di Francesco Santopolo
di Francesco Santopolo
di Giuseppe Maria Matina
Un buon padre di famiglia è colui che, capace di osservare attentamente il presente, riesce a vedere dove esso si diriga, quali tempeste o bonacce si preparino e si dispone al peggio per affrontarle, costruendo fortificazioni e mettendo da parte il necessario.
Buon 1° maggio, se potete
di Giuseppe Candido
Molestie e maltrattamenti sul posto di lavoro per ricevere piaceri sessuali. Oggi sappiamo che denunciare si può e si deve. A seguito di indagini durate oltre due anni e su richiesta del Pubblico Ministero Simona Rossi, durante l’udienza preliminare dello scorso 30 aprile 2010, il GUP presso il tribunale di Catanzaro, nella persona della dott.ssa Emma Sonni, ha disposto il decreto di rinvio a giudizio dell’ex dirigente scolastico, dott. Pietro Catanzaro, difeso dall’avvocato Pietro Funaro del foro di Catanzaro, perché imputato di tentata violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) e maltrattamenti (art.572 cp) commessi nei confronti di un’insegnante a lui sottoposta. I fatti risultano aggravati dalla circostanza che i reati sarebbero stati commessi dal dottor. Catanzaro nella sua qualità di pubblico ufficiale, durante l’esercizio delle proprie funzioni di preside. Nella richiesta di rinvio a giudizio, pienamente confermata dal G.U.P, si legge che “il Dottor Pietro Catanzaro, in qualità di dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Cropani, con violenza ed abusando della propria autorità, tentava di costringere l’insegnante … a compiere e a subire atti sessuali contro la sua volontà…”. Nello procedimento penale che inizierà ad essere celebrato il 7 giugno prossimo, il dott. Catanzaro, attualmente in pensione ma che nella scuola ha operato fino al giungo del 2008, è altresì imputato del non meno grave reato di concussione (art. 317 c.p.) perché, secondo l’accusa, “sempre nella qualità di incaricato di pubblico servizio, abusando dei suoi poteri, mediante l’adozione di provvedimenti (ordini e comunicazioni di servizio) dal contenuto pregiudizievole nei confronti dell’insegnante …, e comunque abusando della sua qualità, ossia tenendo nei confronti della stessa insegnante una condotta discriminatoria e prevaricatrice, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere e/o indurre la predetta a concedergli indebitamente favori di tipo sessuale, evento non verificatosi per cause indipendenti dalla propria volontà, segnatamente a cagione dei reiterati dinieghi della persona offesa”. I reati contestati all’ex Dirigente Scolastico, commessi dall’aprile 2007 al giugno del 2008 e che hanno cagionato, alla malcapitata insegnante, gravi problemi sia sul piano lavorativo sia su quello personale, risultano tutti aggravati dall’esser stati commessi con abuso dei poteri inerenti alla sua professione lavorativa. Nel procedimento si sono costituite parte civile, assieme all’avvocato Natalina Raffaelli, legale dell’insegnante in veste di persona offesa, anche l’avvocato Maria Anita Chiefari, quale rappresentante dell’ufficio di parità della Provincia di Catanzaro.
Giovane Calabria: Rinviata dalla nuova giunta Scopelliti l’entrata in vigore della nuova normativa antisismica regionale calabrese
di Giuseppe Candido
In Calabria – è bene ricordarlo – oltre al terremoto del 1908 vi furono periodi sismici prolungati per mesi, addirittura per anni, e con terremoti di intensità considerevole e distruttrice. Nel periodo sismico connesso con il terremoto del febbraio del 1783 le scosse perdurarono per quasi quattro anni, fino alla fine del 1786. Le convulsioni della terra, del mare e dell’aria si estesero per tutta la Calabria Ulteriore, sulla parte Sud Est della Calabria Citeriore e, attraverso il mare, giunsero a Messina ed ai suoi dintorni. Soltanto nell’anno 1783, le scosse furono 949, delle quali 501 di primo grado d’intensità e negli anni successivi 151, delle quali 98 di primo grado (E’ da notare che la scala suddivideva allora i terremoti in soli 4 gradi d’intensità in cui il primo rappresentava il grado più severo, quello rovinoso). Che la nostra sia una terra ballerina, una regione ad elevata pericolosità sismica, è la storia che ce lo racconta e lo sentiamo ripetere così spesso nei comizi e dalle colonne dei quotidiani che poi, proprio nel momento di operare le scelte politiche concrete, accade che lo si dimentica e si cancelli quello che in precedenza era stata una legge votata all’unanimità dal precedente consiglio regionale. La Corte Costituzionale, già con la sentenza del 20 aprile del 2006, aveva sancito l’illegittimità della legge antisismica regionale dei controlli “a campione” e la relativa urgente necessità, anche per la Calabria, in merito alla vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche, di un ritorno al regime delle autorizzazioni. Da quel momento era diventato improcrastinabile per tutti l’adeguamento della normativa regionale a quanto sentenziato dalla Suprema Corte: adottare per tutti i progetti la procedura dell’autorizzazione preventiva alle nuove costruzioni così da evitare scempi di legalità che portano, ormai lo sappiamo dal sisma in Abruzzo, al crollo anche di quegli edifici che invece avrebbero dovuto resistere. Oltre ad una elevata pericolosità sismica la nostra regione ha una elevata percentuale di patrimonio edilizio sismicamente vulnerabile, non idoneo cioè a resistere alle scosse. E’ sufficiente, per rendersene conto, dare un’occhiata al “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia” realizzato nel ’99 e poi dimenticato.
Ecco anche il perché della richiesta della Corte di tornare al regime di autorizzazioni preventive e non già al semplice controllo a campione dei progetti per nuove costruzioni. Ed ecco spiegato pure il perché, nell’ottobre scorso, la nuova normativa antisismica che aveva voluto la giunta Loiero per incarnare le decisioni della Corte era stata votata all’unanimità da tutti i 42 Consiglieri, anche coi voti dell’allora opposizione di centro destra. Sarebbe dovuta entrare in vigore il prossimo mese di maggio. Oggi, però, fa notizia il fatto che, la nuova giunta di centro destra guidata da Peppe Scopelliti abbia deciso di cancellare, con il classico “colpo di spugna”, ciò che prima si era invece votato all’unanimità per “il bene comune”. Per il bene placido di qualcuno si sospende l’entrata in vigore della legge. La motivazione? Pare sia il fatto che, a causa della mancanza di personale e di risorse, non si possa dare attuazione alla legge che richiederebbe di controllare, come vorrebbe la Corte, tutti i progetti prima di consentirne la costruzione. Che noia, che barba. Ma che il personale mancasse, stante la Calabria sia la regione con il più alto rapporto dipendenti pubblici / cittadini, non lo si poteva, forse, sapere già da prima? Certo, in campagna elettorale si sarebbe dovuto spiegare il perché si preferisce il rischio, anche quello sismico, piuttosto che intralciare potentati come l’associazione costruttori che di certo lo considera un “rallentamento burocratico” e non vede di buon occhio il provvedimento che però è dettato da esigenze reali: la sismicità della nostra terra. Allora è legittimo chiedersi se pure la legge sull’accoglienza dei migranti che, con la collaborazione del centro destra fu un provvedimento votato all’unanimità durante la precedente legislatura regionale e che pure l’UNHCR, l’alto commissariato per i rifugiati, aveva apprezzato, non venga adesso brutalmente cancellato, magari, per mancanza di personale o di persone accoglienti.
di Giuseppe Candido
Pubblicato su “il Domani” il 26 aprile 2010
Ha ragione da vendere Bersani nell’affermare che ci sono molti modi per tradire una costituzione, per tradire, cioè, quei “valori che sono fioriti” durante la resistenza “nel sangue di tante sofferenze” e che hanno portato alla liberazione. Ed ha ragione quando individua nell’indifferenza e nell’ignavia uno dei modi più subdoli per tradire il patto che ci lega. Un modo fu sicuramente quello operato dal regime del partito unico del fascio che proibì i festeggiamenti del 1° maggio istituendo la festa del lavoro. Ma per rinnovare e rinsaldare quel patto bisognerebbe ricordare anche che, a tradire la Costituzione, il rispetto di quel patto che ci lega, è molto spesso l’indifferenza della partitocrazia che oggi, troppo impegnata nei suoi balzelli, è del tutto sorda persino alle urla che provengono dalle nostre patrie galere, da tutte le carceri italiane ormai al collasso per il sovra affollamento, con organici della polizia penitenziaria sotto dimensionati e dove la sanità, la salute, sono diritti umani cui si deve rinunciare. Oggi, mentre il PdL dibatte sul partito di plastica o sul partito in cui sia possibile un dibattito interno e mentre il PD, invece, è impegnato a capire le ragioni di una sconfitta, nelle carceri italiane la gente si suicida per evadere da una situazione divenuta non più tollerabile. Per la nostra Carta fondamentale le pene, è bene ricordarlo ancora proprio a chi intende “rinnovare un patto per costruire una nuova Unità d’Italia, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ma, ahi noi, non potrebbero e non dovrebbero eppure la situazione è quella più volte denunciata dai Radicali, dall’associazione Antigone e, di recente, anche dalla Comunità di Sant’Egidio. Rita Bernardini è da oltre dodici giorni in sciopero della fame per proporre che sia data priorità, con la via legislativa, al provvedimento voluto dal Ministro Alfano per consentire ai detenuti con pene inferiori ad un anno di scontare la pena, sempre in condizioni di detenzione, ma ai domiciliari. Si alleggerirebbe il carico di sovraffollamento e si potrebbe utilizzare il momento per una grande riforma della giustizia condivisa. E dispiace che i dubbi sul provvedimento non vengano soltanto dal giustizialismo dell’Italia dei Valori ma anche dal PD. Per rinnovare davvero quel patto, per ricostruire una nuova Unità, c’è bisogno di cominciare a rispettare il patto, a rispettare la parola data, la legge e la costituzione in primis. Non dimentichiamo come andò: dopo la sua approvazione, la Costituzione fu subito tradita dal fascio unico dei partiti che impedirono per oltre vent’anni sia il voto di referendario sia quello per le regionali. Oggi la nostra Costituzione viene sistematicamente violata, il principio di eguaglianza è continuamente vilipeso ogni volta si fa una legge ad personam che rende la legge non uguale per tutti ed il rispetto della parola data è messo sotto le scarpe ogni qualvolta si neghino i più elementari diritti civili, politici e umani dei cittadini come nel caso delle nostre carceri o come quando si attuano le politiche dei respingimenti dei migranti richiedenti asilo politico. Ricostruiamo l’Unità partendo dal rispetto del patto che ci lega, si faccia una grande riforma della giustizia. Solo così si potrà dare continuità ai valori della Resistenza e sperare in una nuova Liberazione.
“La ‘ndrangheta è più garantista di certa editoria”
ascolta l’intervista ad Antonella Grippo di Andrea Billau il 13 aprile 2010
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Ascolta l’intervista
di Franco Vallone
La devozione popolare delle nostre genti meridionali ha creato e scritto, con la sua religiosità popolare e con varie esternazioni folkloriche, un vangelo delle apparizioni del Cristo alla Madonna, detto comunemente Affruntata, Svelata, Cumpruntata, Cunfrunta o Cumprunta. L’Affruntata si svolge annualmente a Vibo Valentia ed in molti paesi della sua provincia. Il giorno di Pasqua per le strade di Vibo, Briatico, Sant’Onofrio, Paradisoni, San Giovanni di Zambrone, Pernocari, Filogaso, San Costantino Calabro, Filadelfia, Acquaro, Soriano Calabro, Sciconi di Briatico , Rombiolo, il lunedì dell’Angelo a Dasà, il martedi ad Arena. A Zammarò, frazione di San Gregorio d’Ippona, la manifestazione si svolge la domenica successiva alla Pasqua. In provincia di Reggio Calabria l’Affrontata, o Cunfrunta, si svolge a Bagnara Calabra, Rizziconi, Polistena, Benestare e in tanti altri paesi. Nella sua linearità plastica e nel silenzio del dramma che viene solo rappresentato, l’interpretazione dell’Affruntata è che Gesù non solo non apparve anzitutto a Maria, ma che Giovanni l’evangelista, il discepolo prediletto, cui il Maestro aveva affidato la Madre, sia il mediatore di questo incontro e l’annunciatore della vittoria del Figlio sulla morte. L’Affruntata, l’incontro, è una antichissima espressione scenica, una sacra rappresentazione della resurrezione che ci arriva dal medioevo anche se ha radici precristiane e che racconta, con una intensa partecipazione corale, i riti di passaggio della primavera, della rinascita e del ciclo vitale dei campi. I tre personaggi classici dell’Affrontata sono San Giovanni, il Cristo Risorto e la Madonna ammantata di nero. Le tre statue vengono posizionate all’interno del paese in luoghi prefissati non visibili tra loro, poi s’inizia con il percorso rituale di San Giovanni che, con un andamento in crescendo, porta all’incontro di Maria con Cristo Risorto. Il velo nero dell’ Addolorata cade e la Madonna appare vestita di rosa o di bianco o di azzurro. Il momento culminante dell’incontro si completa con il suono delle campane a festa, il volo di colombe bianche ed una lunga processione di ringraziamento per le vie del paese. La rappresentazione popolare vuole che Maria rifiuti di credere per ben due volte, solo al terzo annuncio, ormai convinta, segue Giovanni e corre verso l’incontro del Figlio proveniente dalla parte opposta. Ma l‘Affruntata, l’antico evento di religiosità popolare che si svolge ogni anno il giorno di Pasqua, non è solo ritualità, tradizione popolare e folklore. Come ogni altro evento che investe tutta la comunità il rituale è anche un enorme contenitore di messaggi, di segni, di simboli e di codici che, attraverso il non detto e la metafora, possono creare un gergo e comunicare dell’altro. Per alcuni l’Affrontata, nelle sue dinamiche simboliche, mima i tempi del rapporto sessuale, con una prima fase di preliminari, il crescendo dell’andamento percorso da San Giovanni (che avanza e ritorna indietro sempre più velocemente), la fase centrale con l’incontro del Cristo Risorto con la Madonna Addolorata che perde il manto nero (con le colombe bianche che escono da sotto il mantello e volano in cielo) ed una fase finale dove, attraverso la processione e il rientro in chiesa, si ritorna alla normalità. Ma al di là di questo tipo di lettura vi sono altre interpretazioni ed ogni Pasqua, ad ogni Affruntata, la comunità legge l’andamento del rituale come come “visione – previsione – presagio” valida per l’anno successivo e gli auspici vengono estrapolati proprio dal come riesce l’Affrontata. Se il rituale non ha intoppi, se l’incontro riesce ad essere sincronizzato alla perfezione, per il paese, e quindi per la comunità, tutto andrà bene, fino alla Pasqua successiva. Un messaggio da una dimensione altra che riesce a oltrepassare le barriere del tempo sacro e a prelevare codici anche da antichi riti pagani legati alle figure di Kore, Persefone e Proserpina, ai riti sotterranei di passaggio, di soglia e di rinascita. Antiche usanze lentamente elaborate in centinaia di anni dalla religione cristiana ed ancora rielaborate, semplificate e caricate di una più ricca simbologia dalla religiosità popolare, dalla tradizione consolidata e uniformata da tutta la comunità. Nell’Affruntata il tempo di più forte tensione avviene proprio nel momento dell’incontro. Quando una delle statue cade a terra all’interno dello svolgimento del rituale questo viene letto come segno molto negativo. Per le tradizioni del popolo sono elementi simbolici che rimandano a previsioni foriere di buie premonizioni per tutta la comunità. Anticamente questi segni colpevolizzavano eventuali disgrazie, pestilenze, terremoti, fatti delittuosi, sommosse e guerre che si verificavano durante l’anno. Molti anni fa, proprio nel vibonese, a Zammarò di San Gregorio d’Ippona, durante la fase conclusiva dell’Affrontata cadde la statua della madonna che in quell’occasione rimase decapitata con grande sofferenza, paura ed allarme che durò tutto l’anno successivo. Alcuni anni dopo cadde una statua durante l’Affruntata di Paradisoni di Briatico. Anche in quel caso la gente interpretò l’evento con severa dinamica di infauste previsioni.
A Briatico affruntata con brivido finale: Anche quest’anno Briatico ha realizzato l’antico rito dell’affruntata, una delle sacre rappresentazioni più interessanti del giorno di Pasqua. Un rituale dove viene riattualizzato, annualmente, il simbolico incontro del Cristo Risorto con la Madonna Addolorata tramite la figura soglia di San Giovanni. Durante questa edizione della Pasqua del 2010 tanta gente a Briatico, tantissimi emigrati che non hanno voluto mancare al tradizionale appuntamento, tanti turisti, ed un piccolo brivido registrato proprio nei momenti conclusivi del rito medievale. Dopo l’incontro la statua della Madonna, già svelata dal nero mantello e portata in corsa da quattro giovani del paese, si è inclinata paurosamente da un lato. Fortunatamente i veloci riflessi dei portantini sono riusciti a ristabilire prontamente l’asse verticale della statua evitando in extremis una possibile rovinosa caduta. Come si ricorderà nelle passate edizioni dell’antico rituale in provincia di Vibo Valentia vi sono state alcune cadute, le ultime a Paradisoni di Briatico e a Zammarò di San Gregorio d’Ippona, cadute delle statue sacre dell’affruntata che vengono interpretate come segno infausto per tutto il paese dove l’incidente avviene.
di Giuseppe Candido
Ora finalmente ci sono le perizie medico-legali della procura che iniziano a delineare la verità su ciò che è avvenuto al povero Cucchi dopo essere stato arrestato. Stefano, geometra di 31 anni, morto in carcere sette mesi fa dopo essere stato arrestato, si sarebbe potuto salvare. Il pool di medici legali nominati dalla procura a fare l’autopsia, coordinati dal professor Paolo Arbarello, sono certi che, tra le cause della morte del ragazzo, ci siano anche “le accertate negligenze dei medici dell’ospedale Sandro Pertini” che, secondo quanto emerge, non si sarebbero resi conto della gravità della situazione del malato. Vincenzo Barba e Francesca Loy, consulenti dei pubblici ministeri, vanno anche oltre e sostengono che la vittima è morta sia per disidratazione, sia per una serie di omissioni dei sanitari del nosocomio di via dei Monti Tiburtini. “Un trauma vertebrale a livello L3 – ha spiegato il professor Arbarello – risalente nel tempo e una a livello F4 recente. Lesioni recenti sono state evidenziate anche sul volto, su gambe e braccia, nulla legato invece a eventuali bruciature. Queste sono compatibili per aspetto morfologico, istologico e radiologico con una caduta podalica. Su ciò che abbia determinato questa caduta non spetta a noi determinarlo. Queste lesioni comunque sono del tutto indifferenti ai fini della morte”. Tuttavia le gravi negligenze dei medici del Pertini, non possono essere sufficienti, per i medici e i legali della famiglia, a spiegare quanto accaduto. Per i periti di parte “Stefano morì per i traumi”: “Sono stati i traumi e le loro conseguenze a determinare quella catena di eventi che ha portato alla morte di Stefano Cucchi”. E’ quanto evidenziato dalla perizia disposta dalla famiglia e presentata in una conferenza stampa a Montecitorio, a cui hanno preso parte la sorella Ilaria, il presidente dell’associazione “A buon diritto” Luigi Manconi che sin dall’inizio ha seguito il caso e l’intero collegio difensivo. Un decesso chiaramente correlato all’entità dei traumi subiti: “La morte di Stefano Cucchi – è quanto si legge nel documento che sintetizza i risultati della perizia – è addebitabile a un quadro di edema polmonare acuto da insufficienza cardiaca in soggetto con bradicardia giunzionale intimamente correlata all’evento traumatico occorso ed alla immobilizzazione susseguente al trauma”.
Stefano è stato pestato a morte mentre era nelle mani dello Stato e i medici, pubblici ufficiali, si sono resi complici di questa triste vicenda. L’omicidio di Stefano Cucchi, per Marco Pannella intervenuto sulla vicenda domenica 11 dai microfoni di Radio Radicale, è stato un “omicidio preterintenzionale”. Tutti parlano di traumi ma Luigi Manconi lo ha detto pure lui chiaramente, nella sua battaglia prudente ma allo stesso tempo intransigente, che Stefano è stato “pestato”. “Dal primo giorno ho avuto – continua Pannella – il sospetto” quando si è detto che Cucchi aveva fatto lo sciopero della fame e della sete per avere il suo avvocato di fiducia e adesso sappiamo, dalle perizie, che aveva la vescica piena. A un certo punto Stefano ha accettato di bere abbondantemente. Tutti sapevano che questo ragazzo poteva morire. Già dal primo giorno quello che c’è stato è, secondo Pannella, un riflesso: “Se questo si salva, racconta tutto quello che è successo, che lo hanno pestato”. “Si può discutere tra ‘associati per delinquere’, con quantomeno l’omicidio preterintenzionale, ma è evidente che questa serie di reati omissivi, ivi compreso il silenzio, perché il silenzio di coloro che sanno è reat”. Un reato “Ritengo giusto esprimere il dubbio – anche con la sorella, con la famiglia – che lui abbia avuto un comportamento classico, esemplare. Dopo 24 ore in quelle condizioni, lui dice: “Io voglio l’avvocato di fiducia”, non glielo danno e per questo fa uno sciopero della fame e della sete. “Questo – continua Pannella – è un segnale di una società e di un ceto dirigente che fa paur”. Cucchi accetta di bere per non morire ma è lo Stato ad abbandonarlo. Perché, spiega ancora Pannella, “Quando ci si abitua ad avere dentro di sé – come orizzonte – la morte, a questo punto poi la si crea e la si produce”.
Appaiono quindi ancora valide le richieste del padre di Stefano, Giovanni Cucchi, che durante la conferenza stampa il 29 ottobre scorso chiedeva: “Vogliamo sapere perché – alla richiesta precisa di Stefano – non è stato chiamato, dai militari la sera dell’arresto, il suo avvocato di fiducia, vogliamo sapere dalle forze dell’ordine come è stato possibile che abbia subito le lesioni, vogliamo sapere chi glie le ha prodotte e quando, vogliamo sapere dalle strutture carcerarie perché non c’è stato consentito il colloquio con i medici, vogliamo sapere, dalle strutture sanitarie, perché non gli sono state effettuate le cure mediche necessarie, vogliamo sapere, (sempre) dalle strutture sanitarie, perché sia stata consentita, in sei giorni di ricovero, una tale debilitazione fisica, vogliamo sapere perché è stato lasciato in solitudine senza un conforto morale e religioso, vogliamo sapere, infine, la natura e le circostanze precise della morte, vorremmo sapere altresì, se ci sono motivi validi di tale accanimento su una giovane vita. Immaginiamo che una famiglia distrutta dal dolore per la morte atroce del proprio figlio di, trentuno anni, abbia il diritto di urlare con tutte le sue forze, per chiederne conto”. Anche noi chiediamo di conoscere e non soltanto per il “diritto alla vita” troppo spesso vilipeso ma anche, e soprattutto, per la vita del diritto stesso.
di Giuseppe Candido
Pubblicato su “il Domani della Calabria” P.1 il 12/04/2010
Anche la comunità di Sant’Egidio si mobiliterà per affrontare l’emergenza delle carceri italiane. E’ un’ulteriore suicidio, il diciottesimo di quest’anno, nelle nostre patrie galere ad obbligarci a riflettere ancora: un giovane di 39 anni a Benevento si è tolto la vita impiccandosi. Poi è montata la protesta delle pentole nei padiglioni Salerno, Napoli e Livorno del carcere di Poggio Reale. La motivazione della protesta non violenta dei detenuti, manco a dirlo, è il sovraffollamento ormai giunto a condizioni di intollerabilità. La struttura conta 2.786 presenze a fronte di una capienza massima di circa 1800 posti. I decessi in cella aumentano giorno per giorno. Il sovraffollamento, già sanzionato dalla Giustizia europea, ha raggiunto ormai valori troppo oltre la capienza massima e oltre la “soglia di tollerabilità”. Il ministro Alfano lo sa bene: il piano di costruzione di nuove carceri varato a gennaio scorso non potrà essere attuato in tempi utili ed ha provato a varare in “via legislativa” il provvedimento proposto in commissione giustizia dalla deputata Radicale Rita Bernardini. La sede legislativa che avrebbe assicurato un esame rapido del provvedimento è stata però negata sia dal PD che dall’IDV. Poi ci si è messa pure la Lega, contro lo stesso Governo, a dire il suo no ad un testo che prevede di far scontare l’ultimo anno di pena residuo ai domiciliari anziché in carcere. I primi a denunciare la situazione delle carceri italiane sono proprio gli agenti del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. In quel carcere, a Poggio Reale, una situazione davvero “intollerabile” che, Marco Pannella, Rita Bernardini e Matteo Angioli, in visita nel giorno di Pasqua, già avevano denunciato prima che scoppiasse la protesta dei detenuti. Una situazione generale, quella delle carceri italiani, “peggiore che nel ventennio fascista” ha sottolineato più volte l’esponente radicale. Anche in Calabria le cose non vanno meglio: dopo due suicidi nel carcere di Castrovillari nel 2009 è di pochi giorni fa la notizia del tentativo di suicidio per impiccagione nel carcere di Reggio Calabria. Stante la situazione drammatica la partitocrazia, che normalmente per se stessa è garantista, stringe le corde contro quello che viene definita un’amnistia strisciante, un altro indulto.
Ma, afferma la Bernardini, “sono tornati i feroci e menzogneri riflessi demagogici pre e post indulto a favore di inumane e anticostituzionali carceri come discariche sociali” e, mentre sembrava aprirsi uno spiraglio nel governo che, nella persona del ministro della Giustizia, aveva pensato di varare in sede di Commissione il provvedimento che consente ai detenuti che devono scontare pene inferiori ad un anno di farlo ai domiciliari, lo stop al provvedimento arriva dalla Lega che però trova subito il sostegno giustizialista di Di Pietro che spara a zero su quella che lui definisce un’amnistia mascherata. E anche il PD non sembra sapere bene che pesci pigliare. Non si comprende l’atteggiamento autolesionistico del PD che “avrebbe potuto rivendicare a se stesso il merito di aver indotto il governo a mutare atteggiamento rispetto alla politica di carcerizzazione fin qui seguita”. E poi ci si dimentica delle duecentomila prescrizioni, vera amnistia strisciante di questo Paese, che avvengono ogni anno, si dimenticano delle parole di Napolitano nel suo discorso di fine anno e si dimentica pure la nostra stessa Costituzione, la nostra Carta fondamentale, quel “patto che ci lega” come società di persone e che spiega chiaramente che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (oggi il 48% dei detenuti è in attesa di giudizio) e che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La pena afflittiva e punitiva, in condizioni inumane di sovraffollamento che costringono al suicidio di liberazione, la pena che viene oggi erogata nelle nostre patrie galere, non è prevista dalla nostra costituzione. E forse sarebbe bene ricordare pure, alla “cattolica” Lega ma non solo, che nel 2006, era intervenuto proprio il Papa, Giovanni Paolo II, per chiedere quell’atto di clemenza utile a riportare il nostro paese nell’alveo della legalità costituzionale oltreché nell’ambito della più alta misericordia cristiana.
Anche Pannella sulla chiusura di Perfidia vuole saperne di più.
di Giuseppe Candido
Intervenendo al termine della consueta trasmissione-conversazione domenicale con il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin, anche il leader radicale Marco Pannella si interroga sulla vicenda di Perfidia e ricorda la sua amicizia con il Tony Boemi senior, fondatore della TV calabrese: “Sono stato in Calabria (Pannella ha concluso la campagna elettorale a Catanzaro), e sono andato una sera a Telespazio nel programma di Antonella Grippo (il 26 marzo ndr), è andata benissimo, e son stato lieto perché da Tony Boemi, il nonno (qui Pannella si confonde perché intendeva chiaramente il Padre dell’attuale editore Tony junior), l’inventore, il creatore di Telespazio che mi invitava, trovare di nuovo questa disponibilità in questo programma che si chiama Perfidia, ma, – prosegue Pannella – a questo punto, vengo a sapere che il programma, all’indomani della mia presenza, è saltato.
Antonella Grippo, pare, non fa più il programma per “difficoltà oggettive”. La cosa mi ha un po’ sorpreso perché il figlio del fondatore che continua ad essere editore di Telespazio era a New York e aveva telefonato quando aveva saputo che io ero li, incaricando i suoi soci, che erano presenti con molta cortesia a questa mia trasmissione che è durata un’ora e quaranta minuti, questa bella trasmissione davvero, di trasmettermi la letizia dell’erede dell’editore che conoscevo io e con cui eravamo amici. A questo punto, conclude Pannella, do questa notizia e vorrei saperne, se possibile, qualcosa di più. Può darsi l’editoria, qualche cosa, però io, come faccio in questi casi, dico: speriamo che non ti facciano fuori perché mi hai invitato. (Anche se li avevo i soci editoriali)
E Bordin che aveva quasi già chiuso la trasmissione: “una scelta editoriale non dovrebbe essere per come la racconti però questo dovrebbe essere ancora più inquietante.”
“Si, risponde il leader Radicale, ma questo è quanto è accaduto: Perfidia non c’è più. Magari se la seguiamo un po’ … li abbiamo alcuni compagni che sono in grado di tenerci informati”
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Ascolta l’audio: