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Amantea (CS), 29.09.2012 – Assemblea Nazionale della Gilda degli Insegnanti. Intervista a Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda degli Insegnanti – FGU

di Giuseppe Candido 1

Dal recupero degli scatti stipendiali alla stabilizzazione dei docenti precari. Quale futuro per la professione docente? L’Assemblea Nazionale della Gilda degli insegnanti si è riunita il 28, 29 e 30 settembre, in Calabria per l’inizio dell’anno scolastico e da qui intraprendere iniziative e proclamare uno sciopero nazionale degli insegnanti e del personale della scuola investendo la direzione nazionale per molte altre iniziative di lotta. Ne parliamo con Rino Di Meglio, coordinatore nazionale del sindacato dei docenti italiani, sempre disponibile.

Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti
Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti

  D: In questo momento di crisi la Gilda degli insegnanti chiede ai docenti italiani di scioperare. Quali le motivazioni di questo sciopero?

 R: Proprio oggi l’assemblea nazionale della Gilda degli Insegnanti ha votato a larghissima maggioranza, mi pare con 496 voti a favore e solamente 6 astenuti (nessuno contrario – ndr), l’idea di cominciare a lavorare per uno sciopero su alcuni argomenti di cui quello centrale è che, lo dico con molta chiarezza, gli insegnanti si sentono presi in giro perché lo scorso 12 giugno ci fu un incontro col Ministro Profumo, ci fu una promessa di un atto d’indirizzo all’ARAN per risolvere la questione del pagamento degli scatti del 2011, abbiamo aspettato inutilmente di settimana in settimana e finora, di concreto, non abbiamo visto nulla perché l’atto di indirizzo non esiste, la convocazione (dei sindacati – ndr) all’ARAN neppure e, siccome la pazienza ha un limite, e noi se va avanti così ci sentiamo in dovere di indire uno sciopero e un’iniziativa di lotta seria.

 D: Perfetto, quindi il recupero degli scatti stipendiali. La vicenda della Regione Lazio e delle caste dei parlamentini regionali che stanno emergendo sta mettendo in mostra come l’autonomia, data senza controlli, può essere un rischio per la spesa. C’è lo stesso rischio nella scuola pubblica?

 R: Si, c’è lo stesso rischio nella scuola sicuramente. Anche nella scuola ci sono dei fondi che sono gestiti direttamente: c’è il fondo d’istituto che è quasi un miliardo di euro l’anno, ci sono i fondi dell’Unione europea che attualmente ammontano a uno stanziamento di 3,8 miliardi da spendere in cinque anni.

 D: I famosi fondi PON nelle regioni del mezzogiorno?

 R: Fra l’altro ci sono i PON; questi sono nelle regioni del Sud tra cui la Calabria. Poi ci sono altri progetti: ne ho visto di fantasiosi anche nel Veneto dove ho visto che viene finanziato addirittura un progetto “frutta”. Si tratta di somme che spesso vengono sperperate e qualche volta c’è anche il sospetto che vengano distribuite in modo non del tutto equo. Anche nella scuola è stata voluta quest’autonomia “spinta” che adesso si vorrebbe addirittura aumentare ancora col ddl così detto Aprea, che è passato in Commissione Affari e Cultura alla Camera dei Deputati, ma in realtà non ci sono controlli efficaci. Fa ridere se si pensa che i revisori dei conti delle scuole sono, in realtà, impiegati dell’amministrazione che si son fatti un corsetto per capire qualche cosa di bilanci. Non è possibile pensare che i soldi dei cittadini, perché son soldi dei cittadini, vengono controllati in questo modo.

 D: Il convegno che il prossimo 5 ottobre la Gilda ha organizzato in occasione della giornata mondiale dell’insegnante ha il titolo “La Governance della Scuola: quale futuro per la professione docente”. Allora la domanda che le rivolgo è proprio questa: qual’è il futuro per la professione docente in Italia?

 R: Penso che l’Italia ha visto molti anni di errori nelle politiche scolastiche, per mancati investimenti. Ma voglio dire una cosa: gli insegnanti in Italia hanno un’antica tradizione di povertà, proprio storica. In questo Paese gli insegnanti non sono mai stati pagati bene, però c’è stato un lungo periodo storico nel quale, almeno, l’insegnante aveva considerazione sociale e rispetto.

Il Presidente della Repubblica, l’altro giorno, inaugurando l’anno scolastico ha fatto un forte appello affinché ci sia rispetto per gli insegnanti. Ma rispetto degli insegnanti devono averlo, anche, i Politici che non possono continuare a scrivere delle norme di legge nelle quali trasformano la scuola in una specie di azienda privata, dove c’è il dirigente che viene trasformato in un così detto manager. Manager, del nulla: perché quando si gestisce denaro pubblico non c’è il manager, ci deve essere un oculato amministratore semmai. E sempre di più, in questo sforzo di rendere le scuole molto simili ai Comuni e alle ASL, succede che la professionalità del docente, della sua stessa autonomia culturale e didattica, ne escano mortificate. Bisogna fare un passo indietro, riflettere su ciò che è avvenuto fino adesso e ripensare a quale debba essere la professione docente, quale debba essere l’autonomia culturale degli insegnanti e riscrivere le norme in modo da garantire un buon servizio di scuola pubblica statale.

 D: Quindi la Gilda degli Insegnanti dà appuntamento il prossimo 5 ottobre a Roma. Un’ultima domanda sul rapporto sindacati governo. Abbiamo notato come, nell’indire il Concorso per docenti il Governo non ha neanche sentito i sindacati. È una novità? Una forzatura?

R: Debbo dire che, anche in questo caso, il rapporto è in degrado. Nel susseguirsi degli ultimi governi abbiamo toccato dei punti molto bassi nelle relazioni sindacali. Sia col governo precedente, Berlusconi (Gelmini per quel che riguarda la scuola), sia quello attuale: il Ministro Profumo è molto latitante, assume delle decisioni importanti come ad esempio quella di bandire un concorso senza sentire il bisogno di ascoltare almeno la voce dei sindacati. Non dico che il sindacato debba decidere le cose perché la decisione spetta alla parte politica; ma l’ascolto verso chi rappresenta gli insegnanti che lavorano nella scuola, mi sarebbe parso doveroso anche per evitare dei grossi errori che possono portare a vanificare il lavoro del Ministro.

 D: Sia più chiaro: quindi un concorso per docenti che, cos’ha di sbagliato in questo caso?

R: (Il bando – ndr) Beh, è illogico rispetto al fatto che, negli ultimi vent’anni, il governo è stato latitante nei concorsi, ha sfruttato il precariato, ha sfruttato i vecchi abilitati, tutta gente che comunque un concorso l’aveva già superato facendosi un’abilitazione, l’ha tenuti a lavorare per anni. Io penso che la soluzione di questo problema, cioè della stabilizzazione di queste decine di migliaia di persone che già lavorano nella scuole, debba essere prioritaria. Va bene l’avvio di un meccanismo concorsuale, che sicuramente è il migliore per la selezione ma il Ministro avrebbe potuto, con più saggezza, procedere ad iniziare i concorsi solo dove vi siano stati gli esaurimenti della graduatoria dei vecchi concorsi. Si poteva procedere in modo più limitato.

 Bene, ringraziamo Rino Di Meglio, sempre disponibile per Abolire la miseria della Calabria, e lo lasciamo tornare all’assemblea che volge a chiudere la sua seconda giornata. Grazie.

1 Responsabile comunicazione – Direttivo provinciale della Gilda degli Insegnanti – Catanzaro

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Memorie storiche: I Prefetti di Catanzaro

 di Giuseppe Candido

Il Prefetto è un organo periferico dell’Amministrazione statale con competenza generale e funzioni di rappresentanza governativa a livello provinciale. Egli è autorità provinciale di pubblica sicurezza e, successivamente l’Unità d’Italia, esercitò tutte le funzioni dell’amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri uffici.

L’importanza del Prefetto durante il periodo liberale emerge dalle definizioni che i giuristi di quel periodo diedero dell’istituto. Giuseppe Saredo affermò: “Ogni Prefetto è un Ministro nella provincia che governa”, Teodosio Marchi aggiunse: “Se si ha però riguardo al fatto che la legge concede al Prefetto ciò che non concede al Ministro, che gli concede cioè di fare in caso di urgenza i provvedimenti che crede indispensabili nei diversi rami di servizio (articolo 3 della legge comunale e provinciale del 1865), si sarebbe tentati a concludere che un Prefetto è nella provincia qualcosa di più di un Ministro nello Stato”. 
Gli storici concordano con la valutazione dei giuristi Gaetano Salvemini definì, infatti, il periodo liberale “prefettocrazia”.

L’atto di nascita del Prefetto italiano è il regio decreto 9 ottobre 1861 n. 250 secondo cui i governatori delle province avrebbero dovuto assumere il titolo di Prefetto, gli intendenti di circondario quello di sottoPrefetto e i consiglieri di governo quello di consiglieri di prefettura. Nel nuovo regno, fu ripristinato il titolo attribuito, durante il dominio francese nella Penisola, ai rappresentanti periferici del Governo preferendolo a quello di “governatore” che era stato adoperato dalla legge comunale e provinciale piemontese 23 ottobre 1859 n. 3702. Il titolo di Prefetto fu prescelto perché il ricordo dei Prefetti del periodo napoleonico era associato all’unico esempio di amministrazione moderna e fattiva che l’Italia avesse sperimentato.

Soprattuto nel Mezzogiorno, col fenomeno del brigantaggio e l’analfabetismo dilagante, il ruolo dello Stato era in mano ai Prefetti.

Il Prefetto indossava, nelle cerimonie solenni, l’uniforme confezionata secondo il modello stabilito dal r.d. 11 dicembre 1859 per i governatori delle province sabaude che, come si è detto, furono denominati Prefetti nel nuovo regno. Il trattamento economico dei Prefetti era più elevato rispetto a quello attribuito allora ai direttori generali e ai segretari generali dei Ministeri; inoltre, ai Prefetti delle sedi più importanti erano concesse indennità per spese di rappresentanza (legge 25 giugno 1877 n. 325).

Ma come ci ricorda il professore Antonio Carvello nel suo scritto La Questione meridionale: dalle origini al dibattito contemporaneoi, “Negli anni seguenti al 1861, in assenza di una politica governativa diversa da quella storicamente intrapresa – … – l’iniziativa dell’opera di propaganda e di denuncia non spettò alla democrazia radicale, alla quale in pratica rimase estranea la sostanza politica del problema, ma a pochi intellettuali conservatori, ma illuministicamente riluttanti a chiudere gli occhi sui problemi che la bruciante realtà meridionale (brigantaggio, fame di terra da coltivare, arretratezza economica complessiva, agricoltura arcaica clientelismo diffuso, ecc .) proponeva”. Insomma, tradotto in soldoni: anche allora come oggi, la politica e la classe dirigente fecero “fiasco” e spettò alla cultura muovere la denuncia.

Subito dopo l’unificazione, anche Cavour dovette infatti “prendere drammatica coscienza dell’esistenza di una profonda frattura fra le “due Italie”, di un distacco misurabile non solo quantitativamente, ma anche in termini sociali e morali”. Amministratori inetti, assolutamente inidonei a risollevare le sorti del Mezzogiorno, si alternarono senza produrre però alcuna valida alternativa vera alla miseria delle popolazioni.

Solo tra il 1860 e il 1891, nei 32 anni che seguirono l’unificazione, nella Provincia di Catanzaro si alternarono ben 25 Prefetti, molti dei quali, stando proprio alle cronache del tempo, completamente inidonei, salvo pochissime eccezioni, a svolgere il ruolo che ricoprivano.

Nel maggio del 1860, al momento in cui il Re Francesco II di Borbone concedeva nuovamente la Costituzione che il padre, già nel 1848, aveva concesso ai sudditi dei suoi domini “al di qua e al di là del faro”, era intendente alla Provincia di Catanzaro il Conte Viti. Venne per pochi giorni dopo di lui a reggere la Provincia il Cavaliere Colajanni, “che non la sciò traccia né ricordo di sé”. A raccontarcelo è un editoriale pubblicato sull’Avvenire Vibonese, il settimanale rappresentato dall’Avvocato Antonino Scalfaro e che si pubblicava a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia) alla fine dell’Ottocento. Al Colajanni – ricorda Scalfari – successe il Commendatore Leonardo Larussa che, nello stesso tempo, occupava anche la poltrona di Senatore del Regno. Doppie poltrone e doppi incarichi allora come oggi?

In Agosto del 1860, poiché in quel tempo le questioni amministrative, come le politiche aveano la vita delle rose, l’espace d’un matin, un moto popolare sostituì al Larussa, l’ex-canonico, poscia Deputato al Parlamento, Antonio Greco, mentre un’altro partito sosteneva Ippolito de Riso, entrambi allora reduci dall’esilio”.

La sfilata d’amministratori durati il tempo d’un cerino è solo agli inizi: già nel settembre del 1860 scopriamo che il Greco viene “surrogato da Vincenzo Stocco, che giungeva colla qualità di Pro-Dittatore, in virtù di un Decreto del Generale Garibaldi”. Ma il popolo insorge per ottenere la divisione dei beni comunali. “Stocco è largo di promesse, ma” – scrive in prima pagina Antonino Scalfaro – “nella notte parte, lasciando al governo della Provincia, Gaetano Cammarota, Consigliere Delegato, allora si diceva Segretario Generale”. Un guazzabuglio che non si arresta: dopo il Plebiscito, cioè alla fine dell’ottobre, “ritorna lo stesso Vincenzo Stocco, non più Pro-Dittatore, ma governatore della Provincia, e ne riparte al successivo Marzo 1861”.

In una sorta di avvicendamento irreale che ricorda il più recente scambio di poltrone tra il Sindaco Abramo, pio Traversa, poi di nuovo Abramo, allo Stocco succede governatore della Provincia nuovamente il Cammarota che, in luglio del 1861, è travolto dalla minaccia di una reazione popolare, e viene destituito. Al suo posto, scrive ancora Scalfari, “è destinato a governare la Provincia, col titolo di Prefetto, Decoroso Sigismondi, che durò appena un anno, lasciando di sé non grata memoria”.

A lui successe per pochi mesi, Antonino Plutino, “uomo egregio per molti titoli, ma” – spiegava il giornalista sulle colonne dell’Avvenire – “sprovvisto d’energia e privo di qualunque cultura amministrativa”. Il Plutino sai dimise il 25 agosto del 1862 all’approssimarsi del moto Garibaldino, che col motto: Roma o morte, “dovea avere così tragica soluzione in Aspromonte”.

Nel settembre dello stesso anno giunge a Catanzaro il Prefetto Cler. “Un buon amministratore in tempi ordinari”, ma che in quei giorni tumultuosi, nel turbinio delle passioni politiche, “non poteva far apprezzare le doti della sua mente”. Ad appena un anno, nel settembre del 1863, viene poi nominato Prefetto di Catanzaro il Barone Cusa, un Signore siciliano, “gentiluomo distintissimo”, che in presenza delle difficoltà amministrative che incontrava, “pensò meglio chiedere le sue dimissioni”.

Nel novembre del 1864 succederà al Cusa il Commendatore Homodei, “col quale” – specifica il giornalista con vivo senso umoristico – “pare volle fermarsi la ridda Prefettizia, perché durò in quell’uffizio circa due anni”. Durata fino ad allora da nessun altro raggiunta. Uomo violento, per quanto non sprovvisto d’intelligenza, la Provincia di Catanzaro “deve a Lui gli anni più tristi del brigantaggio, che aumentò fino al punto di provocare eccezionali e deplorevoli misure”.

Nel settembre del 1866, dopo l’Homodei fu nominato Prefetto il Commendatore Antonio Malusardi che riuscì quasi a distruggere il brigantaggio, “e lo avrebbe del tutto estirpato, se la guerra occulta mossagli in conseguenza della fermezza spiegata, non fosse riuscita ad allontanarlo da Catanzaro. Il ricordo che lasciò gli valse, più tardi, l’onore di un ritorno, nel quale ebbe a compiere la missione che si era imposta”.

Dopo il Malusardi, provvisoriamente resse la Prefettura il Consigliere Camerata Scovazzo sino a quando, nel marzo del 1868, venne destinato a Catanzaro il Commendatore Alvigni che, a quanto ricorda la cronaca dell’Avvenire, “fu un buon amministratore, alquanto burbero, ma pieno di buone intenzioni, non sempre accompagnate da senso pratico”. Credeva in buona fede “di riuscire a sviluppare la prosperità economica della Provincia coll’impianto nei principali Comuni delle Bnache Poplari” ma restò a Catanzaro anch’egli meno di un anno. Già nel novembre del 1868 l’Alvisi fu infatti sostituito dal Marchese Caccavone. “Un uomo di mondo, con molto ingegno, ricco di spirito, fuorviato nei meandri del dettaglio amministrativo, ai quali disdegnava per ingenita indolenza dedicare la sua mente”. Tanto da consentire al giornalista l’affermare che, “Se la Prefettura fosse stata un Club, Caccavone sarebbe riuscito il miglior Prefetto di Catanzaro. Invece lasciò buona memoria di sé per le sue brillanti qualità personali: nessuna traccia come amministratore”. Partì il 23 marzo del 1870 e dopo un mese di provvisoria sostituzione da parte del Consigliere Vincenzo De Felice, fu nominato prefetto di Catanzaro Bartolomeo Casalis, un “ex Deputato di sinistra, tanto lungo, per quanto inadatto all’Uffizio”. Appena giunto a Catanzaro, fa infatti notare il giornalista, “ruppe in visiera a torto e a rovescio con Municipi, Congregazioni di Carità, si urtò col Consiglio provinciale, mostrò di voler riparare tutti gli abusi, di riformare tutto ab imis fundamentis, fece un chiasso indiavolato, e non conchiuse nulla”. Alla prima difficoltà incontrata, in occasione della proclamazione della Repubblica di Curinga, “perdette le staffe, diede a quel moto inconsulto proporzioni e importanza che non avea, ci confortò col memorando proclama: niente paura, e scomparve destando molta ilarità, poca malevoglienza”.

Dopo un lungo interregno, il 25 gennaio del 1872 viene nominato Prefetto di Catanzaro il Commendatore Ferrari. “Un gran galantuomo, un tipo patriarcale di bontà, un amministratore debole e inetto” tanto da consentire l’affermazione senza timore di smentita che “durante la sua dimora resse la Provincia chi volle”. La sua bontà, spiega il giornalista, lo rendeva incapace di resistenza e “L’azienda Provinciale deplora ancora le conseguenze della sua debolezza”.

L’8 gennaio del 1874, dopo appena due anni dalla nomina del Ferrari, viene nominato nuovo Prefetto di Catanzaro il Commendatore Sensales. “Era allora, ed è tuttavia uno dei migliori Prefetti del Regno. Lavoratore assiduo, mente elevata, occhio finissimo per apprezzare gli uomini, e le difficoltà delle cose, ricco di risorse per superarle, nella polizia e nell’amministrazione lasciò memoria dell’opera sua, che non è ancora sparita”. È al Sensales che si deve infatti la quasi sconfitta del brigantaggio al quale “tagliò le radici” rendendo facile ai successori abbatterlo completamente. “Dopo di lui, la mala pianta del brigantaggio non poté più vegetare. Quando partì fu fischiato anche se, dopo la sua partenza, fu desiderato e invocato”.

Nel marzo del 1876 il Sensales fu revocato e, l’11 maggio, “si vide apparire come una meteora, e scomparire quasi subito il Commendatore Giuseppe Rossi” la cui nomina, secondo l’Avvenire Vibonese, “arricchì soltanto l’elenco dei Prefetti”. Dopo appena cinque mesi, nell’ottobre del 1876, fu chiamato a succedere al Rossi, il Commendatore Malusardi venuto per la seconda volta nella Provincia per compiervi l’opera (di estirpazione del brigantaggio ndr.) così felicemente preparata dal Sensales. Con il Malusardi si estingue e “diviene una memoria storica, lo stato di brigantaggio nella Provincia. “Questo risultato”, spiega il giornalista, “basta ad assicurare al Malusardi la riconoscenza di queste popolazioni”.

Dal dicembre del 1876 sino a novembre del 1877 fu Prefetto di Catanzaro il Commendatore Gateano Coffaro. A questi successe il Commendatore Giuseppe Colucci, che tenne il governo della Provincia per quasi cinque anni, cioè dal novembre del 1877 fino alla metà del 1881.

Uomo di grande ingegno, dotato di non comune sveltezza, ricco di svariata cultura” lo definisce l’articolo, “fece molto bene all’amministrazione affidatagli. Le contabilità comunali sono tutt’ora impiantate secondo le norme e le istruzioni da Lui dettate”. Le delegazioni per le strade comunali obbligatorie “ricevevano da Lui impulso a compiere di Uffizio queste costruzioni nel termine stabilito, almeno per tre quarti dei Comuni”. E ancora: “Il manicomio Provinciale fu da Lui voluto, proposto, fatto adottare dal Consiglio Provinciale. Forse non spiegò tutta l’energia di cui è veramente capace, trattenuto dalla instabilità dei primi Ministeri di Sinistra. La sua amministrazione dovea risentire dell’incertezza dell’indirizzo governativo. Malgrado queste condizioni eccezionali fu tra i migliori, certo fra i più operosi amministratori che abbiamo avuto”.

Al Colucci durato lungamente nel suo ufficio successe il Commendatore Quintino Movizzo dalla fine del 1881 al marzo del 1887. “Il Movizzo fu la seconda edizione corretta e riveduta del Ferrari. D’animo mite, e buono, di modi gentili, guadagnò molte simpatie colle sue doti personali. Ma si mostrò debole, sprovvisto d’iniziativa, perché forse arrivava stanco, al termine della sua carriera. Preoccupato di contentare tutti, finì col risolversi a far nulla. Fu quindi poco operoso ma non lasciò ricordi ingrati di sé.

Al Movizzo, ricorda ancora il settimanale politico amministrativo vibonese, fu chiamato a succedere il Commendatore Colmayer, rimasto pochi giorni soltanto a Catanzaro, “destando molte speranze, spente prima che nate, di vedere colla sua presenza ridata vitalità all’organismo amministrativo, e scosso il letargo che la precedente amministrazione aveva infiltrato in tutti i rami del pubblico servizio”.

Dall’ottobre 1887 al 1890 alla Prefettura di Catanzaro fu destinato il Commendatore Alfonso Gentile. “Veniva dalla Provincia di Reggio,” scrive Antonino Scalfari sull’Avvenire, “ed era preceduto dalla fama di essere, e mostrarsi appassionato. E tale si rivelò nei quattro anni della sua dimora in questa Provincia”. Trascurò l’andamento dei servizi pubblici, dando maggiore importanza alle questioni, che interessavano i partiti, che non a quelle amministrative. “E però riuscì male accetto, fece desiderare il suo allontanamento con tanta maggiore perseveranza per quanto più tenaci sforzi spiegava per mantenersi a Catanzaro”. Nel 1891, fu surrogato nella nostra Prefettura dal Commendatore Davide Carlotti, già rappresentante della Costituente Toscana, provetto amministratore, “il Carlotti studiò con indefesse cure a riparare molti dei mali lasciati dalla negligenza del suo predecessore”. Uomo onesto e “di grande rettitudine, equanime, severo osservatore delle Legge, Carlotti lascia infinito desiderio di sé presso tutti i buoni che lo conobbero. La sua opera non riuscì completamente efficace” – spiega Scalfari – “perché il Governo lo dimenticò a Catanzaro, lasciandolo sprovvisto del personale necessario al servizio. Per mesi e mesi non ebbe Consigliere Delegato, né Consiglio di Prefettura. Dovea supplire a questa deficienza, raddoppiare il suo lavoro, consacrare all’Uffizio tutto il suo tempo, che avrebbe potuto più utilmente essere impiegato”. Diede prove di grande imparzialità, che “gli valsero la contrarietà di coloro che non vi erano abituati, e la stima e la considerazione universale, che lo accompagnano nella sua partenza”.

Al Carlotti succede il Commendatore Diego Giorgetti finora Prefetto a Teramo e che, la momento in cui veniva scritto l’articolo nel luglio del 1892, era ancora a Catanzaro.

Nei trentadue anni successivi all’unificazione, nella nostra Provincia si alternarono ben 27 Prefetti. Salvo le due amministrazioni Colucci e Movizzo, tutte ebbero vita brevissima. “E questo avvicendarsi di uomini non è fatto veramente per migliorare le condizioni delle nostre locali amministrazioni”. “Questo stato di cose”, conclude mestamente la memoria storica a cura di Antonino Scalfari, “dovrebbe attirare l’attenzione del Governo molto più che non la quistione elettorale, che pare il criterio dominante del movimento dei Prefetti nel Regno”.

iCarvello A. – Docente di Diritto dell’organizzazione pubblica economica presso l’Università degli Studi di Catanzaro La Magna Grecia; La Questione meridionale: dalle origini al dibattito contemporaneo, Abolire la miseria della Calabria, Anno V, n°4-12 / Apr.- Dic. 2011 – Pp. 1 – 4. – www.almcalabria.org

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Dirigenti scolastici in Calabria: siamo alla frutta

Domani arriverà in Calabria il Ministro dell’Istruzione Profumo. Un comitato rappresentativo dei due terzi dei vincitori del concorso per dirigente scolastico in Calabria scrive al Ministro dell’Istruzione che domani 27 settembre sarà in Calabria, per lamentare – si legge testualmente nella lettera pubblicata oggi da il Quotidiano della Calabria – “il fatto che, a fronte di ben 108 posti messi a bando, per l’anno scolastico appena iniziato, non si sia verificata nemmeno un’immissione in ruolo”. E sottolineano pure che si tratta di “una situazione più unica che rara nel panorama nazionale”. La lettera del comitato trascura però, forse volutamente o soltanto per ingenuità, quelli che lo stesso comitato definisce nella lettera al Ministro i “giudizi pendenti”. E già: perché i giudizi pendenti sono proprio sulla legittimità stessa della intera procedura di concorso. Il Consiglio di Stato infatti ha recentemente ribaltato più d’una ordinanza del Tar Calabria che in giugno non aveva accolto la richiesta di alcuni ricorrenti, rilevando la presenza del “fumus boni iuris” proprio relativamente all’incompatibilità del presidente della Commissione con quel ruolo di selezionatore di nuova classe dirigente. Quello che il comitato dei vincitori del concorso definisce una procedura “svolta all’insegna della legalità e della legittimità” in realtà appare sempre di più, anche alla luce degli accessi agli atti che hanno evidenziato elaborati dei vincitori con vistosi errori, un procedura viziata sotto molti aspetti. Il Tar Calabria dovrà adesso discutere nel merito i tanti ricorsi di persone che sono state escluse da quella graduatoria di vincitori. E, forse, è per questo che il Ministro temporeggia ad assumere.

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Libero come un uomo

di Maria Elisabetta Curtosi


“La libertà non è star sopra un albero

non è neanche il volo di un moscone

la libertà non è uno spazio libero

libertà è partecipazione.

 

Vorrei essere libero, libero come un uomo.

 

Come l’uomo più evoluto

che si innalza con la propria intelligenza

e che sfida la natura

con la forza incontrastata della scienza

con addosso l’entusiasmo

di spaziare senza limiti nel cosmo

e convinto che la forza del pensiero

sia la sola libertà.”

 

Quasi quarant’anni orsono, così cantava il signor G, per gli amici estimatori delle sue note, ed era solo il 1973. C’è da dolersene se canticchiandola magari rabbrividiamo? Magari con questo repentino arrivo d’autunno per l’aria fresca questo è normale.

O magari invece viene da porsi qualche domanda, tra un “ddl” e l’altro, non siamo tanto sicuri che la nostra libertà sia veramente protetta e preservata, quasi come fosse la foca monaca dei caraibi ormai in via d’estinzione. La Natura è equilibrio e l’uomo non fa altro che metterlo in serissimo pericolo.

E per questo possiamo permetterci di dubitare di essere liberi per natura. Magari dobbiamo sottometterci al fato come  il “pius” Enea o chissà abbiamo la fortuna di essere noi gli artefici: homo faber fortunae suae.

Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene. Dixit Pasolini.

 

 

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Leggenda ebraica

di Maria Elisabetta Curtosi

Una leggenda ebraica narra che Seth, colto da nostalgia mentre guidava il suo gregge sui monti della palestina, abbia implorato Dio di liberarlo dal tempo e dallo spazio per consentirgli di parlare con la madre e la sorella lontane. Ebbe immediatamente risposta: gli apparve un angelo che teneva una tavola sulla quale erano segni incomprensibili per lui. <<Impara a conoscere le barriere del tempo e dello spazio>>. Erano l’atto di nascita del giornalismo, della necessità, cioè, dell’uomo di dare e di avere notizie.

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L’ AUTUNNO CALDO CHE CI ASPETTA: La riflessione controcorrente sulla scuola

di Maria Elisabetta Curtosi

Le ultime statistiche dell’Istat sul livello culturale del Paese spiegano in maniera incontrovertibile quali sono alcuni veri problemi degli italiani.

Secondo questi dati, l’Italia è in fondo alla classifica dei 27 paesi europei per scolarizzazione, rendimento scolastico, investimenti nella pubblica istruzione, consumi culturali delle famiglie, conoscenza delle lingue straniere, ma anche della lingua italiana.

A rivelarlo è una ricerca condotta dall’Osservatorio sui diritti dei minori.

La responsabilità è soprattutto della politica . “ Una sintomatologia preoccupante – dichiarava tempo addietro Antonio Marziale-  presidente dell’Osservatorio, perché la scuola dà segni di stanchezza in una epoca che vede una ascesa senza precedenti della devianza minorile e ciò è grave. L’istituzione scolastica più della famiglia dovrebbe fungere da riformatore di una coscienza psicosociale equilibrata e sana e invece tocca fare i conti con insegnanti con la testa altrove”.

Questi dati certificano che il sistema scolastico italiano è fallimentare. Vogliamo discutere di chi sia la colpa, se dei pessimi ministri, degli insegnanti o degli studenti, dei sindacati, dei comuni, dei dirigenti scolastici?

Noi siamo controcorrente .

Cerchiamo di spiegare perché.

Per quanto riguarda il livello generale di salute della scuola  è un a dato di fatto inconfutabile che la scuola funziona solo sulla carta, insomma tanta demagogia, solo demagogia con il risultato che la partita è persa dai docenti, studenti e famiglie.

Riflessione piuttosto amara?  Niente affatto! La scuola  è davvero malata ed ha bisogno di un vero medico.

Quello di cui non ha bisogno sono le parole, parole, le tante parole; intanto il bullismo nella scuola spadroneggia ed il vuoto di potere è oramai una voragine. Le cronache quotidiane sono vere e amare. Si è voluta una scuola c.d. “ progressista”, avanzata, aperta tanto da fargli perdere i veri connotati: il sostantivo sacrificato agli aggettivi.

Occorre invece selezione, indirizzo, valutazioni serie, meritocrazia.

A tirare il freno a mano poi  ci sono anche le significative debolezze degli assetti organizzativi e le carenze di risorse materiali ed immateriali  disponibili oltre ad una  certa mentalità dirigenziale bigotta e codina.  A dirlo, oltre che il sondaggio dell’Osservatorio sui diritti dei minori, sono anche  i docenti e gli alunni  ed i dati sconfortanti in termini di efficacia, efficienza e trasparente attività di questo settore. Il punto più critico è la gestione del personale, insufficiente e con pochi mezzi e senza un programma di formazione. Il personale effettivamente in servizio ha subito un decremento di diverse unità e molti di quelli che “ eroicamente” fanno il proprio dovere sono devono sopportare delle ingiustizie.

Vi è anche una forte mancanza di interesse, in particolare dei giovani, alla conoscenza per esempio dell’arte per suscitare davvero interesse, senso di responsabilità nei confronti del patrimonio culturale o magari per iniziative di promozione e di informazione semplicemente e puramente perché è un terreno questo che la scuola non ha preparato. Si dovrebbe almeno sapere se è forte la voglia dei genitori e degli studenti  di partecipare alle decisioni che interessano la vita della scuola  a condizione che   non predomina nessun diritto di veto, ma la possibilità di vedere dove si va, insomma di giocare a carte scoperte.

E’ venuto il tempo che i cittadini si prendano cura in prima persona del destino delle scuole dei propri figli. Ma i cittadini lo considerano davvero un problema. Stando ai dati non è avvertito dalla opinione pubblica neppure fra i primi problemi, quella della istruzione.

Occorre informare preventivamente ed a consuntivo il discente sia nella valutazione che sugli obiettivi della struttura, oltre evidentemente a quelli istituzionali assegnati.  Un quadro di obiettivi ed impegni credibili, benchè diluiti nel tempo se necessario. Occorre chiarezza sull’assetto strategico. Qualcuno dovrà dire loro se sono una parte della ”azienda” scuola (che brutta parola!) che partecipa attivamente alle scelte  per il miglioramento degli alunni  o una semplice parte sussidiaria, inserita in un contesto e basta infine i soldi della produttività  per i piani di lavoro. Vi sono poi “disagi” atavici che sono quelli di non riuscire a lasciarsi alle spalle un passato di politici ingombranti che hanno fatto di tutto per non farla camminare con le proprie gambe. Occorre ancora pensare alle  cineteche e servono  infine nuove assunzioni e forti e massicce riqualificazioni del personale .

E’ mia convinzione che, comunque vada la riforma della scuola, i docenti e i discenti italiani abbiano già perso. Che la riforma della scuola non sia uno scherzo lo hanno dimostrato le manifestazioni di piazza e le resistenze interne della categoria che vogliono vedere armonizzate le loro prestazioni, sapendo che all’interno di questa categoria esistono stratificazioni, sacche di privilegio. Nel xx secolo la scolarizzazione di massa è stato un obiettivo politico- sociale di grande rilevanza, ma forse si è perso la sfida della qualità perché la organizzazione e la natura della scuola è rimasta la stessa. Non nascondo la mia antipatia per la riforma dell’ex ministro Moratti e per la Gelmini, ma ha ragione Ernesto Galli Della Loggia quando dice dalle pagine del “ Corriere”  che <<sotto accusa sono i dirigenti locali di destra o di sinistra(..) sotto accusa sono gli intellettuali  meridionali con il loro assordante silenzio…che invece di portare avanti istanze di critica e di cambiamento, rimangono vittime del loro silenzio>>.

In un certo senso Galli Della Loggia  a proposito di politiche scolastiche del Sud sottolinea un vecchio vizio degli intellettuali del Sud e cioè quello “sulle condizioni del  a fingere una normalità da cui invece è sempre più lontano”. “ Protesta perbenistico-sciovinista” la definisce l’editorialista del “ Corriere”. Ed ha ragione.

Lo studio o meglio il sistema studio  è impegno, sacrificio, rigore, rispetto di regole. Non basta dire autonomia, valutazione qualitativa dei risultati quando in certe classi sono in trenta ed in altre solo in sette! Occorre modernizzare i sistemi formativi, aprire le scuole calabresi a tutti quegli ambiti culturali che devono essere presenti nel sistema degli studi.

Infine, ai fini dell’innalzamento della qualità delle nostre scuole, la possibilità di selezionare gli insegnanti in un Piano dell’offerta formativa che corrisponda all’istituto oltre che una retribuzione anche differenziata in base al merito ed alla qualità e quantità di lavoro. Ogni periodo storico ha la propria e la scuola calabrese, la scuola vibonese  è lo specchio della società odierna: come una bella addormentata non si sa quando si risveglierà per scoprire le proprie risorse e capacità che non sono seconde a nessuno in Italia.

C’è da dolersene? Da scandalizzare? Si quando vedo ragazzi e ragazze che  non hanno diritto alla casa dello studente o al borsa di studio solo perché i propri genitori lavoratori dipendenti o pensionati che pagano le tasse regolarmente vengono penalizzati rispetto a chi dichiara falsamente.

 

Finchè non avremo diviso equamente le risorse non solo del mondo ma del nostro Paese non vi sarà giustizia e senza giustizia, scriveva Willy Brandt, non vi è pace e senza pace non vi sarà libertà in nessuna parte del mondo.

 

Maria Elisabetta Curtosi

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Le regole del consumismo

di Maria Elisabetta Curtosi

E’ evidente che siamo giunti a un punto di svolta nella “guerra economica” mondiale, almeno per quanto rigurada la sostenibilità.

Fresca è la notizia che le aziende diventano sempre più “responsabili”, infatti da un po’ di tempo sentiamo parlare di corporate social responsability (Csr) appunto. Ovvero le piccole e medie imprese  non dovranno  essere solo ossessionati dalla ricerca di profitti in tempi sempre più brevi, spinti dal capitale finzanziario e che finiscono per rispondere sempre meno a domande sociali reali  e sempre più ubbidiscono ai propri imperativi di crescita infinita ma dovranno considerare l’impatto sociale e ambientale; sarà un’importante responsabilità.

Nel 2011 il 68% delle imprese prevede di aumentare i propri investimenti in sostenibilità in quanto si considera imprescindibile il legame tra i risultati economici e l’impegno per quest’ultima. Inoltre l’ Adnkronos ci informa che <<Da un’indagine svolta su 200 aziende, dall’Economist Intelligence Unit e commissionata da Enel, l’87% dei manager ritiene che la responsabilità sociale di un’azienda rappresenterà un fattore ancora più importante e strategico nei prossimi tre anni.>>

Siamo in un momento storico in cui il consumismo è alla base della nostra vita sociale, ne detta le regole. Ma ancor più chiaro e fulmineo  risulta l’intervento del Professore di Storia Contemporanea dell’Università La Sapienza, Piero Bevilacqua a delineare un processo sempre più allarmante:  << Si continua a seguire una logica di accumulazione in una fase storica dello sviluppo capitalistico in cui occorrerebbe attivare una logica della distribuzione: distribuzione di risorse, di beni, di lavoro, di cultura. Si continua a seguire una logica dell’accrescimento quando la possibilità di migliorare le nostre condizioni di vita è palesemente legata a una logica della diminuzione: meno ore di lavoro, meno merci, meno dissipazione di risorse naturali e di energia, meno consumo, meno velocità, meno fretta >>.

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Il Consiglio di Stato ribalta la decisione del Tar Calabria e, dopo quello della Lombardia, rischia ora di saltare anche il concorso per dirigenti scolastici calabrese

Lo scorso 22 giugno il Tar della Calabria, con propria ordinanza, “considerato che 1’istanza cautelare non appariva assistita dal fumus boni juris”, aveva deciso il respingimento dell’istanza cautelare richiesta da alcuni concorrenti del concorso per dirigente scolastico avverso la loro esclusione dalle prove orali. Tra le motivazioni addotte dai ricorrenti, patrocinati dall’avv. Alessandra Morcavallo di Cosenza, c’era anche la presunta incompatibilità del presidente della Commissione, professor Antonio Viscomi, a svolgere quel ruolo. Il corso presieduto dal Professor Viscomi, per il Tar Calabria, sarebbe consistito in “corso di perfezionamento per dirigenti scolastici” e non già in un “corso di preparazione al concorso per dirigenti scolastici“, ipotesi quest’ultima che, invece, sarebbe stata idonea a determinare una situazione di incompatibilità.

Oggi la notizia che invece riapre totalmente i giochi e rischia di far saltare l’intera procedura è che il Consiglio di Stato, cui pure si erano rivolti alcuni ricorrenti, con l’ordinanza n. 3371 del 29 agosto 2012 ha espresso proprio parere riconoscendo la presenza del “fumus boni iuris” delle motivazioni del ricorso tra cui, appunto, l’incompatibilità del presidente della Commissione esaminatrice: “Considerato che l’appello” – si legge testualmente nell’Ordinanza del CdS – “presenta apprezzabili profili di fumus boni iuris, con riferimento al motivo di ricorso concernente il ruolo del professor [omissis], presidente della commissione esaminatrice e già presidente del corso di perfezionamento per dirigenti scolastici, frequentato anche da dirigenti con funzioni vicarie poi ammessi al concorso; ritenuto che, pertanto, l’istanza cautelare merita accoglimento, ai fini della rimessione della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 55 comma 10 cod. proc. Amm.”, il Consiglio di Stato (Sezione Sesta) in sede giurisdizionale accoglie l’istanza cautelare avanzata con l’appello ai fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito in primo grado”.

In buona sostanza il ricorso andrà adesso discusso nel merito e non è detto che, anche in Calabria, ci voglia un nuovo concorso per dirigenti scolastici. Sicuramente, per il bene della cultura, è giusto vederci chiaro sulla legittimità di tutta la procedura.

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Le favole sono il vero della vita

di Maria Elisabetta Curtosi
Le favole sono fatte così. Una mattina ti svegli e dici: “Era solo una favola”.Sorridi di te. Ma nel profondo non sorridi affatto. Sai bene che le favole sono l’unica verità della vita. Antoine de Saint – Euxupéry ha alle spalle una lunga strada nei cieli, molti incidenti aerei, molte pagine scritte e sa che il potere della favola è infinito, la fiaba deve continuare non può essere che così.
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, “sei molto carino…”
“Sono una volpe”, disse la volpe.
“Vieni a giocare con me”, le propose il piccolo principe, sono cosi’ triste…”
“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomestica”.
“Ah! scusa”, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
“Che cosa vuol dire <addomesticare>?
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire <creare dei legami>…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiu’ in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me e’ inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo e’ triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che e’ dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, disse il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non ci conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe.
“Che cosa bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò’ con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più’ vicino…”
Il piccolo principe ritornò’ l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò’ il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “… piangerò'”.
“La colpa e’ tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
“E’ vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“E’ certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.

 

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Rinvenimento del simulacro di Nostra Signora della Lettera

di  Maria Elisabetta Curtosi

Prima che Messina, all’inizio del mese di giugno 1783, venisse colpita da un violento terremoto in cui “caddero i monumenti cittadini, furono distrutti palazzi e chiese” la scultura di N. S. della Lettera, oggi in possesso della chiesa di S. Giacomo di Corte, a santa Margherita Ligure, era esposta “a comune venerazione, sulla calata, o  molo, nel porto”, della città siciliana in una nicchia, sopra la porta maggiore della Dogana ma a causa del crollo dell’edificio doganale quel sacro simulacro, rotolato in mare, nel giro di una quindicina di giorni, sospinto dalle correnti, finì con l’approssimarsi allo specchi d’acque, antistante la Chiesa di Corte, dal quale poi fu estratto da  alcuni pescatori genovesi.

E che la scultura, venerata nella parrocchia di San Giacomo  -fedele immagine della statua custodita nell’antico omonimo Santuario messinese-  sia proprio quella,  un tempo , collocata sul dirupo edificio doganale, è stato confermato, sotto giuramento, da otto messinesi, inviati nella chiesa di San Giacomo, affinché della stessa, effettuassero l’ufficiale ricognizione. E, ciò permesso ecco quello che, in merito, si legge nel Libro d’ Introito ed Esito, dal 1768 al 1806, compilato a cura della fabbrica della Chiesa di S. Giacomo ed, in essa, attualmente conservato, sotto la data del:

23 Giugno 1783

Esito in £ 13.2 pagate al Sign. Prevosto per altrettante da esso spese

 Per atto rogato a 22 corrente per la miracolosa immagine di Nostra Sig.ra della Sacra Lettera stata ritrovata a 20 corrente da quattro uomini della Darsina di Genova col suo gosso vicino al piccolo seno della Torretta, poi si novo da flutti del mare gettata nell’acque, e correndo contro la corrente verso la spiaggia di Corte molto più di quello, che non faceva detto gosso, sebbene avesse sei remi, fu presa vicino al secco e poi portata da Giacomo Antonio Palmieri, ed Antonio Maria Costa nell‘oratorio di Sant Erasmo come due Massari della chiesa; indi il Sign. Evangelista Gregorio Prevosto di S. Giacomo avisato da fanciulli venne e ne fece con giubilo il trasporto nella chiesa parochiale , et indi detti uomini della Darsinia ne fecero la donazione allo Sign.ri Massari.*

E poiché il 27 luglio 1783 , la statua della n. s della lettera – il cui appellativo è ovviamente derivato da quella missiva che, secondo la tradizione, la Vergine Maria “l’anno del nostro figlio 42, cinque di luglio, luna 17°, feria 5°, da Gerusalemme” avrebbe indirizzato ai messinesi – venne esposta alla venerazione dei fedeli residenti a corte, n’ebbe origine un’annuale ricorrenza che finì  con l ‘assumere, gradualmente, un rilievo sempre maggiore fino a diventare la principale e più importante festività della Parrocchia di San Giacomo. Dato poi, che, entusiasmo  e devozione, attorno a tale evento, andarono prodigiosamente moltiplicandosi, sconfinando, in tema di risonanza, nell’ambito parrocchiale, il Sommo Pontefice leone XIII, con suo Breve del 5 maggio 1883, delegava l arcivescovo di Genova, Mons. salvatore Magnasco, a procedere, in data 27 luglio dello stesso anno, all’incoronazione dell’immagine di N.S. della Lettera, il cui culto – dalla fine del XVIII  sec. – si era ormai, stabilmente inserito nella vita religiosa della nobile Borgata di Corte.

Da quel lontano anno, oggi, è trascorso un altro secolo e poiché in cosi significativo periodo di tempo offre sempre l’occasione di redigere, se non dei veri bilanci, almeno delle sintesi storiche, ci proponiamo di illustrare quanto frattanto gli abitanti della dinamica popolazione di questa Parrocchia, con grande tenacia, con fede e soprattutto con tanto amore, hanno saputo realizzare per cercare di accrescere – mediante l attuazione di invidiabili programmi di opere d’arte e abbellimenti vari- la dignità ed il decoro della loro gloriosissima Collegiata.

(*Davide Roscelli “ la Collegiata di San Giacomo di Corte” in S. Margherita Ligure)

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