di Giuseppe Candido
Il “gradito ospite”, come è stato definito da qualche editorialista il dittatore libico Gheddafi, ci spara, mitraglia un peschereccio italiano che, secondo il diritto internazionale, si trovava in acque internazionali a 30 miglia dalla costa libica nel golfo della Sirte. L’italietta di Berlusconi che ha ceduto al circo del colonnello e la chermes di Gheddafi ora è imbarazzata. “Immagino che ci abbiano presi per una motonave di clandestini” ha dichiarato il ministro Maroni. E i suoi trenta cavalli berberi che ne avevano caratterizzato la visita oggi non fanno più notizia. L’amico dittatore che era giunto a Roma per celebrare il secondo anniversario della firma del Trattato di amicizia fra Italia e Libia oggi è sulle pagine dei giornali per l’episodio sconcertante verificatosi lo scorso 12 settembre. Per l’equipaggio dell’Ariete mitragliato dalle motonavi libiche non deve sembrare un “trattato di amicizia” quello tra Italia e Libia. “Siamo vivi per miracolo” hanno detto, “sparavano per colpire”. Un trattato votato da centro destra e centro sinistra con voto bipartisan, ad eccezione dei Radicali e di qualche sparuto nome del Pd come Furio Colombo. Voti ribelli li definisce qualcuno. Saggezza contro-partitocratica altri. E il bello che sulle navi libiche c’erano anche militari italiani. Il Radicale Matteo Mecacci, eletto nel Pd, anche alla luce dell’aggressione ha presentato un’interrogazione parlamentare proprio in merito al trattato Italia-Libia al centro delle polemiche di questi giorni. “Chi parla – spiega subito Mecacci – è stato sin da subito contrario al trattato d’amicizia tra Italia e Libia ma credo che oggi, anche chi ha votato favorevolmente debba riconoscere che bisogna fare un bilancio di quel trattato in quanto i suoi contenuti sono, in molti casi profondamente sbagliati”. E’ così che introduce Mecacci il suo intervento con la speranza di proporre all’aula una riflessione seria. “In nome dell’amicizia un peschereccio italiano è stato mitragliato e inseguito per ore da una motonave guidata da Libici che però era stata donata alla Libia proprio dal Governo italiano e sulla quale stavano dei funzionari italiani che non hanno potuto impedire che si mitragliasse su dei cittadini italiani”. Un incidente? No, per Mecacci si tratta di un “fatto gravissimo per il nostro Paese perché noi ci siamo impegnati, con questo trattato, a dare decine di milioni di euro ogni anno e il ministro Maroni, prosegue il parlamentare Radicale, non può dirci che sono stati scambiati per dei clandestini perché nessun ministro di un Paese Civile può immaginare che si spari a dei migranti che, ricorda Mecacci, non sono dei delinquenti ma, molto spesso, sono persone che chiedono asilo e protezione internazionale dai crimini subiti nei loro paesi”. Per questo Mecacci chiede di provvedere alla revisione di questo trattato che, forse, non avrebbe dovuto neanche essere fatto. Del resto, come ci ricorda Walter Vecellio dai microfoni di Radio Radicale, al vertice del G8 all’Aquila tenutosi nel luglio del 2009, il premier inglese Gordon Brown e il leader libico definirono le modalità e trattarono il rilascio “umanitario” del terrorista Abdel Basset Ali al-Megrahi, uno degli accusati per la strage di Lockerbie. Il 20 luglio il terrorista venne rilasciato perché malato di cancro ma appena sbarcato a Tripoli riacquistò la salute. Cosa c’abbia ricavato la Gran Bretagna da quel rilascio “umanitario” non è ben chiaro ma sta di fatto che la British Petrolium, la famosa BP che ha combinato il danno ambientale nei mari del Golfo del Messico con la fuoriuscita di miliardi di barili di petrolio, ha ottenuto in esclusiva le concessioni per l’apertura di nuovi pozzi nel golfo della Sirte. È legittimo chiedersi cosa sappia Berlusconi e quale parte abbia svolto il suo governo in quella trattativa. “La coda di un’operazione che viene da lontano”, spiega Vecellio, “quando Gheddafi, Berlusconi e l’ex premier Tony Blair, svolsero un ruolo di primo piano e di fattiva complicità con l’ex Presidente americano George Bush, nel far fallire i tentativi, che erano ormai giunti in dirittura d’arrivo, per scongiurare il secondo conflitto con l’Iraq e garantire l’esilio al dittatore iracheno Saddam Hussein”. È da allora che Gheddafi viene accolto nel salotto buono della politica italiana e della comunità internazionale che gli lascia svolgere un ruolo di primissimo piano nell’ambito della comunità africana. Ma sarebbe tempo, però, di fare chiarezza anche sui rapporti tra Italia e Libia. Per comprenderli bisogna ricordare l’impunità che veniva concessa ai terroristi libici che uccidevano, in Italia, i dissidenti del regime del colonnello e che venivano rimpatriati. Non bisogna dimenticare gli addestramenti che venivano fatti, in Italia o da parte di addestratori italiani in Libia, ai piloti del Raìs. Oggi però, con questo vertice sul trattato di amicizia, si è raggiunto il massimo di ambiguità e ipocrisia. E per capirne i motivi dovremmo cercare di guardare il tipo di politica estera che stanno conducendo aziende italiane come Eni e Finmeccanica che in quel paese hanno grossi interessi. Insomma, “sarebbe tempo”, conclude Vecellio nel suo diario quotidiano, “che la Farnesina spiegasse al Parlamento gli accordi stipulati con Tripoli”. Sarebbe bene cioè che anche l’opinione pubblica fosse messa in condizioni di sapere e di giudicare questi rapporti d’amicizia che s’intrattengono con un dittatore e che mettono i nostri pescherecci a rischio pallottole.