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Frane e responsabilità politiche

di Giuseppe Candido

L’incuria umana e di una classe dirigente che, ai vari livelli, non è stata in grado di governare l’utilizzo del territorio. A Maierato gli sfollati li conta la cronaca. La Calabria frana e paga oggi il prezzo dell’intervento umano – dissennato e distorto – sul territorio. E’ accaduto già in passato in Calabria, a Sarno e Quindici nel salernitano a Messina e, in generale, nel mezzogiorno d’Italia dove alluvioni e frane assieme ai terremoti hanno provocato danni e morti. L’allarmante situazione idrogeologica, dalla Sicilia alla Campania passando per la Calabria e Basilicata, è sotto gli occhi di tutti. Meno di un anno fa sulle cronache era la frana sull’autostrada Salerno Reggio Calabria. Prima ancora un susseguirsi di eventi: l’alluvione e il disastro del Camping Le Giare sul torrente Beltrame a Soverato, le frane di Cavallerizzo e Cerzeto, l’alluvione dell’Esaro di Crotone e chi più ne ha più ne metta. Il Presidente Giorgio Napolitano ha parlato di “Situazione di diffuso dissesto idrogeologico, in gran parte causato dall’abusivismo edilizio, nel messinese e in tante altre parti d’Italia”. E ancora più chiaramente ha detto: “O c’è un piano serio che investe, piuttosto che in opere faraoniche, per garantire la sicurezza in queste zone del Paese, o si potranno avere altre sciagure”.

Quando, a ridosso della disastrosa colata di fango che travolse, nel 1998, i paesi di Sarno e Quindici nel salernitano, fu emanato il decreto leg.vo n°180, poi trasformato in legge, che imponeva di pianificare il rischio ed obbligava tutte le Regioni che ancora non avevano redatto i Piani di Bacino a redigere, pena il commissariamento, almeno i piani stralcio per l’assetto idrogeologico (PAI), fui veramente contento. Perché pensai che, con tale strumento conoscitivo, le Regioni e quindi anche la Calabria avrebbero potuto concorrere al risanamento del dissesto idrogeologico di cui oggi parla Napolitano, ma che ai geologi è noto da tempo. Sfasciume pendulo sul mare lo chiamava Giustino Fortunato. Pensavo che, una volta identificate le aree a rischio idrogeologico, per frana o alluvione, si sarebbe proceduto subito con i necessari interventi di monitoraggio e di mitigazione dei rischi. Invece continuiamo a contare vittime, e si è continuato a costruire in maniera dissennata, sia per la scarsa adeguatezza degli edifici al reale rischio sismico, sia in base ad un’attenta valutazione delle pericolosità geomorfologiche di un territorio fragile. In Calabria più di settemila frane rilevate su montagne e colline, rischio alluvione su centinaia di ettari di pianure e fasce litoranee assieme ai chilometri di costa a rischio erosione la dicono tutta sulla necessità ed urgenza di un cambiamento radicale sulle modalità di gestione del territorio. Non c’è periodo dell’anno che la Calabria non sia costretta da un’emergenza: alluvioni, frane ma anche rifiuti, navi di veleni, abusivismo. Un flusso di emergenze, idrogeologiche e ambientali, il cui intreccio costituisce la questione vera dell’arretratezza e del mancato sviluppo del mezzogiorno e della Calabria. Soltanto per casualità quell’evento meteorico che si è abbattuto a Messina non ha colpito anche la Calabria. Qualche giorno prima si era sfiorata la tragedia con l’esondazione dei fiumi Crocchio in Provincia di Catanzaro e dell’Esaro a Crotone. La politica di questo è responsabile: avrebbe dovuto, ai vari livelli, governare il territorio evitando di consentire la costruzione (e quindi anche le sanatorie di costruzioni abusive) in zone a rischio idrogeologico. E invece si è continuato a costruire case in luoghi dove primo o poi sarebbe tornato il fiume o il terreno sarebbe continuato a scendere. Di interventi di monitoraggio e di riduzione dei rischi attraverso stabilizzazione dei versanti e costruzioni di arginature per la messa in sicurezza neanche a parlarne. Ci vogliono troppi soldi dicono, ma intanto paghiamo miliardi di euro in risanamento dei disastri. Per anni si è gestito il territorio, soprattutto in Calabria e nel mezzogiorno, per fini clientelari. Un dissesto idrogeologico che, a dirla alla Pannella, deve ritenersi causato – o quantomeno compartecipato – dal “disastro ideologico” di una classe politica, quella calabrese, volta a fare il favore a questo e a quello, piuttosto che fare un favore alla collettività. Chi amministrerà, in futuro, la gestione del territorio nella nostra Regione non potrà più permettersi di non tenere in dovuta considerazione i rischi geologici (sismico, idrogeologico e ambientale) nella programmazione dello sviluppo. In queste condizioni in cui si trova la Calabria come si fa a pensare di voler fare opere come il ponte sullo stretto, faraoniche appunto, quando invece mancano i soldi per la messa in sicurezza e il risanamento del territorio, per non parlare della vulnerabilità sismica degli edifici anche pubblici? Concordiamo co l’editoriale di Loiero: altro che ponte. Peccato però che, fino all’altro ieri, la giunta sia stata tra le compartecipanti della società “ponte sullo stretto”. E, in tutti questi anni di malgoverno del territorio cui pure la sua giunta, come quella di Giuseppe Chiaravalloti, è corresponsabile, dove erano nascoste le parole prevenzione e monitoraggio che oggi rispuntano in campagna elettorale?

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Maierato e la sua “terra ferita”

di Franco Vallone

Maierato, nicchia di distacco della frana – foto: Franco Vallone

Frana o non frana? Questo il dilemma che da giorni perseguita tanti calabresi che vivono e condividono una regione sempre più violata che reagisce con improvvisi distacchi della sua terra ferita. A Maierato questa mattina non c’era nessuno in giro per le sue strade, per i suoi vicoli.

Un vero paese fantasma con vecchiette, avvolte nello scialle più scuro, traslocate con poveri fardelli e sguardi persi nel vuoto, materassi spostati dalla più solida staticità quotidiana. Un paese oggi ripieno di simboli di svuotamento e annullamento e da tanti mezzi di soccorso che illuminano di lampeggianti blu le belle stradine del centro storico, le chiese arroccate sulle scalinate e le case con il basilico nelle lattine dei pelati sull’uscio. Sono proprio tanti i lampeggianti blu accesi di tutte le forze di polizia, di vigili del fuoco, protezione civile e arpacal, polizia municipale e provinciale, di ambulanze e mezzi della croce rossa… La “terra ferita” maieratana, ripresa in diretta nel suo orribile moto dallo sguardo e dalla telecamera della giornalista Patrizia Venturini, è passata su tutti i canali televisivi di tutto il mondo ed ora è proprio davanti agli occhi di poche anime erranti di Maierato, di quei pochi rimasti in cerca delle proprie case per prendere le proprie cose, accompagnate rigorosamente da uomini dei vigili del fuoco e dalle tute fosforescenti degli uomini della protezione civile. Un troppo noto nastro rosso e bianco delimita, ancora una volta, le strade che finiscono improvvisamente nel nulla e nel vuoto della terra inghiottita. Accanto, poco lontano, la terra ferita si muove ancora imprevedibile, ma forse, ancora una volta, nella sua più drammatica prevedibilità. A Maierato sembra di essere tornati indietro nel tempo, a quando l’acqua piovana e le frane si portarono via Papaglionti di Zungri, altro paese calabrese ferito, centro interamente trasferito per frana, paese drammaticamente spaesato per sempre. Frana o non frana la Statale 522 a Pizzo? Frana o non frana a Vibo Marina? e a Longobardi? e Stefanaconi? e la strada di Pannaconi e quella di Sciconi, franerà o non franerà? Si può continuare a raccontare la storiella, in tema proprio con il periodo di San Valentino, della margherita e del “M’ama o non m’ama” ma non si può rischiare con un “frana o non frana”. Forse le ferite di questa “terra ferita” hanno un feritore storico che ogni giorno si può trasformare in omicida. Come dire, ancora una volta un delitto annunciato.

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Asilo politico per l’illegalità patente delle Istituzioni

di Giuseppe Candido

Marco Pannella
Marco Pannella

E’ durante la lotta che si chiarisce la forma della lotta. “Se non si rimuovesse immediatamente la situazione di patente, totale illegalità della situazione politico-elettorale in Italia”, Pannella rinuncerà ad essere cittadino italiano e chiederebbe asilo politico ad uno degli altri Stati membri dell’Unione europea.

Mentre nei talk show di Rai e Mediaset si discute della protezione civile e del suo super man che va a mignotte, nella consueta conversazione settimanale di Massimo Bordin con Marco Pannella alla radio radicale non si parla di Bertolaso ma di altri scandali. Si parla del problema che i radicali pongono sulla questione delle liste e della raccolta delle firme prescritte. Del fatto che la Rai, il servizio pubblico televisivo, non informa i cittadini come avrebbe dovuto. Un problema pratico, quello della raccolta delle firme, ma anche un problema di legalità, che investe i fondamenti della legge, e lo stato di diritto. L’ex parlamentare, docente costituzionalista Massimo Villone, intervistato da Claudio Landi ai microfoni Radio Radicale sul discorso delle firme, alla domanda del giornalista che chiedeva se le firme siano, o meno, diventate – di fatto – uno strumento del regime per cercare di controllare le varie forze politiche, così si esprime: “Si, può darsi che lo sia diventato. Storicamente, la prescrizione che richiedeva la raccolta di firme in occasione delle elezioni, valeva per le forze politiche che non avessero una rappresentanza parlamentare, e si giustificava con l’idea che, mentre con le prime con la rappresentanza parlamentare acquisita era dimostrato il radicamento e la presenza nella comunità e nel sistema politico, per chi volesse, al di fuori da quella rappresentanza già acquisita, uscire nella competizione politica veniva posta la necessità di provare un minimo radicamento e la presenza con la raccolta delle firme. Quindi, chi era già rappresentato non li raccoglieva. La new entry che non aveva rappresentanza li doveva raccogliere semplicemente per testimoniare un’esistenza non occasionale”. “In un sistema politico, diciamo stabile, continua Villone, con una ratio ben definita le cose funzionavano così. Oggi è forse diverso perché in un sistema politico destabilizzato, con veloci cambiamenti di identità politica, e con l’assoluta incertezza su chi e sulla consistenza delle forze in campo, è ben possibile che la raccolta delle firme venga giocata dai soggetti più forti a danno dei più piccoli e, quindi, al fine di impedire l’evoluzione del sistema. Quando uno prescrive a chi esce e gli dice: dammi prova che esiste. Ovviamente se quel soggetto non riesce a dare prova, non riesce a dare prova e quindi il sistema non si evolve ”. Insomma un sistema alterato, un sistema “che non funziona più con le vecchie logiche e gli antichi meccanismi possono oggi essere utilizzati per fini che un tempo non sarebbero stati pensati né consentiti”. Le sottoscrizioni, le cautele, dovrebbero essere rispetto ai partiti che non hanno nessuna storia, nessun radicamento nella vita politica italiana. In Calabria come anche in altre regioni, un partito come quello di Emma Bonino e Marco Pannela, un partito che ha promosso referndum raccogliendo milioni di firme autentiche, un partito che è sempre stato presente politicamente con iniziative effettive, oggi è in forte difficoltà per raccogliere le firme necessarie a “presentare” la propria storia che, paradossalmente, è quella del più antico partito sulla scena politica italiana essendo stato fondato a metà degli anni ”50. Il Consiglio d’Europa – è il caso di ricordarlo ancora – ha statuito “Gli elementi fondamentali del diritto elettorale non devono poter essere modificate nell’anno che precede le elezioni”. Inoltre, il Governo italiano, anche in conseguenza di una specifica campagna dei Radicali su questo tema, il 13 maggio 2004, stabilì che, “Se le regole elettorale cambiano spesso, l’elettore può essere disorientato e non comprenderle. Particolarmente se presentano un carattere complesso. Questi può soprattutto considerare, a torto o a ragione, che il diritto elettorale sia uno strumento che, colui che esercita il potere manipola a suo favore e che il voto dell’elettore non sia più l’elemento che decide il risultato dello scrutinio”.

Sono queste considerazioni, assieme alle parole del professore Villone, che convincono il buon Marco nazionale, il don Chisciotte della politica italiana che più volte con le sue lotte gandhiane ha convinto i Presidenti della Repubblica a rientrare nella legalità, ad affermare che, se non si ottenessero immediatamente “il rientro nella legalità politica ed elettorale della Repubblica italiana”, dovrebbe chiedere di rinunciare alla cittadinanza italiana e “chiedere asilo politico ad altro paese della Ue, per non essere complice in questo processo criminale, e non solamente, inerte e impotente cittadino nonviolento”.

Il Consiglio regionale della Calabria ha, ancora una volta, modificato la sua legge elettorale lo scorso 6 febbraio, ad un passo dal voto, e non si capisce bene quante firme e quanti candidati dovranno esserci per ciascuna provincia. Tanto questi sono dettagli per la partitocrazia. Come dire: Si fanno la legge in modo da evitare il ricambio anche nell’alternanza bipartisan tra le due coalizioni. Ma i problemi sono altri in Calabria: ci sono le primarie farsa per mantenere le proprie poltrone anche a costo di una sonora sconfitta, c’è il ponte sullo stretto per chi lo vuole e c’è il maltempo che confonde tutto.

Guarda la conversazione settimanale su radioradicale.it

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Non è il mal tempo a fare paura, ma il malgoverno del territorio

Non è il mal maltempo in Calabria a fare paura, ma il mal governo del territorio.

di Giuseppe Candido (lista Bonino Pannella):

“Catanzaro e altre città calabresi sono in ginocchio, devono essere sgomberate intere famiglie a causa del dissesto idrogeologico. Ma i cittadini devono sapere che non è l’eccezionalità di un evento meteorico, che di eccezionale non ha nulla, a causare frane, alluvioni, cedimenti e vittime. Ma il mal governo del territorio sul quale non si è saputo prevenire, monitorare, mitigare il rischio. Monitoraggio, interventi di consolidamento dei versanti in frana. Né Peppe Scopelliti, durante la giunta Chiaravalloti, né Agazio Loiero in cinque anni, hanno saputo gestire queste priorità limitando l’intervento all’emergenza”. “Non sono, quindi, le inchieste che vedono entrambi i pretendenti alla presidenza regionale indagati, oramai rinviati a giudizio, per gravi reati come l’abuso d’ufficio, a dover allontanare i calabresi da entrambi gli schieramenti di Loiero e Scopelliti ma, piuttosto, continua Giuseppe Candido, la loro incapacità, dimostrata, nel non esser stati capaci ad intervenire in tempo amministrando processi e governando il territorio. Una priorità che è stata fraintesa con quella di “governo” delle tessere del territorio. Lo stesso è avvenuto per il rischio sismico: per anni si è costruito col sistema dei controlli a campione. Scuole, ospedali ed edifici pubblici importanti a rischio crollo in caso di terremoto. Confidiamo nei calabresi per bene che, al momento del voto, capiranno che l’unico modo di uscire da questa situazione, per sperare di poter restare in Calabria e sperare che vi rimangano anche i nostri figli, è quella rivoluzione culturale, politica e morale che ci propone Callipo”.

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Libertà di ricerca e ricerca di libertà

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 11 febbraio 2009

Luca Coscioni incontra José Samarago - Foto Associazione Coscioni Flickr

“Se noi vivessimo in un mondo giusto, capace di non confondere ciò che è bene con ciò che è male, la lotta coraggiosa di Luca sarebbe sfociata in un movimento sociale forse inarrestabile. Non è colpa esclusivamente di Berlusconi: c’è anche l’apatia generalizzata delle persone”. E’ così che si esprime il Premio Nobel per la letteratura Josè Saramago nell’intervista concessa di recente al mensile dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica.

Il 20 febbraio di quattro anni fa moriva un alfiere che, al pari di Galileo e di Giordano Bruno, ha condotto la sua battaglia per la libertà di ricerca e per la ricerca di libertà in questo Paese dove, i proibizionismi bigotti e clericali continuano a dettare le linee politiche. Ricordo come se fosse ieri le parole di Marco Pannella che, visibilmente commosse e commoventi, annunciavano la morte di Luca agli ascoltatori di Radio Radicale. Poi il diluvio di dichiarazioni di politici, uomini del mondo della cultura, delle scienze di tutto il mondo. Luca Coscioni era malato di SLA, la sclerosi laterale amiortofica, una malattia degenerativa nota anche come malattia dei moto-neuroni. Una patologia degenerativa progressiva del sistema nervoso che colpisce selettivamente i cosiddetti neuroni del moto, sia centrali sia periferici, e non lascia scampo, “sconfigge sul piano fisico in partenza e, l’unico modo per resistervi, è quello mentale”. Una malattia rara, che riguarda 1-3 casi ogni 100.000 individui all’anno e la cui origine non è ancora nota alla scienza e che non colpisce le capacità intellettive del malato lasciandogli intatta la mente in un corpo che via via perde le sue capacità di operare: di parlare, di muoversi, di nutrirsi, di respirare. Con la morte che interviene per soffocamento quando si decide, come decise Luca, di non farsi ventilare artificialmente. Ma Luca era anche il presidente di Radicali Italiani eletto, per la prima volta, con il metodo delle elezioni on line. Una forza dirompente e coinvolgente che mi convinse ad iscrivermi al Partito di Bonino e Pannella di cui ero già estimatore. “Ci sono malattie con le quali è possibile vivere. Altre con cui è possibile convivere. Infine, ve ne sono alcune alle quali si può sopravvivere. La sclerosi laterale amiotrofica – scriveva col suo comunicatore Luca Coscioni – non rientra in nessuna di queste tre categorie, è una malattia che non lascia molto spazio di manovra e che può essere affrontata soltanto sul piano della resistenza mentale. Se, infatti, ci si confronta con essa sul piano fisico si è sconfitti in partenza. L’intelletto è l’unica risorsa che può aiutarti”.

Qualcuno sostenne che Luca fosse stato strumentalizzato dai Radicali mentre tutti, sia il centro sinistra sia il centro destra, gli negarono, alle Regionali di cinque anni fa, la possibilità di presentare le liste “Luca Coscioni” in tutta l’Italia. A questi signori Luca rispondeva che, proprio lui, “Muto”, avesse, “in realtà, restituito la parola a 50 premi Nobel, e a centinaia di scienziati di tutto il mondo, anche loro resi muti, in Italia, dal silenzio della politica ufficiale e del sistema informativo, su temi fondamentali per la vita, la salute, la qualità della vita, e la morte, dei cittadini italiani (…). La circostanza che una persona gravemente malata, che non può camminare, che per comunicare è costretta ad utilizzare un sintetizzatore vocale, viva pienamente la propria esistenza, questa circostanza, dicevo, rischia infatti di scuotere le coscienze, le agita, le mette in discussione. Il fatto poi che io abbia sollevato una questione politica, che non abbia accettato di rappresentare un cosiddetto caso umano, che abbia scelto lo strumento della lotta politica, infastidisce enormemente. Perché, in Italia, la persona malata, non appena una diagnosi le fa assumere questo nuovo status, perde immediatamente, elementari diritti umani, e tale perdita è tanto maggiore, quanto poi più gravi sono le condizioni di salute della persona in questione. “La mia, la nostra battaglia radicale per la libertà di Scienza”, scriveva ancora Luca, “mi ha consentito di riaffermare, in particolare, la libertà all’elettorato passivo, il poter essere cioè eletto in Parlamento, per portare istanze delle quali nessun’altra forza politica, vuole, e può essere portatrice”. Non era Luca ad aver scelto la battaglia ma era stata la battaglia che lo aveva scelto: “La battaglia radicale, alla quale sto dando spirito e corpo, è quella per le libertà, e in particolare quella di ricerca scientifica. E’ una battaglia radicale che non ho scelto, così come Marco Pannella non mi ha scelto e designato alfiere, porta bandiera della libertà di Scienza. E’ una battaglia radicale che mi ha, ci ha scelto. La stiamo combattendo, così come si vive un’esistenza, percorrendola, sapendo che non la si è scelta, ma che se ne può essere gli artefici nel suo divenire”.

Il 16, 17 e il 18 febbraio dei quattro anni fa Luca, stante le condizioni sempre più gravi, intervenne al primo congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica cui parteciparono numerosi personaggi, premi Nobel e politici. In quell’ultimo intervento pubblico Luca riaffermò la forza della verità della sua battaglia “in un momento particolarmente difficile” della sua esistenza. “La coscienza del tempo della vita, della sua libertà, della dignità umana e del limite oltre il quale non andare, producono pensieri e sentimenti inaccettabili ed inaccessibili. La posta in gioco è troppo alta per lasciar passare del tempo, altro tempo”. Ma ancora tanyto tempo, come per gli errori del passato, servirà per far capire gli errori di una Chiesa assai lontana dal sentito vero dei suoi stessi credenti, una Chiesa che vuole il sondino obbligatorio per tutti, che non consente alle coppie la fecondazione eterologa e la diagnosi preimpianto per evitare che i propri figli abbiano malattie genetiche, una Chiesa che preferisce chiedere sacrificio e non invece misericordia. Ma quel che è peggio è il fatto che la classe politica, quella che dovrebbe fare leggi per tutti e non per compiacere una ristretta ologarchia ecclesiastica, è invece genuflessa ai suoi dettami.

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Nucleare? Sole e vento, la grande opportunità della Calabria

di Giuseppe Candido

pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 15 Aprile 2009

creative commons - flickr.com

L’annuncio del Governo di un ritorno “alla grande” al nucleare. Sapendo che questa soluzione è già stata scartata dall’Italia mediante un referendum, ci siamo chiesti, sempre nell’ottica di un federalismo fiscale prossimo e imminente, se questo ritorno convenga all’Italia, se convenga alla Calabria, una regione che dovrebbe puntare sulla qualità dell’ambiente. Soprattutto, abbiamo cercato di capire, andando un po’ a documentarci, se effettivamente il nucleare fosse in grado di risolvere i nostri problemi di approvvigionamento energetico.

Dopo un ventennio di stasi completa a livello nazionale e un’evoluzione mondiale delle tecnologie spesso a dir poco deludente, con incidenti non sempre chiari e con il problema delle scorie radioattive insoluto, ci chiediamo se una regione come la Calabria, un paese come il nostro abbiano davvero convenienza in una tecnologia, quella nucleare, non ancora così sicura. Specialmente dopo il sisma in Abruzzo che ci ha ricordato quanto sismica sia l’intera Penisola italiana e la nostra regione, c’è da chiedersi, anche, se le centrali nucleari di terza generazione che Berlusconi intende acquistare dalla Francia siano in grado di garantire l’assenza d’incidenti.

E’ notizia delle scorse settimane che un giudice francese ha emesso avvisi di garanzia nei confronti dei capi della sicurezza dell’Edf, la società elettrica francese, per essersi introdotti illegalmente – secondo l’accusa – nei computer dell’attivista ecologista di Greenpeace, Yannick Jadot, che in Francia è leader capolista per le prossime elezioni europee per il movimento “Europe Ecologie”. Nel computer – secondo l’attivista ambientalista – i vertici della sicurezza Edf stavano cercando “i dossier che documentano le loro menzogne”. Le menzogne sarebbero quelle della “nuova propaganda sull’atomo” che – sempre secondo le dichiarazioni rese alla stampa da Jadot – cerca di far passare l’idea che sia pulito, sicuro ed economico. Gli studi fatti dal leader di Greenpeace francese provano l’esatto contrario: i reattori EPR, così detti di terza generazione, che dovrebbero essere altamente sicuri perché raffreddati ad acqua pressurizzata e che sarebbero proprio quelli oggetto di un recente6 accordo italo francese, in caso di un attentato terroristico aereo porterebbero a disastri più gravi di una centrale di vecchia generazione. Senza contare che il problema delle scorie radioattive che hanno tempi millenari di decadimento, non è ancora stato risolto e luoghi come il sito di La Hague in Normandia, è diventata la spazzatura nucleare europea. E se la cosa diventasse possibile in Italia? Se diventasse possibile anche in Italia costruire centrali e stoccare le scorie radioattive cosa succederebbe in Campania, in Calabria?

Nel luglio scorso, presso la sala Colonna della Camera, l’associazione “Amici della Terra” in collaborazione dei deputati Radicali eletti nel partito democratico, si è tenuto un interessante convegno sul “ritorno al nucleare”. Il Professor Carlo Rubia, premio Nobel per la fisica e sicuramente una delle autorità riconosciute nel campo della ricerca nucleare, inviò un importante contributo scritto al convegno con il quale ha espresso la sua autorevole opinione. “Un principio fondamentale indica che l’energia migliore è quella a più basso costo, purché si aggiungano ad essa anche tutti i costi indiretti, (….). “Si sono visti numerosi aumenti dell’uranio” … “ ricorda terribilmente quella del petrolio”. E ancora: “Il “rinascimento nucleare” non può essere per il domani”. Secondo Rubia è necessario confrontare i costi del nucleare con le nuove energie rinnovabili “da diffondere su larga scala, come il solare ad alta temperatura i cui impianti sono realizzabili in 16 – 24 mesi. Ma quello che più lascia interdetti è la considerazione finale del contributo di Rubia a quel convegno in cui afferma esplicitamente la sua “più profonda preoccupazione che parlare oggi di massiccio ritorno al nucleare, sottacendo il problema dello stoccaggio delle scorie in siti geologicamente sicuri, peri i quali non esiste oggi una soluzione percorribile, non costituisca il miglior punto di partenza”.

Nel rapporto 2009 sul riscaldamento globale che Nicholas Stern, fisico ed economista già capo del settore economia della Banca Mondiale, ha redatto per il governo inglese si afferma chiaramente che “il motore della ripresa saranno le nuove tecnologie e le opportunità dello sviluppo a basso carbonio”. Stern sostiene nel suo rapporto che l’Italia su questo ha una grande occasione perché “al Sud c’è un enorme potenziale per l’energia solare, l’eolico e il geotermico”. Dovremmo essere un paese leader, la Calabria dovrebbe essere piena di pannelli solari o di centrali solari ad alta temperatura di cui parla Rubia e capaci di produrre dal sole energia più di quanto la Calabria ne consumi. Il sole e il vento per l’energia, il mare (pulito) per il turismo. E questo il piano europeo che dovremmo cercare di realizzare. In ottica federalistica ciò sarebbe sicuramente un vantaggio per la nostra economia e, il nuovo settore potrebbe portare alla occupazione di nuove figure professionali sia nel campo della progettazione, sia in quello della realizzazione di impianti solari e/o microeolici. E’ questo il vero oro nero per la Calabria. Non facciamolo rovinare da qualche centrale di “nuova” generazione o da qualche deposito di scorie.

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Primarie meridionali

di Giuseppe Candido

Primarie si, primarie no, primarie per legge e poi legge abrogata. Niente primarie: c’é l’accordo con l’UDC poi non c’é più e riecco spuntare le primarie. La vicenda del PD calabrese fa venire il mal di testa dell’elettore e sta sfuggendo di mano anche al povero Bersani. Prima le primarie si dovevano tenere per legge e sarebbero dovute essere primarie di coalizione: Il decreto di indizione l’ho firmato” – dichiarava Agazio Loiero – “ed è stato pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione. Le primarie si svolgeranno regolarmente il 10 gennaio. La macchina organizzativa è già in moto secondo le previsioni della legge che porta la mia firma e quella del presidente del Consiglio Bova”.

Dopo di ché l’assemblea del consiglio regionale, nell’ultima seduta del 2009, rinviò alla prossima legislatura l’entrata in vigore del regolamento che prevedeva le primarie pagate dai cittadini ed indette per legge per cui si sarebbero dovute svolgere il 17 gennaio le primarie del Pd calabrese. Queste, però, pagate dal partito. Lo aveva deciso l’assemblea regionale del PD su proposta del segretario Carlo Guccione. Proprio a seguito della decisione del Consiglio regionale. Poi niente più primarie neanche il 17 perché, forse, c’è ancora la possibilità dell’accordo con l’UDC ma siccome l’accordo non si fa più si pensa bene di indire nuove primarie il 14 febbraio, festa degli innamorati, con la speranza di far innamorare di nuovo i militanti del PD nella “esaltante” ed “esilarante” corsa tra Agazio Loiero, Brunello Censore e Giuseppe Bova così da renderle, di fatto, una corsa interna tra le tessere di un partito sempre meno democratico e sempre più meridionale. Una corsa a tre per conservare le proprie poltrone anche a costo di sottoporre ad una sonora sconfitta la coalizione di centrosinistra. Una corsa a tre per non cambiare nulla e per non raggiungere un’accordo, sicuramente vincente, con Pippo Callipo, l’Italia dei Valori e la lista Bonino. Servirebbe unità delle sinistre subito, candidati veri e vicini alla società civile e non primarie farsa che di democratico hanno ben poco. Loiero però, che da politico esperto ne ha viste tante passando dalla Democrazia Cristiana al PPI per confluire poi nel CCD, essere eletto deputato e passare tra le fila dell’Udeur, non molla e tenta di mantenere la sua poltrona di Governatore. Quello stesso Loiero che fondò il suo partito democratico meridionale ci tiene alla poltrona e non molla. Pur sapendo di essere sicuramente perdente, e non perché lo dicano i sondaggi ma perché responsabile di cinque anni fallimentari di governo della regione per la sanità, per la prevenzione sul dissesto idrogeologico, per la gestione dell’ambiente, pur cosciente non molla. Un governo regionale scacco dell’emergenza perenne di piogge eccezionali.

Raccontano che le ossa di S. Agazio, centurione e martire, chiuse dentro una cassa di piombo, vennero miracolosamente ad approdare nel golfo di Squillace, in prossimità dell’attuale stazione ferroviaria, al luogo detto la Coscia, e precisamente in quel punto che si chiama anche oggi la grotta di S. Agazio. Dicono inoltre, che insieme alla cassa contenente le ossa del loro protettore, erano giunte altre due casse di piombo, contenenti pure le ossa di altri due santi, dei quali uno era S. Gregorio Taumaturgo, protettore di Stalettì, un paesello vicino a Squillace; L’altro non lo ricordano bene e taluni lo confondono con S. Vitaliano, protettore di Catanzaro. Oggi la storia si ripete solo che al posto delle casse i santi viaggiano in auto blu.

E allora, ai democratici veri, quelli che non credono alle primarie farsa, non resta che sperare nel miracolo: d’altronde Sant’Agazio è ancora il santo protettore di Guardavalle e Squillace dove, per far piovere, si recitava, sino a poco tempo fa, una filastrocca quasi ad intimare al santo di far piovere: “S’Antagaziu meu, si non mi vagni tu ti vagnu eu”. Forse bisognerebbe dirlo a Bersani prima che si scatenino le “danze della pioggia” delle primarie meridionali e si debba scegliere a quale santo votarsi.

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Quella guerra si poteva evitare

di Giuseppe Candido

Silvio Berlusconi – Wiki media

Una bella domanda per Blair, Berlusconi e Bush: “Come mai Blair decise di boicottare l’unica vera alternativa alla guerra al dittatore iracheno rappresentata dalla possibilità concreta che questi andasse in esilio?”

Blair - Flicker
Blair – Flicker

Una domanda che, però, è rimasta inevasa anche all’audizione di Tony Blair, lo scorso 29 gennaio alla commissione d’inchiesta sulla guerra in Iraq. Bugiardo e assassino urlano i familiari dei caduti britannici in Iraq e, secondo la Bbc, l’urlo scatta quando l’ex premier ha affermato di avere “responsabilità ma non rimorsi” per aver deciso di abbattere Saddam Hussein.

Ma la guerra in Iraq poteva essere evitata. Saddam Hussein era pronto ad andare in esilio, ma si preferì il conflitto. Prima dello scoppio della guerra, in una riunione tenutasi al ranch di Crawford del Presidente Bush, alla presenza di Aznar e con Blair e Berlusconi collegati telefonicamente, si discusse davvero della possibilità d’esilio (nel 2007 Zapatero tolse il segreto sugli appunti dell’allora Ambasciatore spagnolo negli USA e il documento fu pubblicato nel settembre dello stesso anno sia dal Pais che dal New York Times). A ricordarlo è Marco Pannella con un digiuno, iniziato lo scorso 20 gennaio e facente parte di un Satyagraha mondiale per la pace, e mediante una lettera pubblicata dal Guardian, noto quotidiano inglese, lo scorso 26 gennaio. “Da allora, però, nessuna inchiesta americana né europea ha affrontato la questione. 
La Lega araba era pronta a richiedere formalmente l’esilio a Saddam con una risoluzione da adottarsi al summit di Sharm-el-Shaik del 1 marzo 2003. Ma che l’irruzione di Gheddafi sulla scena con ingiurie contro la casa reale saudita impedì che la decisione venisse adottata. L’incidente, sebbene ampiamente documentato anche dalla stampa araba, non e’ mai stato approfondito dalle varie commissioni del Congresso USA né, lo scorso 29 gennaio, dalla commissione di Sir Chilcot”.
 Di questa vicenda, ad eccezione di un corsivo lo scorso 30 gennaio su il Manifesto, la stampa e la televisione italiana omettono completamente di occuparsene. Come se i caduti di Nassiria, i morti in Iraq, non ci riguardassero più, come se ai genitori dei militari italiani in missione in Iraq non possa interessare il conoscere che quella proposta radicale, di esiliare Saddam, poteva davvero essere adottata, anche col sostegno della lega araba, per evitare la guerra. La storia di questo secolo potrebbe essere diversa da quella che i media raccontano.

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Carne da Lavoro

di Giovanna Canigiula
                                                                  

 

 

                                                                                                                                                                                              Ce n’est qu’un debut

Il Rapporto Italia 2010 dell’Eurispes racconta un paese sull’orlo del collasso: viviamo in un ‘cantiere aperto’ con costi altissimi per l’economia e un rischio concreto per la ‘tenuta stessa della democrazia’, in cui non c’è capacità progettuale, gli stipendi sono i più bassi dei paesi industrializzati, è costante il peggioramento delle condizioni di vita di fasce sempre più ampie della popolazione, si continuano a perdere posizioni nelle graduatorie internazionali della competitività e del reddito. E’ anche in crescita il reato di corruzione, per il quale occupiamo il sessantatreesimo posto su 180 paesi osservati: l’abuso d’ufficio quello più contestato, punta di un iceberg di cui non si intravvede il reale sommerso. Il sud d’Italia la regione più corrotta, la sanità il settore in cui si registra il maggior numero di denunce. Meno di un italiano su 100, si legge nel Rapporto, guadagna più di 100 mila euro all’anno e 100 sono i miliardi annualmente evasi, ma è una denuncia al ribasso. Da quanto si legge altrove, cifre da capogiro, fino a 5.560.000, costituiscono il trattamento economico dei primi cento manager delle aziende italiane. Un mondo sempre più in bianco e nero, regolamentato dalle selvagge leggi di un mercato che ragiona su numeri senza scorgervi volti e storie. E poi le uscite: gli incidenti sul lavoro, nel 2008, sono stati 874 mila, con costi per oltre 40 miliardi di euro che, se si aggiungono gli incidenti stradali, diventano 70 miliardi e passa. I disoccupati sono più di due milioni ma nel conto non sono compresi i cassintegrati, decine di migliaia i posti persi e con scarse possibilità di reinserimento per molti, 800.000 circa dall’inizio della crisi, addirittura raddoppiate le domande di disoccupazione in un anno. E’ chiaramente emergenza. E di lavoro si muore: oltre 1.300 i morti lo scorso anno, un bollettino costruito per il 60% nei comparti dell’edilizia e dell’agricoltura, con picchi al sud e fra gli extracomunitari. E c’è pure chi muore per mancanza di soccorso: sono gli irregolari, abbandonati in tutta fretta per evitare fastidi.

Il lavoro uccide, dunque, in tanti modi: perché non sono rispettate le norme sulla sicurezza, perché lo si perde, perché non lo si trova. L’intera nostra esistenza è programmata in sua funzione: noi siamo perché lavoriamo e siamo il lavoro che facciamo. La nostra mente è strutturata dal lavoro: pensiamo, ci rapportiamo agli altri, modelliamo il nostro carattere, siamo stanziali o mobili, fabbrichiamo amicizie e abitudini sempre sotto il segno del mestiere e così, per il suo tramite, non solo mangiamo, ma arriviamo a una diversa definizione di noi. Il lavoro è anzitutto danaro. E il danaro ci fa padroni o servi, pochi o massa, con potere decisionale o attitudine alla sottomessa sopportazione, ricattatori ricattabili e ricattati. La disperazione da lavoro ci rende potenziali assassini: di chi ci vessa o di chi trasciniamo con noi quando il buio della sopravvivenza con responsabilità verso terzi si fa fitto. E’ la stagione, questa, delle catene e delle proteste sui tetti: da nord a sud, gli espulsi dal mercato montano tende all’addiaccio per urlare a governo, politici e aziende il dolore di un’esistenza condizionata dal salario. Il megafono puntato al cielo contro il silenzio, perché questo è anche il tempo in cui affidarsi ai mediatori sindacali non basta e le lotte le devi rendere visibili da te. Tra fabbriche che chiudono e fabbriche che delocalizzano, società private dal breve respiro che hanno in subappalto il subappalto del subappalto, il benservito può arrivare anche senza preavviso, dalla sera al mattino e addio retribuzione: baciati dalla sorte persino i poveri della terza settimana al massimo, quelli comunque con bollette e affitti arretrati, pasti saltati o mendicati, stracci rimediati. Con dolorante dignità. Paradossi mostruosi di un fallito capitalismo: vite che vorrebbero consumarsi nel lavoro per le necessità essenziali e che si ritrovano spesso inghiottite da marciapiedi e ricoveri di fortuna, quando pure la casa non c’è più. Cervelli congelati, perché il pensiero si fa uno e ossessivo. Fuori il resto. Il lavoro.

A un certo punto della nostra vicenda umana ci siamo provati a seguire le inclinazioni e ci siamo sentiti liberi, secondo formula giuridica, perché in grado di coniugare, sull’ambiguo filo dell’autonomia, dovere e piacere. La crisi, quando è arrivata, ha atterrato la politica, che ha prontamente proposto la scappatoia interinale e rubato il verso alle galline, co.co.co., spacciandoli per opportunità straordinaria di misurarsi con le proprie capacità creative, competitive, dinamiche: se sai reinventarti, hanno detto, sei un vincente. Destra e sinistra si sono strette le mani e hanno poi codificato la sistemazione clientelare, il sindacato si è fatto bottega, è nato il mito dell’uomo che si fa da sé senza troppi scrupoli e abbiamo mandato il modello a governare, piccoli artigiani e piccoli imprenditori hanno cominciato ad essere stritolati insieme ai lavoratori, l’occupazione sottopagata a tempo determinato è stato salutata come un sollievo donato. Piano piano la massima ambizione è coincisa con la ricerca di un impiego, qualunque esso fosse e a qualunque condizione, mentre l’instabilità è arrivata a mettere contro il licenziato col cassintegrato, l’italiano con l’extracomunitario, l’operaio della fabbrica con la donna delle pulizie. Il mondo del lavoro ha conosciuto forti divisioni. Secondo il sociologo Luca Ricolfi 400.000 italiani che hanno perso il lavoro sono stati rimpiazzati con stranieri regolari, perché il nostro sistema economico crea solo posti poco appetibili e non adeguati alla nostra immagine di noi stessi: gli stranieri, anche se qualificati, sono disposti a lavorare anche a Natale e alle otto di sera e costano meno di un operaio nostrano. Sarà davvero solo così, se anche l’impiegato di un call center lasciato a spasso si dispera e l’operaio disoccupato si dà fuoco?

Oggi che i drammi si allargano a macchia d’olio e si consumano in diretta televisiva, ci tocca sentire Santo Versace che dichiara che basterebbe contrastare la grande evasione fiscale, anche solo quella più di superficie, per rimediare a queste sparse disperazioni: e che ci fa lui al fianco dell’evasore principe nonché protettore dei grandi evasori? E Bersani, che bacchetta per quanto accade, non arriva dritto dritto da scelte economiche assai vicine a quelle di un governo il cui leader non è mai stato seriamente messo in discussione o frenato nell’esercizio dell’abuso? Se l’impunibilità regolamentata ha avuto l’avallo dell’opposizione anche quando questa è stata promossa a governare e se alla politica e al sindacato si è concesso di trasformarsi in agenzie di collocamento, perché mai l’operaio non avrebbe dovuto sognare di svoltare con pari disinvoltura, consegnando il paese nelle mani di affaristi senza scrupolo che poco si curano della rovina? E non è sempre l’ex Pci con vocazione socialdemocratica che corteggia l’Udc, il partito che nel Mezzogiorno incassa voti in cambio del corrotto mantenimento dell’esistente? Quello stesso che propone, per bocca di D’Alia, di fare marcia indietro nella lotta al lavoro nero e di stralciare la direttiva europea sul tema, per restare sulla scia tracciata della Bossi-Fini di lotta all’immigrato e basta? Ancora chiacchiere e sull’orlo dell’abisso. Un spaventoso abisso per tutti, si spera, non solo per i poveracci che volevano seguire il modello vincente o si accontentavano ormai di essere al più macchine a basso costo e non solo per l’ex ceto media che precipita a rotta di collo ma anche per i burattinai della politica, quelli che hanno fatto carta straccia degli interessi del popolo curando i loro e cedendo alle lusinghe del grande potere economico .

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Elezioni senza democrazia

di Giuseppe Candido

Ritratto di Giuseppe Mazzini, patriota italiano. Foto: Wiki

L’interesse della sussistenza dello stato – scriveva quasi cento cinquant’anni fa Giuseppe Mazzini – è comune: “Ivi i migliori per ingegno e virtù hanno dovere e diritto al raggiungimento dei pubblici negozi, e vengono eletti da tutti, rimanendo sindacabili, amovibili, responsabili”. Ma oggi di responsabilità la politica non ne vuole sentir parlare più e spesso cambia le proprie leggi a convenienza per rimanere inamovibili, per restare irresponsabili dell’operato svolto durante il mandato. La degenerazione della democrazia, la sua involuzione dei costituenti, oggi accelera in Italia. E’ dal 2006, da tre anni, che tutte le elezioni si tengono, in Italia, in condizioni di completa illegalità. Una regola semplice del diritto pubblico, che è anche una regola del Consiglio d’Europa, vorrebbe che non si cambino le leggi elettorali a meno di un anno prima del voto. La ragione è molto semplice, chiara anche ai più sprovveduti: così facendo, il diritto elettorale “del popolo sovrano” viene manipolato dal potere, dal governo e dai partiti, per fare in modo che, gli elettori, non abbiano, in realtà, la piena sovranità popolare esercitata col voto. Cosa avviene invece nell’Italia dei 150 anni? Già nel 2006, per le elezioni politiche, pochi mesi prima del voto, a campagna elettorale di fatto già in corso, venne cambiata la legge elettorale introducendo il proporzionale. Il così detto porcellum: vi ricordate? E ciò poiché a Silvio Berlusconi faceva comodo avere il sistema proporzionale che avrebbe consentito di limitare la sconfitta. Il resto è cronaca. La sconfitta fu limitata e il Governo Prodi andò a casa dopo appena due anni. Nel 2008 di nuovo elezioni col porcellum e la promessa, bipartisan anche questa, di cambiare subito dopo il voto, la legge elettorale che toglieva le preferenze ai cittadini e ci regalava un Parlamento di nominati dalle segreterie dei partiti. Promessa non mantenuta ma, anzi, con l’aggravio ulteriore per le europee. Nel 2009, a Berlusconi e Veltroni, faceva ugualmente comodo innalzare l’asticella dell’accesso al Parlamento, introducendo lo sbarramento al 4 %, con la scusa della semplificazione politica, per tagliare fuori alcuni partiti dalla rappresentanza parlamentare. Anche in questo caso, le modifiche della legge elettorale vennero fatte a pochi giorni dal voto. In Calabria si fanno e si disfanno leggi elettorali, si inventano primarie, poi si cancellano con un continum di modifiche al testo e ai regolamenti della legge elettorale regionale. Durante queste elezioni regionali sta capitando la stessa cosa. A denunciarlo è Mario Staderini, giovane avvocato e segretario di Radicali Italiani: “Si voterà fra poco più di un mese e mezzo e ancora stanno cambiando, in molti consigli regionali, le leggi elettorali. Capita in Toscana, capita in Umbria, capita in Calabria, capita in Basilicata. Sta capitando un po’ ovunque. Da una parte si fanno l’esenzione, lor signori, per la raccolta firme ma, soprattutto, cambiano di nuovo le regole a pochi mesi dal voto quando già c’è gente che sta raccogliendo le firme”. Ma perché, si chiede Staderini, fanno questo? “Sicuramente per ridurre la rappresentanza nelle aule parlamentari italiane, europee e dei consigli regionali. Ma, soprattutto, per prendersi tutti quanti, in pochi, le cifre del finanziamento pubblico dei partiti”. Per capirlo è sufficiente andare a vedere quello che avviene coi rimborsi elettorali che, dopo il referendum del ’93, hanno sostituito il finanziamento pubblico dei partiti. Staderini sviscera dati precisi: “Prima del 2006, cinque partiti, quelli che poi hanno votato la legge elettorale con la modifica dello sbarramento, e cioè il Partito Democratico, il Popolo della Libertà, Lega, Italia dei Valori e l’UDC, hanno cambiato la legge elettorale”. Prima del 2006, questi stessi partiti percepivano circa il 70% del finanziamento pubblico. Dopo il 2009, dopo cioè aver fatto fuori i partiti minori, dopo queste leggi “blitz partitocratici”, quegli stessi cinque partiti arraffano il 95% del finanziamento pubblico dei partiti. Tutta la torta insomma. Dopo esserselo aumentato, ovviamente sempre con voto bipartisan. Con la legislatura del 2008, spiega ancora Staderini, “Sono diventati 503 i milioni di euro che si prenderanno i partiti. Di questi 503 milioni di euro, 470 milioni di euro andranno solo a quei cinque partiti”. E pensare che nel 1993, quando fu abolito il finanziamento col referendum, erano soltanto 47 i milioni di euro di finanziamento pubblico. Oggi 503. Una democrazia senza democrazia, un regime partitocratico chiuso, “bloccato”, ma sostenuto però coi soldi pubblici dei cittadini. E, la stessa cosa è accaduta con la televisione pubblica dove, le tribune politiche sono state abolite e, al loro posto, sono subentrate le “trasmissioni di approfondimento” più volte sanzionate dall’Autorità Garante delle Comunicazioni per la violazione dei diritti civili e politici dei cittadini. “Prima del 2006 quei cinque partiti gestivano “solo” il 65% circa degli spazi televisivi della tv di stato. Oggi, continua Staderini, gli stessi cinque partiti, si accaparrano il 95% degli spazi televisivi del servizio pubblico. Il risultato è che c’è un tentativo, in Italia, difronte all’assenza totale di democrazia e di stato di diritto, di cercare di fare la caccia, a raschiare il barile”.

La questione politica, cioè a dire l’organizzazione del potere, in un senso favorevole al progresso morale, intellettuale ed economico del popolo, è tale che rende possibile l’antagonismo della causa del progresso: torniamo indietro, cari amici di Abolire, ci involviamo democraticamente, la politica viene pervasa da poteri criminali e, sempre di più, i cittadini si allontanano da una casta intenta solo a conservare la poltrona.

A questo link puoi vedere il video di Mario Staderini sul canale youtube di Radio Radicale

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