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In nome dell’amicizia col Raìs

di Giuseppe Candido

Il “gradito ospite”, come è stato definito da qualche editorialista il dittatore libico Gheddafi, ci spara, mitraglia un peschereccio italiano che, secondo il diritto internazionale, si trovava in acque internazionali a 30 miglia dalla costa libica nel golfo della Sirte. L’italietta di Berlusconi che ha ceduto al circo del colonnello e la chermes di Gheddafi ora è imbarazzata. “Immagino che ci abbiano presi per una motonave di clandestini” ha dichiarato il ministro Maroni. E i suoi trenta cavalli berberi che ne avevano caratterizzato la visita oggi non fanno più notizia. L’amico dittatore che era giunto a Roma per celebrare il secondo anniversario della firma del Trattato di amicizia fra Italia e Libia oggi è sulle pagine dei giornali per l’episodio sconcertante verificatosi lo scorso 12 settembre. Per l’equipaggio dell’Ariete mitragliato dalle motonavi libiche non deve sembrare un “trattato di amicizia” quello tra Italia e Libia. “Siamo vivi per miracolo” hanno detto, “sparavano per colpire”. Un trattato votato da centro destra e centro sinistra con voto bipartisan, ad eccezione dei Radicali e di qualche sparuto nome del Pd come Furio Colombo. Voti ribelli li definisce qualcuno. Saggezza contro-partitocratica altri. E il bello che sulle navi libiche c’erano anche militari italiani. Il Radicale Matteo Mecacci, eletto nel Pd, anche alla luce dell’aggressione ha presentato un’interrogazione parlamentare proprio in merito al trattato Italia-Libia al centro delle polemiche di questi giorni. “Chi parla – spiega subito Mecacci – è stato sin da subito contrario al trattato d’amicizia tra Italia e Libia ma credo che oggi, anche chi ha votato favorevolmente debba riconoscere che bisogna fare un bilancio di quel trattato in quanto i suoi contenuti sono, in molti casi profondamente sbagliati”. E’ così che introduce Mecacci il suo intervento con la speranza di proporre all’aula una riflessione seria. “In nome dell’amicizia un peschereccio italiano è stato mitragliato e inseguito per ore da una motonave guidata da Libici che però era stata donata alla Libia proprio dal Governo italiano e sulla quale stavano dei funzionari italiani che non hanno potuto impedire che si mitragliasse su dei cittadini italiani”. Un incidente? No, per Mecacci si tratta di un “fatto gravissimo per il nostro Paese perché noi ci siamo impegnati, con questo trattato, a dare decine di milioni di euro ogni anno e il ministro Maroni, prosegue il parlamentare Radicale, non può dirci che sono stati scambiati per dei clandestini perché nessun ministro di un Paese Civile può immaginare che si spari a dei migranti che, ricorda Mecacci, non sono dei delinquenti ma, molto spesso, sono persone che chiedono asilo e protezione internazionale dai crimini subiti nei loro paesi”. Per questo Mecacci chiede di provvedere alla revisione di questo trattato che, forse, non avrebbe dovuto neanche essere fatto. Del resto, come ci ricorda Walter Vecellio dai microfoni di Radio Radicale, al vertice del G8 all’Aquila tenutosi nel luglio del 2009, il premier inglese Gordon Brown e il leader libico definirono le modalità e trattarono il rilascio “umanitario” del terrorista Abdel Basset Ali al-Megrahi, uno degli accusati per la strage di Lockerbie. Il 20 luglio il terrorista venne rilasciato perché malato di cancro ma appena sbarcato a Tripoli riacquistò la salute. Cosa c’abbia ricavato la Gran Bretagna da quel rilascio “umanitario” non è ben chiaro ma sta di fatto che la British Petrolium, la famosa BP che ha combinato il danno ambientale nei mari del Golfo del Messico con la fuoriuscita di miliardi di barili di petrolio, ha ottenuto in esclusiva le concessioni per l’apertura di nuovi pozzi nel golfo della Sirte. È legittimo chiedersi cosa sappia Berlusconi e quale parte abbia svolto il suo governo in quella trattativa. “La coda di un’operazione che viene da lontano”, spiega Vecellio, “quando Gheddafi, Berlusconi e l’ex premier Tony Blair, svolsero un ruolo di primo piano e di fattiva complicità con l’ex Presidente americano George Bush, nel far fallire i tentativi, che erano ormai giunti in dirittura d’arrivo, per scongiurare il secondo conflitto con l’Iraq e garantire l’esilio al dittatore iracheno Saddam Hussein”. È da allora che Gheddafi viene accolto nel salotto buono della politica italiana e della comunità internazionale che gli lascia svolgere un ruolo di primissimo piano nell’ambito della comunità africana. Ma sarebbe tempo, però, di fare chiarezza anche sui rapporti tra Italia e Libia. Per comprenderli bisogna ricordare l’impunità che veniva concessa ai terroristi libici che uccidevano, in Italia, i dissidenti del regime del colonnello e che venivano rimpatriati. Non bisogna dimenticare gli addestramenti che venivano fatti, in Italia o da parte di addestratori italiani in Libia, ai piloti del Raìs. Oggi però, con questo vertice sul trattato di amicizia, si è raggiunto il massimo di ambiguità e ipocrisia. E per capirne i motivi dovremmo cercare di guardare il tipo di politica estera che stanno conducendo aziende italiane come Eni e Finmeccanica che in quel paese hanno grossi interessi. Insomma, “sarebbe tempo”, conclude Vecellio nel suo diario quotidiano, “che la Farnesina spiegasse al Parlamento gli accordi stipulati con Tripoli”. Sarebbe bene cioè che anche l’opinione pubblica fosse messa in condizioni di sapere e di giudicare questi rapporti d’amicizia che s’intrattengono con un dittatore e che mettono i nostri pescherecci a rischio pallottole.

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Cosmina Furchì Gliatas, la scrittrice con le ali

di Franco Vallone

Cosmina Furchì
Un’illustrazione che correda uno libro di Cosmina Furchì

Lei si chiama Cosmina Furchì Gliatas, è laureata in Scienze Politiche, bionda, alta e teatrale. Cosmina è nata a Brattirò di Drapia, in provincia di Vibo Valentia, ma da anni vive in Grecia, ad Atene, dove, oltre ad insegnare italiano, lavora come traduttrice e interprete. Cosmina è una donna con le ali e le sue ali, una azzurra e l’altra rosa, si chiamano Anastasio e Valeria, i suoi figli. Cosmina Furchì Gliatas la incontriamo nella sua Brattirò dove, annualmente, ritorna per risolcare le strade di casa, tra i profumi straripanti dalle cucine dei compaesani, per assaggiare il rosso vino del suo paese, per respirare l’odore forte dell’incenso della chiesa di San Cosma e Damiano.

Inventare, scrivere, raccontare, interpretare, sono i verbi di questa donna. Cosmina è, infatti, scrittrice, autrice, attrice, animatrice… un’artista completa, con le sue mille voci di personaggi fiabeschi che si porta dentro per incantare tutti i bambini che incontra. Un vero fascino, una sorta di affascinazione positiva che traspare nella sua vasta opera letteraria per l’infanzia. Libri, tanti piccoli libri illustrati e dedicati a bambini da quattro a sei anni, che alcune volte leggono anche i grandi e lo scrivere di Cosmina fa bene anche agli adulti. Il suo messaggio, all’apparenza semplice e scontato, rinvia sempre a qualcosa di altro, è un linguaggio fiabesco intriso di valori morali, di segni positivi ed educativi, di religiosità che rimanda all’importanza dell’essere e del non apparire, dell’aiutare il prossimo, della sana alimentazione, del rispetto per gli animali, dell’ambiente e della natura. La lingua greca, a sfogliare i suoi libri, non sembra un limite linguistico.

Le tante illustrazioni che corredano la scrittura oltrepassano le barriere limitanti della conoscenza del greco con una ben più universale comprensione di una comunicazione e di un linguaggio per immagini. Poi, per chi volesse approfondire la sua scrittura, c’è anche un libro in lingua italiana che si intitola “Avvincenti Avventure da… prendere al volo”, pubblicato per la casa editrice “L’Autore Libri” di Firenze, riccamente illustrato con i disegni dell’artista greco Theo Piakis. Nei suoi racconti, tra le righe delle sue favole inventate, “tante piccole perle di saggezza, da tenere sempre presenti, da portare sempre appresso, per diventare grandi senza sacrificare il bambino che è in ciascuno di noi”, come scrive la stessa autrice. “Una storia ti dirò”, storie ingenue e bellissime che iniziano sempre con questa frase che sa tanto di futuro e sostituisce il più classico “C’era una volta” che sembra guardare al passato. Cosmina Furchì Gliatas, contemporanea e attuale, immersa nel Mediterraneo del 2010, tra due Paesi che si guardano, riesce ad inventare, con una inedita spontaneità che ricorda tanto il mondo onirico, favole e fiabe che permettono, attraverso la lettura dei bambini, di costruire ali, di volare in alto e, per un attimo, di sognare e far sognare. Farsi raccontare da Cosmina Furchì Gliatas – attrice personaggio di Brattirò/Atene – una sua favola, diventa una vera e propria esperienza artistica tanto è forte la sua teatralità e l’interpretazione, e la dinamica del racconto diventa immersione nella stessa favola, con i suoi colori vivissimi, i suoi umori percepiti, i suoi profumi ricordati, le sue emozioni vissute e le sue magie immaginate. I messaggi, la morale, i suggerimenti educativi e comportamentali, arrivano subito dopo e rimangono dentro per sempre.

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Patrimoni degli eletti resi pubblici? La partitocrazia calabrese si nasconde dietro un dito

di Giuseppe Candido

La vicenda dei patrimoni dei politici calabresi rimasti segreti per ventotto anni era andata sulle pagine del Corriere della Sera su cui, Sergio Rizzo, aveva ripreso la “sconcertante” risposta del Segretario Generale Carpentieri che negava il diritto di accesso agli atti ma definiva “improrogabile” l’emanazione di una normativa regionale che disciplinasse i modi di attuazione della legge 441/1982. In seguito ne aveva parlato anche tutta la stampa calabrese e il Presidente del Consiglio regionale si era tempestivamente impegnato a rimuovere gli “ostacoli” (l’assenza di una leggina regionale) che per 28 anni avevano impedito la pubblicazione delle dichiarazioni patrimoniali di eletti e nominati calabresi così come previsto dalla legge nazionale. Su questo argomento era intervenuto anche Mario Staderini, il segretario nazionale di Radicali Italiani. Oggi la legge finalmente è arrivata ed e stata votata all’unanimità, maggioranza e opposizione, dal Consiglio regionale su proposta del Presidente Talarico. Ma basta leggere il primo degli otto articoli che la compongono per capire subito che il problema non è stato ancora completamente risolto e che i patrimoni dei politici calabresi resteranno ancora “top secret”. Questo perché, se la legge nazionale n°441 del 1982 prevedeva la pubblicazione dei patrimoni di eletti e nominati sia delle Regioni, ma anche degli eletti di Province e Comuni sopra i 50.000 abitanti o capoluogo di Regione, la normativa votata all’unanimità dal Consiglio regionale nella seduta dello scorso 13 settembre prevede la pubblicazione dei patrimoni degli eletti e nominati della sola Regione lasciando fuori dall’ambito di applicazione sia le dichiarazioni dei Consiglieri delle cinque province calabresi e i relativi nominati, sia quelli eletti e nominati nei comuni calabresi con popolazione superiore ai 50.000 abitanti. Insomma, Consiglieri regionali a parte, i politici calabresi eletti in enti “minori” possono dormire sonni tranquilli perché i loro patrimoni non dovranno essere pubblicati e potranno rimanere segreti. Per non parlare del fatto che, se un Consigliere regionale dimentica o volutamente ignora la legge e i suoi dati patrimoniali non potranno essere pubblicati sul bollettino ufficiale della Regione, come sanzione è previsto un rimprovero verbale che, in caso di recidiva, si trasforma in rimprovero scritto e pubblicato. Sui giornali, in modo che gli elettori lo sappiano? No, macché: la legge regionale prevede che il rimprovero sia pubblicato sul bollettino ufficiale ma di comunicazione alla stampa non se ne parla. Del resto i panni sporchi si lavano in famiglia, e i patrimoni non pubblicabili in Consiglio. Insomma la legge non soltanto è incompleta e poco incisiva non agendo su tutti gli eletti calabresima dimentica che siamo nel 2010 prevedendo la pubblicazione dei patrimoni non già sugli organi di stampa o su un apposito sito internet ma soltanto sul Bollettino ufficiale. La partitocrazia calabrese, quella che il ministro Brunetta a ragione critica, la partitocrazia che da 12 anni costringe la Calabria all’emergenza rifiuti, la partitocrazia responsabile del dissesto idrogeologico per il mancato governo del territorio, oggi si nasconde dietro un dito approvando all’unanimità una leggina solo perché una penna come Sergio Rizzo l’aveva sbeffeggiata. Perciò, cari conterranei calabresi, se volete la trasparenza su quanto guadagnano i politici da voi eletti e, soprattutto, quanti soldi spendono in spese elettorali e di rappresentanza, fatevi il segno della croce e compratevi mensilmente il Bollettino ufficiale della Calabria. Tra le migliaia di pagine grigie troverete anche quei dati che da 28 rimanevano top secret.

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Trasparenza in Calabria sui patrimoni degli eletti: proposta una leggina incompleta ed arretrata

di Giuseppe Candido

Il Domani della Calabria – P.5 del 9 Settembre 2010

Per la Calabria è pronta la “Proposta di legge n. 64” recante “Norme per la pubblicità della situazione patrimoniale dei Consiglieri regionali, degli Assessori non consiglieri, dei Sottosegretari e dei soggetti indicati nell’articolo 15 della legge 5 luglio 1982, n. 441”. Sarà discussa in Consiglio oggi (lunedì 13 settembre) e reca la firma oltre che del Presidente del Consiglio regionale Talarico anche quella dei consiglieri Fedele, Bova, De Gaetano, Giordano, Ciconte, Bilardi e Principe. Dopo ventotto anni, finalmente, si riparte dalla trasparenza. Bene, ma come lo si sta facendo?

All’art. 1 
dove sono riportate le Finalità e l’ambito di applicazione del progetto di legge c’è scritto testualmente che la legge in questione “disciplina, secondo i principi e in applicazione delle disposizioni della legge 5 luglio 1982, n. 441, le modalità intese ad assicurare la pubblicità della situazione patrimoniale e tributaria dei consiglieri regionali, degli assessori esterni, dei sottosegretari e dei presidenti, vice-presidenti, amministratori delegati e direttori generali degli istituti e di enti pubblici, anche economici come Sorical ed Arpacal, dei presidenti, vice-presidenti, amministratori delegati e direttori generali delle società al cui capitale il Consiglio Regionale concorra, nelle varie forme di intervento o di partecipazione, in misura superiore al 20%, dei presidenti, vice-presidenti, amministratori delegati e direttori generali degli enti o istituti privati, al cui funzionamento il Consiglio Regionale concorra in misura superiore al 50% dell’ammontare complessivo delle spese di gestione esposte in bilancio, sempre che queste superino la somma annua di € 258.228,45 (£. 500.000.000)”.

Quindi, la legge è valida solo per eletti e nominati della Regione ma nel progetto emerge da subito che, per quanto riguarda i Consiglieri provinciali e dei comuni capoluogo di regione o con popolazione superiore a 50.000 abitanti che pure sarebbero obbligati a fare le medesime dichiarazioni dalla legge nazionale di 28 anni fa, la nuova normativa regionale non se ne occupa affatto. Come già previsto dalla norma nazionale, dalla quale sembra essere direttamente “derivato” anche il nuovo progetto di legge regionale prevede che “Entro tre mesi dalla proclamazione dei consiglieri o dalla nomina degli assessori esterni, dei sottosegretari e dei soggetti indicati.., gli stessi sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di Presidenza dei Consiglio Regionale: 1) una dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società; l’esercizio di funzioni di amministratore o sindaco di società, con l’apposizione delle formula “sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero;
2) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche.
I soggetti rientranti nella previsione dell’articolo 1, secondo comma, sono tenuti a depositare le dichiarazioni e la documentazione indicate nel precedente comma presso la Presidenza della Giunta della Regione Calabria.
Gli adempimenti di cui al presente articolo concernono anche la situazione patrimoniale e la dichiarazione dei redditi del coniuge non separata e dei figli conviventi, se gli stessi vi consentono”. Per la “Variazione della situazione patrimoniale”, “ogni anno, entro un mese dalla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione concernente i redditi delle persone fisiche”, eletti e nominati dalla Regione, “sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale un’attestazione concernente le variazioni della loro situazione patrimoniale intervenute rispetto all’anno precedente e copia dell’ultima dichiarazione dei redditi”.

Dopo la “Cessazione dalla carica”, viene previsto che, entro tre mesi successivi, eletti e nominati “sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale intervenute dopo l’ultima attestazione.
Essi sono tenuti, altresì, a depositare una copia della dichiarazione annuale relativa all’imposta sui redditi delle persone fisiche entro i trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione stessa. E, sempre mutuando dalla normativa nazionale, viene previsto che “Tali adempimenti si estendono anche alla situazione patrimoniale del coniuge non separato e dei figli conviventi, se gli stessi lo consentono”. Viene prevista persino una specifica “Modulistica” mediante la quale saranno effettuate le dichiarazioni patrimoniali e per le “Inadempienze” agli obblighi, “il Presidente del Consiglio Regionale” o il Presidente della Giunta nel caso di assessori esterni, diffida l’interessato ad adempiere entro il termine di quindici giorni e, nel caso di inosservanza della diffida, sempre il Presidente del Consiglio Regionale ne dà notizia dell’inadempienza all’assemblea”.

Insomma, 28 anni di attesa sono serviti a fare una leggina che, occupandosi solo ed esclusivamente degli eletti e dei nominati della Regione, di fatto non prevede neanche la pubblicazione dei dati patrimoniali di tutti gli eletti in Calabria trascurando Consiglieri provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 50.000 che invece sarebbero anch’essi, in base alla legge 441 del 1982, soggetti obbligati a presentare le suddette dichiarazioni. Una leggina quindi incompleta e, se vogliamo dirla tutta, anche arretrata poiché, clonando sterilmente il dispositivo dell’ottantadue, prevede ancora l’uso esclusivo del Burc come forma di pubblicazione e non invece un apposito sito internet su cui rendere davvero fruibili facilmente a tutti i dati patrimoniali e le spese elettorali dei propri eletti senza obbligare i cittadini che vogliono conoscerli a fare una specifica istanza di accesso agli atti o a comprarsi, a loro spese ovviamente, il Bollettino ufficiale. L’APE, l’anagrafe pubblica degli eletti che i radicali propongono è un’altra cosa. Per farla bisognerebbe mettere in rete redditi e operati di un migliaio di eletti tra consiglieri regionali, provinciali e comunali. Speriamo che, o in sede di esame di merito in I Commissione o in sede di approvazione, si intervenga su questi aspetti e si adotti un provvedimento che, mirando al futuro, pubblichi anche i dati delle attività dei singoli parlamentari sotto forma di dati aperti e confrontabili sul modello di “Openparlamento”. D’altronde siamo nel 2010 oppure in Calabria ancora no?

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L’unica opera faraonica che serve alla Calabria

di Giuseppe Candido

pubblicato su “Il Domani della Calabria” di sabato 11 settembre 2010

Rapporto sullo stato dell'ambiente Regione Calabria

Frane in Calabria per provincia

Agli occhi del mondo questo territorio sembra consumarsi dentro il fango che di notte è ancora più spettrale. Bastano pochi minuti di pioggia e la Calabria va in ginocchio. Oggi è toccato a Reggio ma i problemi del dissesto idrogeologico e del rischio sismico in Calabria sono ovunque. E c’è poco da parlare di calamità naturali.

Su questi problemi s’intrecciano le responsabilità della partitocrazia per una dissennata gestione del territorio, per la mancata prevenzione, con la cultura dell’illegalità, dell’abusivismo edilizio e del semi abusivismo, parzialmente sanato dai numerosi condoni o concesso da amministrazioni in spregio di vincoli naturali ed urbanistici di livello sovra-comunale. S’intrecciano, in Calabria, con la mancata tutela dell’ambiente, con l’avvelenamento dei suoli e delle acque ad opera di ecomafie e lobbies affaristiche senza scrupoli.

Oggi è il presidente dei geologi calabresi, Francesco Violo a lanciare l’allarme. Ma, quella dei geologi è una voce destinata a rimanere inascoltata. Tremila e quattrocento circa sono le vittime del solo dissesto idrogeologico in Italia negli ultimi sessant’anni e perlopiù dovuti ai soli fenomeni repentini come esondazioni torrentizie, colate rapide di fango e di detrito. Basti ricordare gli esempi di Sarno e Quindici nel salernitano; Soverato e il torrente Beltramme, Crotone e l’alluvione dell’Esaro in Calabria. Poi le frane: Cavallerizzo, la frana sull’A3, Maierato sono solo le ultime. Le statistiche e le elaborazioni effettuate sulla banca dati del Progetto IFFI (inventario dei fenomeni franosi) offrono un quadro sulla distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio italiano e sui più importanti parametri ad essi associati. L’inventario aveva censito, alla data del 31 dicembre 2006, ben 469.298 fenomeni franosi che interessano un’area di quasi 20.000 km2, pari al 6,6% del territorio nazionale. Un indice di franosità che sale a 8,9% del territorio nazionale se si escludono le aree in pianura. Oltre l’ottanta percento dei comuni italiani ha almeno un’area instabile all’interno del suo territorio per frana o rischio alluvioni. La mappatura effettuata dal Cresmel del 2009 fornisce però un’altro dato interessante (e preoccupante) dalla semplice sovrapposizione delle carte del rischio frana o alluvione elaborate nei PAI, piani per l’assetto idrogeologico, e le carte riportanti strutture pubbliche, scuole e ospedali. Sono 3.458 le strutture scolastiche costruite in zone ad alto rischio idrogeologico; 89 gli ospedali. Il fabbisogno del Paese per il risanamento di queste situazioni di rischio ammonta a circa 40 miliardi di euro. Secondo l’annuario dei dati ambientali elaborato dall’ISPRA, il costo complessivo dei danni dei soli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009 sarebbe, rivalutato secondo la moneta corrente, superiore a 52 miliardi di euro. Circa un miliardo di euro all’anno.

Una cifra astronomica che ci fa subito rendere conto di un’ovvietà: prevenire sarebbe meglio e più economico che curare danni. Invece la protezione civile di prevenzione e previsione ne fa poca in Italia perché qui ci sono da gestire i “grandi eventi” oltre che le calamità naturali. In seguito agli eventi sismici del 1905 in Calabria, del 1976 in Belice e del 1980 in Irpinia dove proprio la gestione dell’emergenza si era dimostrata fallimentare, ora siamo diventati i primi della classe a prestare soccorsi (e gestire i grandi eventi) ma, in termini di prevenzione, siamo ancora lontani dall’aver passato il guado. Una volta identificate le aree a rischio idrogeologico, per frana o alluvione, si sarebbe dovuto procedere subito con i necessari interventi di monitoraggio e di mitigazione dei rischi. Invece continuiamo a contare le vittime, e si è continuato ad urbanizzare e a costruire in maniera dissennata, senza un’attenta valutazione delle pericolosità geomorfologiche del territorio.

La fragilità geologica del territorio calabrese è storicamente nota. Basti ricordare la definizione del Giustino Fortunato che già nel secolo scorso definì la Calabria uno “sfasciume pendulo sul mare”. È quanto si legge nel sito della protezione civile calabrese. “Il continuo verificarsi di questi episodi ha aumentato la sensibilità verso il problema e sta producendo un cambio di rotta culturale: non ci si deve limitare più solamente sulla riparazione dei danni ed all’erogazione di sostegni economici alle popolazioni colpite, ma occorre creare cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari livelli, imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio ed all’adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi”.

Ma il cambiamento di rotta culturale ancora si attende. Oltre sessantasei chilometri quadrati in frana. Per la precisione 66.562.722 metri quadrati di dissesto idrogeologico e ben 481 chilometri quadrati di aree “di attenzione” per rischio inondazione. 278 chilometri di costa in erosione, di cui circa la metà in ripascimento, su 725 chilometri in totale. 2.304 frane solo nella provincia di Cosenza; 1147 in quella di Catanzaro; 1330 a Reggio Calabria; 488 a Vibo e 279 a Crotone.

Il PAI Calabria, il piano per l’assetto idrogeologico redatto come piano stralcio dei piani di bacino ai sensi della legge 183 del 1989, è stato approvato in Calabria soltanto nell’ottobre del 2001 e successivamente all’emanazione del c.d. decreto “Sarno e Quindici” (Legge 267/98 ex D.L. 180/98) che obbligò ad adeguarsi le regioni inadempienti tra cui, ovviamente, vi era anche la Calabria. Da allora sono passati quasi dieci anni. Purtroppo a ciò non sono seguiti interventi di messa in sicurezza, mediante consolidamenti e monitoraggi continui delle aree a rischio individuate.

Dopo dieci anni il risanamento del dissesto idrogeologico, la vera opera faraonica necessaria alla Calabria, rimane ancora eterna incompiuta. L’unica opera che, se realizzata, non resterebbe una cattedrale nel deserto.

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Trasparenza sui patrimoni degli eletti: “in Calabria prevale buon senso Radicale

<< Ma il presidente del consiglio Talarico si impegni anche affinché dalla Calabria parta, con l’anagrafe pubblica degli eletti, la rivoluzione digitale della politica >>

Comunicato di Mario Staderini* e Giuseppe Candido**

<<La consideriamo una vittoria del buon senso e della ragionevolezza. Siamo lieti che il Presidente del Consiglio regionale della Calabria, Francesco Talarico, abbia “preso a cuore la questione trasparenza” che, come Radicali, portiamo avanti in tutta Italia ed avevamo sottoposto all’attenzione dei media in Calabria, durante il mese di agosto, con una specifica istanza di accesso agli atti alla quale ci avevano dato – dalla Segreteria regionale – la “sconcertante” risposta poi ripresa da Sergio Rizzo sul Corriere della Sera nell’articolo del 12 agosto col titolo “In Calabria resta il segreto sul patrimonio dei Consiglieri”. Ottimo che in Calabria si riparta proprio da questo punto che può aiutare concretamente a dire “no” alla ‘ndrangheta . Bene che, nella prossima seduta del Consiglio regionale, si intenda provvedere, su proposta del Presidente Talarico, con uno specifico progetto di legge firmato da tutti i capigruppo, a “rimuovere gli ostacoli” che, da 28 anni, hanno “impedito”, ma forse sarebbe meglio dire “evitato”, la pubblicazione delle situazioni patrimoniali dei consiglieri. Una leggina utile a garantire la piena trasparenza sul reddito, sulle spese elettorali e sugli incarichi di quanti ricoprono cariche elettive. Bene pure che nel progetto di legge approvato sia stata inserita – come del resto richiedeva la legge nazionale già da ben 28 anni – l’estensione della disciplina anche ai “nominati” nei vari enti e società regionali oltreché dei sottosegretari e degli assessori non consiglieri. Ma da Radicali chiediamo a Talarico che, sui modelli di “Open Polis” ed “Open Parlamento”, siano pubblici anche i dati relativi ai lavori del parlamentino calabrese (presenze dei consiglieri, attività, interrogazioni e voti sugli specifici provvedimenti legislativi dei diversi consiglieri) in modo da riavvicinare la buona politica ai cittadini e isolare quelle “zone grigie” che in Consiglio regionale ci vanno solo per fare gli affari loro. Insomma, concludono Candido e Staderini, i Radicali chiedono al Presidente del Consiglio regionale Talarico che, proprio dalla Calabria, si faccia partire, su questo specifico argomento, quella “rivoluzione” digitale della politica che i Radicali propongono in tutta Italia come “APE”, l’anagrafe pubblica degli eletti e che, proprio grazie alle nuove tecnologie offerte da internet, consente di far accedere facilmente ai dati non solo patrimoniali degli eletti direttamente da un sito web e permetta di controllare facilmente se il proprio eletto ha o non ha lavorato bene>>.

*Segretario Nazionale Radicali Italiani

**Direttore di “Abolire la miseria della Calabria”

e membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani

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Non è facile dire no alla ‘ndrangheta

di Giuseppe Candido

Angelo Vassallo
Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica (Sa) ucciso per “aver detto un no di troppo”

Tra le minacce a Scopelliti, l’attentato a Di Landro e i recenti fatti di Calabria dove la ‘ndrangheta sta alzando il tiro, è la notizia dell’uccisione di Angelo Vassallo, sindaco Pollica (Sa) dal 1994, ha richiamare l’attenzione. Mentre in Calabria si organizzano manifestazioni di solidarietà al Procuratore Di Landro per dire no alla ‘ndrangheta, la criminalità organizzata ci mostra come reagisce a chi dice no davvero. Chi dice no alle convivenze e si rifiuta di far avvicinare le criminalità organizzate, mafia camorra o ‘ndrangheta che siano, alle decisioni della politica, alle scelte urbanistiche. Insomma la criminalità di quel luogo ha sottolineato che 9 pallottole sono la risposta a chi dice un “no” di troppo. Un “no” alle collusioni con la camorra pagato al prezzo della vita. Angelo Vassallo dovrebbe essere ricordato come un garante delle nostre Istituzioni morto per la vita del diritto e per il diritto alla vita, sana, in una ambiente tutelato e salvaguardato da interessi criminali, dei propri cittadini. Un omicidio in stile camorristico per un “no di troppo”. E in Calabria la mente, il cuore e il ricordo non può non andare a Francesco Fortugno che pure aveva messo il naso negli affari tra politica e ‘ndrangheta dicendo un “no di troppo” sulla sanità. “Non è facile combattere la ‘ndrangheta in Calabria” è il titolo dell’articolo di Philippe Ridet comparso nel mese di dicembre dello scorso anno su Le Monde, uno dei più noti quotidiani d’oltralpe. “Con 492 case costruite senza permessi, Lamezia Terme detiene il record degli abusi edilizi. Ma il sindaco Giovanni Speranza ha intenzione di far rispettare le regole” è l’incipit dell’articolo che ricorda che dal 16 novembre 2009, dopo che le ruspe guidate dai militari sono entrate in azione per la demolizione, Gianni Speranza vive sotto scorta. “Se questa è la legalità, allora viva l’illegalità” gridava un consigliere comunale contrario alle demolizioni. Poi ci sono le convivenze tra la politica che spesso non dice “no” alle pretese della ‘ndrangheta ma ci siamo anche noi che, culturalmente, ci siamo abituati a convivere con l’illegalità della porta a fianco. Non è sufficiente una manifestazione un giorno od anche un forum permanente che pure sono iniziative lodevoli. È difficile combatterla ed è importante che, come ha spiegato anche Di Landro, la ‘ndrangheta venga contrastata con una rivoluzione culturale che parti dal basso, dai giovani e nelle scuole, e non soltanto dalla sia pur giusta e sacrosanta repressione da parte delle forze dell’ordine. Purtroppo oggi si tagliano i fondi sia alla scuola sia alla sicurezza e, con essi, anche la speranza di sconfiggere la criminalità più potente del pianeta.

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Precari in rivolta e il libro verde della scuola calabrese

di Giuseppe Candido

“I tagli all’istruzione (di scuole, di classi, di posti di lavoro, di finanziamenti per il normale svolgimento delle attività) pur iniziati anche con governi precedenti hanno raggiunto oggi – spiega Rino Di Meglio, segretario nazionale della Gilda – un punto che non esitiamo a definire scandaloso”. Sono saliti sui tetti. Sono andati in piazza, con studenti e genitori. Si sono persino incatenati. Adesso, la nuova frontiera della protesta dei precari nella scuola, alle prese con la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, è lo sciopero della fame. I primi a varcarla sono stati tre insegnanti palermitani. Ma la mobilitazione a colpi di digiuno si sta diffondendo in tutta Italia tra i precari della scuola che si preparano a un anno di disoccupazione annunciata. “La scuola pubblica è alla frutta e i precari della scuola alla fame” dice la scritta sullo striscione sotto Montecitorio dove sono accampati alcuni precari che, per quest’anno, rischiano di non vedersi riconfermato l’incarico annuale. Affamati di cultura, senza cibo i precari della scuola, da Palermo a Roma alla Lombardia, protestano per i tagli in tutta Italia. “Il ministro deve venire a spiegarci cosa c’è di positivo in questa riforma”. “Il più grande licenziamento di massa della storia italiana” tuona Bersani dalla Festa del Pd. Non c’è dubbio sul fatto che la scuola italiana abbia bisogno di riforme serie che la rendano più efficiente e più efficace di come è attualmente ma, quello che oggi si contesta sono i tagli effettuati dalla legge 133. Però per il Ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini va tutto bene, non ci sono tagli, nella sua conferenza stampa annuncia una “riforma epocale” e spiega perché non ci sarebbero stati tagli. E che non incontrerà nessun precario: “Adesso non li incontro – ha spiegato ai cronisti che le rivolgono questa specifica domanda – per il semplice motivo che stiamo perfezionando degli accordi”. I più di 20.000 precari che quest’anno non troveranno posto sono, per il Ministro, semplicemente il frutto di politiche scellerate dei governi precedenti e non già persone che prima hanno retto la scuola per anni sulle loro spalle ed ora sono sdraiati in tutt’Italia sotto gli uffici scolastici. “Protestano senza essere stati ancora esclusi.
Una protesta che rispetto, legittima, ma non motivata. Non si tratta di persone licenziate. Presumono di non avere il posto di lavoro ma il ministero non ha ancora completato le operazioni. Dobbiamo vedere – ha proseguito il Ministro – quanto precari risponderanno positivamente agli accordi con le Regioni. Se preferiscono l’indennità di disoccupazione…”. Ma dal maestro unico in poi passando per i posti di sostegno “inutili” e l’aumento del numero di alunni per classe, nella scuola di tagli ce ne sono stati eccome. Parecchie persone che conosco personalmente e che prima vi lavoravano ogni anno oggi sono rimaste a casa. Per accorgersene basta farsi un giro nelle scuole e sondare l’aria che tira. “Quest’anno non so come fare – ci dice la preside di una scuola media calabrese che preferisce mantenere l’anonimato – negli uffici amministrativi erano in 5, con i tagli ora sono tre”. E anche sui collaboratori scolastici il problema c’è: “dovremo organizzarci e andare avanti lo stesso”. Ma se lo Stato taglia cerca di girare la spesa alle Regioni e, per la Calabria, è stato approvato, su proposta dell’Assessore alla cultura e alla pubblica istruzione Caligiuri, il “Libro Verde della scuola in Calabria”. Un protocollo d’intesa tra la Giunta regionale e il Ministero della Pubblica Istruzione che prevede “un programma di innovazione per l’azione amministrativa”. In altre parole, ha spiegato Caligiuri, è stato avviato “un dibattito fra tutti i soggetti che operano nel mondo della scuola, per individuare le linee di sviluppo dell’Istruzione nella nostra regione”. Secondo il neo assessore all’Istruzione “partendo da un’attenta analisi dell’esistente, abbiamo individuato obiettivi ambiziosi e sfide strategiche nelle quali poter coinvolgere tutti gli attori interessati alla realizzazione di una scuola con standard europei”. “Uno strumento di programmazione e di rinnovamento della scuola – ha aggiunto il Presidente Scopelliti – sulla base del modello di documento proposto dall’Unione europea, che affronta il tema centrale della società calabrese, la formazione come investimento produttivo e avvia, nello stesso tempo, un dialogo continuo e dinamico con tutte le componenti sociali ed istituzionali: scuole, amministrazioni locali, docenti, famiglie, studenti”. Per il momento però la prima stesura del documento viene illustrata soltanto ai dirigenti scolastici. Secondo Caligiuri la giunta avrebbe “dimostrato con i fatti che il mondo della scuola è tra le priorità” della nuova amministrazione regionale poiché “convinti che l’investimento in cultura e formazione è un investimento ad alta redditività con ricadute positive sulla crescita economica …”. Buona volontà regionale poco valorizzata dai provvedimenti del Governo nazionale. Poco importa, infatti, se intanto si tagliano i precari: docenti, collaboratori e personale amministrativo. Tanto in Calabria c’è il librone verde.

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Abolire la miseria della Calabria per dire NO alla ‘ndrangheta

di Giuseppe Candido* e Filippo Curtosi**

Anche dal nostro piccolo di un giornale, “Abolire la misera della Calabria”, periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica e liberale calabrese, intendiamo aderire alla manifestazione che si terrà a Reggio Calabria nel mese di Settembre per dire NO alla ‘ndrangheta. Dopo le minacce ai politici, dopo l’escalation di attentati che, da quello del 3 gennaio passando per le armi sul tragitto di Napolitano sino alla bomba davanti al portone del Procuratore Salvatore Di Landro, è senz’altro da con dividere l’iniziativa del direttore de Il Quotidiano della Calabria, Matteo Cosenza, nel chiedere di andare oltre gli attestati di solidarietà ai magistrati e di sdegno contro una ‘ndrangheta sempre più feroce, potente ed organizzata, e di dare vita, nel mese di Settembre, ad una grande manifestazione che, già da subito, ha trovato ampi consensi sia nel mondo della politica, sia dell’imprenditoria che in quello della cultura calabrese. Anche chi scrive, di primo impulso, ha espresso con un articolo la propria solidarietà a chi la ‘ndrangheta la combatte sul serio.

La ‘ndrangheta in Calabria e in Italia non è solo tracotanza economica e spregiudicatezza nel gestire gli appalti. Non più criminalità che si uccide con criminalità. Oggi siamo giunti al livello di un vero e proprio attacco allo Stato, alle Istituzioni di cui già, con una presenza “pervasiva” nelle amministrazioni locali – come ha avuto modo di definirla il Presidente della Banca d’Italia Mario Draghi – ne dispone il controllo. Ed ha totalmente ragione l’On.le Angela Napoli quando avverte che “servono meno solidarietà e più fatti”. E che “è strano che il diluvio di parole arrivi anche da chi ha il compito di operare o di dare, per esempio, più auto e benzina sufficiente ai magistrati”.

Perché, come ci ha ricordato Enrico Fierro su Il Fatto quotidiano del 27 agosto scorso, “A Reggio Calabria può succedere di tutto”. Persino, scrive il giornalista, “Un botto ancora più grosso di quello che la scorsa notte (26 agosto ndr) ha devastato la casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro. Qualcosa che fa tremare i palazzi cambierà il corso delle cose.” Scenario apocalittico? Delirio di un pessimista? Secondo l’analisi del giornalista a Reggio Calabria gli “appetiti dei comitati d’affari” sovrasterebbero prioritari nella “melma che rende difficile distinguere la politica buona con quella che si prostituisce con la ‘ndrangheta” ma anche “i magistrati in bilico con quelli che rischiano la vita in silenzio”, “la mafia dall’antimafia, gli onesti dai malacarne”. E forse è proprio qui che sta il punto. “Uomini in giacca e cravatta che attraversano con la stessa naturalezza gli angusti bunker dei boss della ‘ndrangheta, i salotti della massoneria e gli ovattati uffici del potere”. “Una città dove tutti, dai salotti che contano ai frequentatori dei caffè del centro, sanno che presto uno tsunami giudiziario si abbatterà sulla politica calabrese”. Ricordando che Pannella sostiene da sempre che gli “uomini d’onore”, in Sicilia e in Calabria, sono stati corrotti dalla mala politica, la gente onesta, quella che è abituata a vivere rispettando le leggi, ha il dovere morale non solo d’indignarsi ma di essere fisicamente presente alla manifestazione che si terrà a Reggio.

** Direttore resp. “Abolire la miseria della Calabria”

*   militante Radicale e Direttore editoriale del mensile “Abolire la miseria della Calabria”

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La ‘ndrangheta che alza il tiro e il transatlantico della rivoluzione

di Giuseppe Candido

Salvatore Di Landro
Salvatore Di Landro – Foto APCOMO

Dopo le minacce ad esponenti politici in Calabria la ‘ndrangheta ha alzato il tiro. Per questo vogliamo esprimere la nostra solidarietà a Di Landro e a chi come lui, compiendo il proprio dovere, subisce intimidazioni dalla criminalità organizzata più potente del pianeta. Non solo tracotanza economica e spregiudicatezza nel gestire gli appalti. Oggi siamo giunti al livello di un vero e proprio attacco allo Stato, alle Istituzioni di cui già, con una presenza “pervasiva” nelle amministrazioni locali – come ha avuto modo di definirla il Presidente della Banca d’Italia Mario Draghi – ne dispone il controllo. Anche il Presidente della Giunta regionale Scopelliti, che nei giorni scorsi aveva subito intimidazioni, ha “voluto testimoniare” la sua “solidarietà personale e della Regione al Procuratore Di Landro”, affermando che “si tratta dell’ennesima azione che deve trovare obbligatoriamente una risposta”. “Credo” – aveva detto – “Che il lavoro pregevole di Di Landro dia fastidio”. E se è vero che “in Calabria non c’è solo la mafia” il problema non è certo Di Landro ma gli intrecci ‘ndrangheta politica e massoneria che pure esistono. La ‘ndrangheta gli mette la bomba sotto casa perché, ha affermato Di Landro, “non si fanno più sentenze a saldo”. Quella contro il Procuratore generale di Reggio Calabria è, per dirla con le parole utilizzate dal Procuratore nazionale dell’antimafia Piero Grasso, una “nuova sfida allo stato”. Il 5 agosto scorso Grasso aveva parlato di “rischio attentati”, affermando che i rischi di stragi come quelli di Firenze o Via d’Amelio “ci sono sempre, soprattutto in momenti di tensioni politiche. Può esserci qualcuno che vuole approfittare del momento politico per dare uno scossone”.

E lo scossone è arrivato. “Questo ennesimo grave episodio – ha affermato Grasso in esplicito riferimento all’attentato a Di Landro – si inserisce in una lunga scia di intimidazioni e minacce iniziata lo scorso 3 gennaio, nei confronti della Magistratura calabrese tutta”. Vincenzo Macrì, Procuratore nazionale antimafia aggiunto, l’ha definito uno “sciame intimidatorio” che da mesi tocca magistrati, politici, amministratori, giornalisti. È lecito perciò, forse anche doveroso, chiedersi perché avesse solo una scorta “ad orario” che passava a tempi determinati sotto la sua casa. Perché non era meglio protetto? Forse è da collegare coi tagli che ci sono stati sulla sicurezza? Ma questo, adesso, non è il vero problema.

La vera domanda che dovremmo porci come calabresi è: “Che cosa sta succedendo a Reggio e in Calabria?”. A fornire una risposta a questa domanda è l’articolo di Enrico Fierro, pubblicato su “il Fatto quotidiano” del 27 agosto col titolo “Dai bunker ai salotti: Reggio aspetta lo tsunami”. I boss, le “talpe” , le prossime elezioni e il potere in attesa di giudizio gli argomenti esaminati. L’incipit dell’articolo è chiaro sin dalle prime battute: “A Reggio Calabria può succedere di tutto. Un botto ancora più grosso di quello che la scorsa notte (26 agosto ndr) ha devastato la casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro. Qualcosa che fa tremare i palazzi cambierà il corso delle cose.” Apocalittico? Pessimista? Secondo l’analisi del giornalista a Reggio Calabria gli “appetiti dei comitati d’affari” sovrasterebbero prioritari nella “melma che rende difficile distinguere la politica buona con quella che si prostituisce con la ‘ndrangheta” ma anche “i magistrati in bilico con quelli che rischiano la vita in silenzio”, “la mafia dall’antimafia, gli onesti dai malacarne”. E forse è proprio qui che sta il punto. “Uomini in giacca e cravatta che attraversano con la stessa naturalezza gli angusti bunker dei boss della ‘ndrangheta, i salotti della massoneria e gli ovattati uffici del potere”. “Una città dove tutti, dai salotti che contano ai frequentatori dei caffè del centro, sanno che presto uno tsunami giudiziario si abbatterà sulla politica calabrese”. Il giornalista si riferisce esplicitamente ai “dossier ed alle intercettazioni che documentano i legami tra Cosimo Alvaro (rampollo della ‘ndrangheta di Sinopoli) e Michele Marcianò, Consigliere comunale di Reggio Calabria e fedelissimo del governatore”, che “si rivolgeva ad Alvaro chiamandolo “compare” e chiedeva aiuto per le tessere del PdL e in cambio prometteva incarichi da centinaia di migliaia di euro”. Poi il giornalista tocca i palazzi della Regione riferendosi ai “legami di Albreto Sarra, oggi potentissimo sottosegretario della giunta regionale, con la famiglia Lampada di Milano, teste di legno di Pasquale Condello, in galera ma ancora a capo di una delle ‘ndrine più forti della città”. “Ed è nell’ufficio di Sarra – continua Enrico Fierro – che è passato uno dei personaggi più inquietanti di questa storia”. Giovanni Zumbo l’uomo che, sempre secondo il giornalista de il Fatto , “avvisa mafiosi del calibro di Giuseppe Pelle e Giovanni Ficara dei blitz che da Reggio a Milano si stanno per abbattere sulla ‘ndrangheta”. Sullo sfondo il dedalo intrecci d’interessi affaristico-politico-mafiosi su sanità e lavori pubblici. Quello che starebbe avvenendo in Calabria è “un riassetto dei poteri violentissimo, come nel precedente passato, come nei mesi che precedettero l’omicidio eccellente di questa regione, quello di Francesco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale”. Insomma, un clima che non fa certo ben sperare e che ci fa rendere conto che, se la strada della legalità è l’unica percorribile, in Calabria questa strada è davvero un percorso in salita perché qui la partitocrazia ha addirittura corrotto gli uomini “d’onore” trasformando le ‘ndrine in una sorta di anti “stato” parallelo a quello ufficiale delle Istituzioni democratiche e rappresentative. In questo senso siamo vicini a Di Landro, a Scopelliti e chiunque, in questa terra, abbia intenzione vera di non mollare. Invitando però, a chi vuole il vero cambiamento, a stare attenti a chi si fa imbarcare sul transatlantico della rivoluzione.

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