmente dalle popolazioni perché ha costi ambientali decisamente inferiori consentendo di abbattere gran parte degli inquinanti: 5 kg di polveri prodotte per tonnellata di rifiuti trattate contro i 38 kg degli inceneritori; 78 Kg di ossidi di azoto (nitrati e nitriti) contro i 577 kg per tonnellata di rifiuti trattati con inceneritore; scarti solidi pesanti a tossicità media contro quelli a tossicità alta sempre degli inceneritori; pochi fumi a bassa tossicità contro elevati quantitativi di fumi ad elevata tossicità degli inceneritori; 40 nanogrammi di diossine per tonnellata trattata che, con particolari accorgimenti, possono scendere addirittura a 0,1 nano grammi, contro i 400 nanogrammi rilasciati degli inceneritori per ogni tonnellata di rifiuti trattati. Ma la vera domanda è: sarà in grado la classe dirigente di questa Regione di accorgersene e cambiare rotta prima che, anche qui, l’onda della protesta la travolga?

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Il tema: l’emigrazione.

di Maria Elisabetta Curtosi

“La fuga è oggi il tema della vita calabrese. Ho sentito dire da molti stranieri che è una delle più belle d’Italia. Ma sicuramente “si piange due volte: quando uno arriva e quando se ne va”. Si fugge e si rimpiange la sua pena, si torna e si vuole fuggire, come la casa paterna dove il pane non basta. E una tale fuga il calabrese se la compie anche se sta seduto a un posto, in un ufficio o dietro uno sportello. E’ raro vedere qualcuno che si trovi realmente dove sta. Fisicamente o fantasticamente, la Calabria è oggi in fuga da se stessa. L’Italia meridionale le combatté tutte (le guerre) considerandole un’evasione e una breccia per l’emigrazione. Cosi scriveva Corrado Alvaro in “Un treno nel Sud”. “ Eccezionalmente si impiega ancora oggi il lamento funebre in occasione di un equivalente critico della morte,come la partenza per il servizio militare o per la guerra , o per l’America. E anche qui vi sono segni che in un passato relativamente recente l’uso doveva essere molto più diffuso”. Cosi Ernesto De Martino nel 1958.  Invece Luigi M. Lombardi Satriani, sostiene che “ anche l’emigrazione,oltre che la guerra ed agli altri eventi è una minaccia perché anch’essa costringe ad un radicale distacco dal proprio paese e recide la continuità emotiva tra gli appartenenti al nucleo familiare e alla parentela, sconvolgendo i quadri di riferimento culturale”.  “L’emigrazione, continua l’antropologo di grande cultura di San Costantino di Briatico, è risposta contro la morte, ma è essa stessa morte, in quanto viaggio, separazione dal noto, rischio della perdita della presenza da controllare anche se essa muta come fenomeno storico nelle sue varie fasi,mete, ritmo, modalità e tempi”.

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Che cos’è un classico

di Maria Elisabetta Curtosi

Nel 1944 lo scrittore inglese T. S. Eliot pronuncia il suo noto discorso “Che cos’è un classico”, atto alla riscoperta e all interpretazione della personalità di Virgilio e in particolare dell’Eneide. Attraverso tale opera letteraria, Eliot mostra la profonda intenzione di rivalutare ufficialmente il poeta latino, considerato il classico dei classici; di intraprendere uno studio che rappresenta la ricerca di un punto fermo, di un superamento delle varie divisioni di «provincia» presenti nella comunità umana.
L’autore ha elaborato una definizione di classico applicabile solamente a Virgilio; come viene espresso nel discorso, un autore si definisce classico quando: è il prodotto di una «civiltà matura»; la sua maturità è caratterizzata dalla «consapevolezza della storia» e si manifesta come maturità di linguaggio è in grado di costituire un riferimento e un termine di paragone per le letterature dei popoli differenti.

E’evidente che queste caratteristiche raggiungono in Virgilio la massima espressione. In “Che cos’è un classico” Eliot conduce un interpretazione di Virgilio, servendosi del poeta per condannare «il provincialismo».

“…E fra i grandi poeti greci e romani, credo che andiamo massimamente debitori del nostro ideale di classicità a Virgilio; questo voglio ripeterlo, non è lo stesso che definirlo il più grande, o quello al quale dobbiamo di più: parlo qui d’un debito particolare. La speciale natura della sua comprensività è dovuta alla posizione, unica nella nostra storia, dell’impero romano e della lingua latina: una posizione che può dirsi conforme al suo fato. Questo senso del fato prende coscienza di sè nell’Eneide….”

“… Virgilio si conquista la «centralità» del classico supremo; è lui il centro della civiltà europea, in una posizione che nessun altro poeta può condividere o usurpare…”

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Vincenzo Ammirà e la letteratura.

di Maria Elisabetta Curtosi

Di Ammirà la cronaca e certa letteratura ne hanno fatto oramai un ritratto che sarà molto difficile da scalfire, perché non c’è saggio, memoria e aneddottistica che ha impresso a fuoco: angelo per pochi, demonio per gli altri.

Il giuoco libero della poesia. Tra le voci poetiche fra le più libere ed autentiche  non soltanto della letteratura calabrese del secolo per antonomasia ma della letteratura erotica italiana. E come tale quindi messo al rogo. Parlava allo spirito, Ammirà. Non era amato manco lui da quei “professorini da caffè ”. Lui ricambiava volentieri, anzi nella sua poesia dialettale la pseudo autorità svanisce sotto i colpi della libera voce di Ammirà, tutta volta alla realizzazione dei più alti ideali umani.

Ci ha rimesso solamente la cultura perché le loro opere sono solo per pochi intimi e quei pochi ne hanno fatto uno stereotipo di una poesia pornografica, oscena, sottoposta

continuamente al dominio del potere nelle sue variegate forme.

Invece si tratta a nostro modesto parere di poeta romantico. Egli esprime il carattere del vero calabrese, romantico,irriverente, individualista, sarcastico, ribelle contro ogni tipo di sopruso, insomma quella calabresità tipica dei grandi della nostra terra che ha avuto in Campanella l’espressione più alta. Ammirà non è mai stato un poeta da officina, non sostava nelle biblioteche o nelle sacrestie e questo è un altro punto su cui il poeta monteleonese si distacca  non tanto dagli uomini della generazione poetica coeva. Rispetto ad altri poeti egli ha saputo e potuto essere moderno in modo del tutto diverso dai suoi contemporanei. Negli altri prevaleva il criterio retorico,mentre per Ammirà l’unico criterio restava quello di una funzione naturale che anticipava e annullava le ragioni di un ordine letterario. Il linguaggio di Ammirà non era asettico, rassicurante ma altamente simbolico, efficace e comprensibile a tutti perché linguaggio del dolore e della gioia,della passione, dell’amore sempre naturale, non artificioso, diretto, genuino che nasce e si ciba della cultura popolare.

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