Archivi categoria: Tradizioni

Il paese dove i muri “parlano”

di Franco Vallone

Un murales a Favelloni

Favelloni, “il paese dei murales dove i muri parlano” Favelloni, frazione del comune di Cessaniti, è denominato il “paese dei murales”. Dal 1985 un dinamico imprenditore del luogo, Demetrio Rosace, ha prima ideato e poi realizzato questo bel progetto artistico. Da allora a Favelloni, su invito dello stesso Rosace e dell’associazione della quale è presidente, arrivano artisti da tutto il mondo per realizzare splendide opere sui muri delle case. Questa settimana l’evento si ripete. Fino al 22 agosto Favelloni verrà letteralmente invaso da pittori che arricchiranno il paese di nuovi murales con scene di vita contadina e agropastorali, folkloriche e di mestieri ormai scomparsi. Il cosiddetto Muralismo si definisce come arte pittorica figurativa che esprime sullo spazio pubblico un contenuto ideologico popolare e a Favelloni questo concetto è ormai di casa.

murales
murales in corso di realizzazione

Con i suoi “Murales” oggi il paese è da considerarsi un importante centro d’arte che avverte da alcuni anni, grazie anche a questa operazione di ampio respiro culturale, l’impulso turistico. Favelloni attende ed accoglie migliaia di visitatori ed intenditori d’arte, turisti, intere scolaresche, ma anche semplici curiosi attratti dalla “Galleria all’aperto”, forse inizialmente increduli che un tale miracolo abbia potuto dare risonanza e dignità non soltanto artisticamente ad un piccolo paese della Calabria. Tanti i pittori affermati, famosi e sconosciuti che in questi anni hanno lasciato il segno, dipingendo sulle facciate delle case, lungo i muri, sotto i porticati, dallo svedese Mats Rysbers a Evylin Van Der Wielen, dal bozzettista di francobolli delle Poste Italiane, Giuseppe Ascari, al vibonese Pietro Fantasia, dal naif di Taurianova, Cialì a Salvatore Russo, Roberto Bonino, Armando Cutrì, Filippo Costanzo, Francesco Vitetta e Giuseppe Di Costanzo, dal compianto Saverio Scullari al tedesco Manfred Krieger e a Giulio Pettinato. Artisti a cui si aggiungono in queste ore la veneziana Ambra Miglioranzi, Giuseppe Monterosso, il catanzarese Jeso Marinaro, Alberto Pirrone, Amedeo Lamberto, il vibonese Ercole Fortebraccio, Loredana Remolo, Assunta Guidi, Antonio Guerrera, Franco Paonessa, Pino Greco, Rosanna Castagna, Erminia Fioti, Giovanni Martino, Giuseppe Zicari, Flavio Sposato ed altri. Tanti nomi, tante opere, tanti fotogrammi pittorici di un racconto figurato di storia, tradizione e folklore. Come si ricorderà uno dei murales, raffigurante “l’Ultima Cena”, nel 2006 è approdato in Vaticano, su iniziativa dello stesso Rosace che ne ha fatto omaggio al papa, Benedetto XVI. Appuntamento a tutti il 22 Agosto, ultimo giorno della manifestazione, dalle ore 18,00 con la giostra equestre medievale presso il Ristorante Pueblo Espanol, seguirà la visita ai murales da parte del comitato d’onore e la sfilata di cavalieri in costume medievale per le vie del paese. Subito dopo tanta musica per le strade dei murales.

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Alessandria del Carretto: la conca d’oro dei suoni tradizionali

Giunge alla settima edizione “Radicazioni, il festival delle culture tradizionali”

di Francesco Lesce

Alessandria del Carretto (Cs) Radicazioni, che anche quest’anno si svolgerà ad Alessandria del Carretto dal 20 al 22 agosto, non è solo un festival di musica popolare, come i tanti che da tempo invadono lo scenario estivo calabrese. È un progetto nato dal desiderio di aprire un dialogo fra le culture vicine e lontane nell’era della mondializzazione. L’intento è proprio quello di far interagire le identità artistico-musicali, evitando sia di contaminarle a fini commerciali, sia di imporre ad esse filtri accademici. Il risultato è una festa nella quale artisti di strada, suonatori, costruttori di strumenti musicali si incontrano per condividere la propria cultura d’appartenenza. Ospitando artisti di diverse provenienze, il paese trova anche l’occasione di riunirsi intorno ad una delle sue principali risorse culturali che ad Alessandria è data dalla memoria dei suoni tradizionali. La cosa straordinaria è che, nonostante l’emigrazione (fisica e culturale) che ha svuotato negli anni il paese, ad Alessandria la musica viene ancora vissuta come fatto sociale; i suoni antichi veicolano emozioni che aderiscono alla memoria collettiva, allo scambio fra le generazioni, ai modi di vivere della comunità. Qui la cultura dei suoni è stata trasmessa oralmente dagli anziani ed è ancora oggi affidata alle occasioni di ritrovo, di scambio e di socialità. La parola orale, schiacciata oggi sotto il peso della logica imperante dell’audiovisivo, dove l’emotività dell’istante ha la meglio sui tempi dilatati dell’incontro, del racconto e della memoria, rivive ogni giorno in questo paese grazie all’amore dei nonni che trasmettono ai nipoti l’amore per il paese attraverso l’arte dei suoni. Cosa c’è allora dietro Radicazioni? Non il semplice spettacolo della musica, ma la passione che nasce dal basso, nel cuore della lingua vitale e delle emozioni collettive che danno corpo alla comunità di Alessandria del Carretto. È solo nella memoria dei suoni che i giovani alessandrini ritrovano l’entusiasmo per dar vita ogni anno ad un festival che porta migliaia di persone in un paese distante da tutto, con i suoi abitanti sparsi nel mondo e tuttavia uniti nell’amore per la musica della propria comunità. Il segreto di Alessandria è tutto qui e non nei falsi discorsi sulla tradizione o in operazioni commerciali e pseudo-accademiche calate (e soprattutto finanziate) dall’alto.

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Giganteschi raduni …

Il 13 agosto a Vibo Valentia, il 16 a Sciconi e Conidoni di Briatico, il 18 agosto a Vibo Marina…
Sono le date di tre distinti Raduni processionali di Giganti da Corteo per un totale di più di sessanta coppie di giganteschi simulacri provenienti da tutta la Calabria, dalla Sicilia e dalla Puglia

di Franco Vallone

Manta e Gifone
Mata e Grifone

Vibo Valentia e la sua provincia si riconferma “Capitale dei giganti processionali”. Dopo il grande recente raduno di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, è la volta, il prossimo 13 agosto, di Vibo Valentia dove, per le strade del centro storico, sfileranno ben ventuno coppie di giganti per l’iniziativa voluta dalla Pro Loco del capoluogo. L’iniziativa denominata “Invasioni di Giganti & Giganti” si concluderà a sera con un gran finale, un ballo collettivo con la presenza di tutte le coppie, l’incendio del Camejuzzu i focu, una tamburrinata pazza e il ballo della pupazza”. Dopo soli tre giorni, il 16 agosto, ad essere invase dai giganti saranno le strette viuzze di Sciconi e Conidoni di Briatico. In questo caso l’AICS Gioventù – Sciconidoni organizza il “Terzo Raduno dei Giganti” con un record di ben 32 coppie di giganti presenti. Anche in questo caso lo spettacolo è assicurato e si concluderà con la “grande ballata e sonata dei giganti”. Terzo ed ultimo appuntamento, il 18 agosto, a Vibo Marina, dove Mary Sorrentino, madre della compianta Federica Monteleone, con la sua Fondazione organizza “La Taranta dei Giganti” con la presenza, già confermata, di almeno dieci coppie di giganti da corteo. Ma raccontiamo per un attimo cosa sono i mitici Giganti calabresi…. ti svegliano di prima mattina con i loro tamburi. In principio si fanno solo sentire, da lontano, ti comunicano che sono arrivati e che oggi non è un giorno qualsiasi. Poi lentamente si avvicinano e si fanno anche vedere. Oggi è festa, e loro devono aprire il tempo speciale che solo la festa può dare. Sono i giganti, esseri enormi, fantocci grandi, colorati, simulacri arcani, speciali, proprio come il tempo che rappresentano e simboleggiano. I due giganti fanno parte di una un’antica tradizione calabrese e molto radicata in provincia di Vibo Valentia. “Jijante, gehante, gehanti, gihanta, giaganti”: sono solo alcune delle denominazioni dei giganti nelle diverse aree della Calabria. In alcuni luoghi i due fantocci vengono chiamati semplicemente giganti e gigantessa, in altri “Mata e Grifone. I giganti sfilano per le strade durante le feste di paese per allietare, con i loro balli, un pubblico di piccoli e di grandi e per “segnare” di festa il percorso del paese. Un assordante suono di tamburo precede l’avanzare dei giganti; rullante e grancassa vibrano freneticamente, in un inconfondibile e caratteristico ritmo ripetitivo, per annunciare che “stanno arrivando”, e le scariche di adrenalina si traducono in brividi che corrono, veloci, dietro la schiena.I due si corteggiano, ballano, girano l’uno attorno all’altro e si rapiscono in un vorticoso gioco di affascinazione e di incanto. In un rituale antichissimo tracciano un itinerario magico e simbolico. La festa è il loro mondo, il ritmo la loro vita, la strada e la piazza il loro movimento. I giganti, alti oltre tre metri e mezzo, hanno fatto passare notti insonni ad intere generazioni di bambini. Mata e Grifone, dalla testa di cartapesta o di latta battuta e sbalzata, abiti a fiori e strisce segnati da colori sgargianti e mani indescrivibilmente viscide e inumane, incutono terrore a tutti, una paura profonda, mista al piacere della sfida. Una forte emozione solca il divertimento dei bambini, esorcizza e supera una paura innata e collettiva. Un divertimento che consiste nel cercare di toccare i giganti, ancora una volta, per superare la paura stessa. Una sfida per il gigante e la gigantessa che a loro volta rincorrono e cercano di raggiungere e toccare proprio quei bambini che dimostrano di avere più paura. Ma da dove provengono e cosa rappresentano questi alti fantocci? Queste figure disumane arrivano da molto lontano, rappresentano due antichi regnanti, di culture profondamente diverse, che si innamorano e durante il loro lungo cammino nel tempo si sono caricate di mito e di simboli. La gigantessa è una regina indigena, molto appariscente nelle forme, corredata da collane variopinte, grossi orecchini, guance colorate, frutta e fiori di plastica, fischietti, medaglie dorate e piume colorate… il trionfo del kitsch, il cattivo gusto estetico e dell’oggetto goliardico, valori formali negativi che si ribaltano continuamente divenendo sapienti contenitori della bellezza popolare. Il gigante è un re turco solitamente caratterizzato da un cappellaccio nero, da una corona piumata o da un elmo e grandi baffi neri a manubrio. Alcuni racconti popolari narrano la storia di una regina rapita da un re venuto da molto lontano, dal mare, dalla Turchia, altri li vedono nella cultura popolare della Spagna e vengono in mente ambientazioni che ricordano la Calabria durante la dominazione spagnola, poi ancora al periodo delle incursioni turche e ai saraceni. La radice storica popolare del ballo dei giganti è di probabile origine aragonese. Il contatto con la dominazione catalana fece pervenire il Sicilia e in Calabria questa tradizione tutt’ora fortissima in Catalogna. A testimonianza di un’antica matrice culturale presente nell’area del Mediterraneo ancora oggi ritroviamo manifestazioni popolari con l’uso dei giganti processionali in Spagna, a Malta, ma anche in Belgio, Francia e in Grecia.

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Briatico: Prima Fiera Agroalimentare e Artigianale

di Franco Vallone
Briatico: grande successo per la “Prima Fiera Agroalimentare e Artigianale”.
Verrà allestita ogni sabato, per tutto il mese di Agosto

L’assessore al Turismo e all’Ambiente del Comune di Briatico è entusiasta ed emozionato per il grandissimo successo conseguito dalla Prima Fiera Agroalimentare e Artigianale. Assieme al sindaco, Francesco Prestia e con la collaborazione del presidente del Consiglio Comunale, Carlo Staropoli e del consigliere Nicola Anile, sono riusciti a ideare e realizzare un evento che si ripeterà settimanalmente per tutti i sabato del mese di agosto. Il Corso Margherita di Briatico, sabato scorso, sembrava essere ritornato ai fasti degli anni Settanta, quando la strada rimaneva gremita di gente, invasa da centinaia di turisti, per il classico struscio, per degustare un gelato, per una passeggiata, per tutta la sera, fino a tarda notte. Oggi, fresco di pavimentazione con i sampietrini, il Corso è stato luogo di incontro e di passeggio con ben trenta gazebo illuminati, con stand espositivi di ogni tipo, piccoli scrigni dei tesori della provincia di Vibo Valentia. Tra i numerosi stand c’era quello che illustrava, anche con foto d’epoca, la festa della Madonna del Carmelo portata a mare sulle barche dei pescatori di Briatico; c’era quello di Pasquale Lorenzo, l’artista – artigiano, musicologo, costruttore e suonatore di pipite, zampogne ed altri strumenti tipici della tradizione musicale calabrese. I legni che Lorenzo utilizza nel suo magico laboratorio di Parghelia sono quelli del circondario, dal paduk all’ebano, dall’ulivo all’erica, al gelso bianco e nero, il pero, l’albicocco e il mandorlo. Molto fotografato il lavoro di intreccio, svolto in diretta, da Garrì ,della frazione San Costantino, un sapiente intessitore di panieri, cesti e cestini, di ogni forma e ogni misura. C’era poi la produzione dei diversi tipi di miele di un apicultore di San Nicola da Crissa e la produzione, a caldo, di ricotte e formaggi, fino ad arrivare ai preziosi presepi artigianali, costruiti con “occhi di canna” dalla famiglia Calzone di Potenzoni. La produzione di cipolla rossa di Tropea aveva riservato un settore ben preciso. La “rossa” trova proprio nell’intero territorio di Briatico la terra perfetta per crescere dolcissima. Andando ancora avanti tra gli stand s’incontrava il piccante spazio degustazione degli Imeneo di San Nicola da Crissa con soppressate, salsiccie e ‘nduja,; a seguire l’artigianato raffinato di Lorena Costa, con miniature di giganti da corteo realizzate in fimo e in varie altre paste autoprodotte. Continuando nell’itinerario s’incontrava lo stand di esposizione e vendita promozionale di marmellate di more di gelso e di altra frutta oramai introvabile, olio extravergine dei frantoi della zona, vino locale di zibibbo, liquori della rinomata ditta Caffo di Limbadi, zeppole appena uscite dall’olio bollente della padella ed altri dolci tipici, con assaggi gratuiti e degustazione di molti dei prodotti tipici locali. Molto visitati gli stand con le postazioni delle lavorazioni tradizionali a rischio di estinzione, elemento che evidenzia quanto sia importante, oltre all’aspetto di promozione turistica, il lavoro di recupero e di sensibilizzazione svolto dall’assessorato di Vincenzo Savino. Ad inaugurare la manifestazione, con il classico taglio del nastro tricolore, il consigliere regionale, con delega all’emigrazione e immigrazione, Alfonsino Grillo, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio Regionale della Calabria, con accanto il presidente provinciale del CNA di Vibo Valentia, Giovanni Cugliari. Cugliari tra l’altro ha affermato che “la sinergia tra enti locali, le associazioni di categoria e le istituzioni, consente di intraprendere quel giusto percorso che permette di realizzare programmi ed utili iniziative che, se concertati, producono effetti di ricaduta positiva e di qualificata immagine all’economia del nostro territorio”. La manifestazione di forte richiamo per i tanti turisti presenti nella zona, ha avuto il supporto di un servizio navetta che rimarrà in funzione tutti i giorni del mese di agosto. Un utile servizio che permette di raggiungere il centro del paese dai villaggi turistici ed alberghi della zona. Fino a mezzanotte e mezza, e oltre, le strade di Briatico sono rimaste piacevolmente invase da migliaia di turisti, emigrati di ritorno e residenti provenienti da tutta la provincia vibonese.


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Presentazione del volume “S. MARIA A SACRA LITTERA”

Care amiche e cari amici,

S. MARIA A SACRA LITTERA
Filippo Curtosi Giuseppe Candido S. MARIA A SACRA LITTERA - Non Mollare Edizioni 2010 ISBN 9788890504006 - Pag. 228, € 9,00

l’Associazione di volontariato culturale “Non Mollare” già editore di “Abolire la miseria della Calabria” esordisce come casa editrice calabrese anche nel settore del libro. Oggi, lunedì 02 agosto 2010 alle ore 18.30 a Pannaconi, Città di Cessaniti (VV), ci sarà la presentazione del libro “S. MARIA A SACRA LITTERA” di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido. Si tratta, come si legge nella prefazione affidata a S.E. Mons. Vincenzo Rimedio, di un “saggio socio religioso” sulle origini e sul culto della Madonna della Lettera, tra storia, arte e letteratura popolare edito per i tipi di Non Mollare Edizioni 2010. “La storicità della Lettera della Madonna alla Città di Messina e la soluzione di varie obiezioni che si muovono alla veridicità della Lettera. (…) Uno spaccato di religiosità popolare è proposto nella trattazione in chiave antropologica delle feste che si svolgono in Calabria, ma l’intendimento di fondo degli Autori è di focalizzare la tradizione della lettera della Madonna alla Città di Messina e della conseguente devozione alla Madonna della Lettera”.

Alla presentazione interverranno: Nicola ALTIERI, Sindaco di Cessaniti (Vv), Francesco Antonio STILLITANI, Assessore regionale al lavoro e alle politiche sociali, Francesco DE NISI Presidente della Provincia di Vibo Valentia, Mons. Vincenzo RIMEDIO Vescovo emerito della Diocesi di Lamezia Terme, il Prof. Francesco SANTOPOLO autore dell’introduzione, Padre Luigi SCORDAMAGLIA Parroco di Pannaconi, il giornalista Franco VALLONE e Gilberto FLORIANI direttore sistema bibliotecario vibonese. Saranno presenti gli autori.

Mons. Luigi RENZO Vescovo della Diocesi di Mileto non potrà essere presente per impegni precedentemente assunti ma parteciperà con un proprio messaggio.

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Potenzoni (VV), “Infiorata” alla XVIII edizione

L’appuntamento è per domenica 6 giugno 2010, dalle ore 11.00, ovviamente a Potenzoni di Briatico in provincia di Vibo Valentia, il “Paese calabrese dell’Infiorata artistica“, al pari di Genzano, Noto e Poggio Moiano, presenta alla gente, per il diciottesimo anno consecutivo, le sue strade infiorate create per essere solcate dal Santissimo. Ad affermarlo è Daniela Calzone, segretaria dell’associazione Potenzoni in Fiore Onlus: “Per gli abitanti di Potenzoni l’infiorata rappresenta un’importante occasione attraverso la quale manifestare la loro forte capacità espressività e l’attaccamento verso la propria religiosità. Per l’occasione strade, vicoli, larghi e piazzette vengono allestite e decorate con centinaia di icone e simboli. Anticamente, in paese, era abitudine rallegrare la processione religiosa del Corpus Domini con una pioggia di petali che venivano lanciati dai balconi al passaggio del Santissimo.

Oggi i maestri infioratori di Potenzoni, per qualità tecniche, espressività e fantasia, possono dire di aver raggiunto la perfezione, vengono chiamati per operare nelle maggiori manifestazioni nazionali di infiorate artistiche, realizzando, di volta in volta, madonne, crocifissi, icone, stemmi e segni sacri, simboli religiosi. Per l’occasione i quattro rioni del paese, Glicine, Torre, Chiesa e Agave, si confrontano con l’utilizzo di milioni di petali colorati. E le strade del piccolo paese con sole 250 anime si animano festose ed accolgono ancora una volta migliaia di visitatori. Il prossimo 6 giugno, dalle ore 11,00 l’Infiorata di Potenzoni mostrerà tutti i suoi colori. Poi la valutazione delle opere floreali curata da una commissione di esperti ed infine il il passaggio del Santissimo sui policromi effimeri tappeti. L’organizzazione dell’evento è curata dall’Associazione Onlus Potenzoni in fiore”.

Apertura al pubblico dalle ore 11:00. Accesso libero. Maggiori dettagli sul sito ufficiale www.infioratapotenzoni.it oppure con una e-mail all’indirizzo: info@infioratapotenzoni.it o telefonando al numero 
340-6970241 del presidente associazione “Potenzoni in Fiore”

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Le immagini di un inedito backstage di un calabrese di Tropea

di Franco Vallone

La tenda in piazza”

film diretto da Gian Maria Volonté

Dopo quaranta anni escono fuori da un cassetto le immagini di un inedito backstage, girato in 8mm a Piazza di Spagna, da un calabrese di Tropea

Luchino Visconti

Il film, girato in 35 mm nel 1970 a Roma, per la regia, sapiente regia, di Gian Maria Volontè si intitola “La tenda in piazza”, ed oggi la pellicola è quasi introvabile. È il Natale del 1970. Il tenente Salvatore Libertino di Tropea è a Roma, appena sbarcato dalla Sardegna dove presta servizio alla Base missilistica di Perdadefogu. Aspetta di mettersi sul treno della sera che dalla Capitale lo porterà in Calabria, a Tropea. Nell’attesa, dopo vari giri per le strade romane, arriva a Piazza di Spagna, il tenente ha con se la sua piccola cinepresa 8mm. Il ’70 è l’anno, anche a Roma, delle fabbriche occupate. La più grande è la Fatme, c’è poi la Coca Cola, le Camicerie Cagli e altre ancora. “La piazza – come racconta lo stesso Libertino – è animatissima. Drappelli di operai e operaie delle aziende occupate intendono raccogliere fondi e far sentire la voce con striscioni, cartelli, percuotendo bidoni e urlando “lavoro, lavoro…”. Il tutto è seguito dalle forze dell’ordine, celerini della Polizia e Carabinieri. Tutti forniti di equipaggiamento antisommossa: scudi, maschere antigas, manganelli e fucili lancia fumogeni. Libertino, ricercatore curioso da sempre, è tentato da quelle immagini da documentare con la cinepresa ma il suo status militare lo frena. Piazza di Spagna è piena di questurini in borghese con in mano le macchine fotografiche. Sul tetto di un furgone fermo, proprio al centro della baraonda che inizia a farsi più minacciosa, si erge la figura di Gian Maria Volontè dietro una cinepresa 35 millimetri che a tratti riprende. Alla vista dell’attore – regista, Libertino non sente più nulla, urla, suoni, rumori svaniscono all’improvviso. Salvatore è davvero incantato da quella presenza -mito -apparizione. Davanti a lui c’è quello che lui considera il migliore attore del mondo. Libertino sfodera la sua cinepresa amatoriale e inizia a riprendere un po’ tutto e specialmente Volontè che riprende. Cerca di tenersi lontano dalla mischia, rimane alle spalle dei poliziotti in borghese che circondano l’area calda. Volontè intanto scende dal furgone, gira intorno, fa interviste, guida le riprese del suo operatore, lo avvinghia con le braccia, lo accompagna dove e come vuole come un prolungamento del suo sguardo.Volontè si accorge della presenza di Libertino, è l’unico, dopo di lui, in piazza ad avere una cinepresa in mano. I due si sfiorano, si scontrano nella calca e nella ressa della piazza caotica. Libertino cerca di non dare fastidio alle riprese. E nel trambusto Volontè, quasi ad alta voce , gli dice “vieni con me c’è Luchino Visconti”. Salvatore lo segue. Poi Volontè lo invita ancora a seguirlo: “vieni, stai dietro di me. Ora comincia il bello”. Il questore indossa la fascia tricolore. Si sente già la tromba. E’ il segnale della carica. La prima, la seconda, la terza… Libertino lo segue. “Era come se mi trovassi in mezzo alla guerra” racconta oggi. La manifestazione si fa sempre più pesante.. Mentre gli altri fuggono Libertino rimane imperterrito a filmare. L’oggetto della disputa è una tenda che gli operai vogliono montare per avere una base di appoggio e poter raccogliere qualche fondo per la comunità occupante. Dall’altra parte c’è la polizia che lo impedisce nel modo più forte. Si vede la tenda ondeggiare pericolosamente da un bordo all’altro della piazza. C’è un ferito. Lo soccorre lo stesso Volontè. La polizia cerca di far sfollare gli operai dalla piazza. Volontè viene fermato e la sua cinepresa sequestrata. Lo portano via. Libertino nasconde nella custodia la sua e si allontana frettolosamente. Più tardi, su ‘Paese sera’, leggerà che la manifestazione continuerà anche domani mattina. Decide di non partire. Vuole ritornare in piazza. Il giorno dopo -racconta Libertino- la tenda era montata, con la scritta ‘Fabbrica Occupata’, la gente offre qualcosa, soldi ma anche panettoni, fiori, cassette natalizie. C’è anche Nanni Loy. Il clima è più sereno. C’è Volontè, senza cinepresa. Si avvicina e gli stringe la mano. Gli chiede che se vuole può prendersi il suo filmato. Volontè lo ringrazia e gli dice che è tutto a posto, gli è stata ridata l’attrezzatura che non ha subito alcun danno. Si salutano, Libertino lo ringrazia per la disponibilità del giorno prima, dopo avergli ribadito con la mano sul cuore “che è il migliore attore del mondo”. Lui sorride. Le ultime riprese e poi Libertino si avvia verso la stazione Termini che lo porterà verso le strade di casa, verso Tropea. Solo dopo diversi anni Libertino viene a sapere che Volontè con quelle immagini di quei giorni aveva fatto un film in 35 millimetri “La tenda in piazza”, oggi quasi introvabile. In un’intervista lo stesso Volontè dichiarerà: “…è venuto fuori perché in quel periodo c’erano le fabbriche occupate dai lavoratori qui a Roma e avevano pensato per il Natale, non ricordo di quale anno, di piantare una tenda in piazza di Spagna per raccogliere la solidarietà dei cittadini. Abbiamo seguito alcune assemblee nelle fabbriche occupate e la preparazione e l’organizzazione di questa iniziativa. Poi, al momento di metterla su, ci sono stati scontri con la polizia che voleva vietarla, e noi abbiamo registrato e documentato tutto….”. Il film, della durata di 62’, racconta la lotta di operaie e operai delle varie fabbriche occupate. La regia è di Gian Maria Volontè, la fotografia di Paolo D’Ottavi, il fonico è Francesco Venier, l’elettricista Enzo Rocchi. “Un film- dice oggi Salvatore Libertino- che avevo già visto accanto all’attore migliore del mondo”.

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Telai, fucine e folklore giuridico

di Filippo Curtosi
J. M. de PradaLa vera cultura”, sostiene lo scrittore Juan Manuel de Prada, è quella che nasce da ciò che i romantici tedeschi chiamavano Volkgeist, “lo spirito del popolo”; deve essere una emanazione naturale della gente, che canta, balla, racconta, dipinge, perché sente il bisogno di esprimere qualcosa che le appartiene nel profondo, qualcosa che è legato alla sua genealogia spirituale alla sua identità. Questa cultura, oggi come ieri, subisce però il sequestro da parte del potere; quest’ultimo si rende conto che se riesce a trasformare queste effusioni naturali in un”artefatto”, ossia in un prodotto artificiosamente creato, può ottenere una ingegneria sociale. Allo stesso tempo si osserva una casta di intellettuali gregari; persone che si sono adeguate a una determinata interpretazione della realtà auspicata dal potere, che le sovvenziona e promuove, affinché impongono una determinata cultura,che non è autentica, perché non nasce da una espressione naturale del popolo. Inoltre, all’idea di popolo si è andato sostituendo il concetto nuovo di “cittadinanza”, una massa amorfa dove l’esperienza artistica non si produce più in modo naturale.
La vera arte è comunitaria,per dirla con le parole di Manuel de Prada è come un seme che si getta e suscita il desiderio d’incorporarsi all’esperienza artistica e di comunicarla ad altri, di modo che ognuno, in un certo senso, diviene anche creatore. E’ una specie di contagio. La domanda che ci poniamo oggi è: come è possibile recuperare l’autentica cultura ed in particolare la cultura del lavoro? Solo riappropriandoci della nostra identità, di quella “pasta” che di tanta civiltà ha illuminato il mondo, potremmo evitare di “non eternare” come scriveva  Vito Capialbi al suo amico Paolo Orsi, il cattivo nome, che di Noi corre per il mondo”.
Occorre realizzare un lavoro di ricomposizione del tessuto sociale partendo dal basso, creare una specie di “controcultura” di fronte a questa “pseudocultura” stabilita dall’alto. Ma il popolo è bombardato quotidianamente dalla cultura artificiale che ci viene venduta. La Calabria possiede un ricco patrimonio di cultura materiale ed immateriale che ha influenzato il processo di trasformazione sociale ed economico di questo nostro territorio che resta ancora poco noto e documentato e che per questo necessita di un intervento di recupero e valorizzazione.
Terra di Calabria, dove sono le giogaie che     “traversano la penisola in tutta la sua lunghezza, stendendo le loro diramazioni verso spiagge fiorite, in fertili vallate,f ino ai lembi costieri,s u cui si inchinano àgavi ed ulivi bagnati dal cupo mare”. Dai monti al mare passando per le colline. Dai pini ed abeti, agli aceri, alle querce, castagni e poi più giù verso le valli coi vigneti, l’odore degli agrumi, delle zagare, ai fichi d’india, la liquirizia, i capperi. Dov’è il caolino di Parghelia, la lignite di Briatico, il ferro di Mongiana, l’arte tessile, le sete e i damaschi di cui Catanzaro ebbe il primato della tessitura,” nobile nella materia come ci racconta Alfonso Frangipane e nella impronta artistica. Da Catanzaro, continua il fondatore della rivista”Brutium” si sparse l’amore dell’arte gentile, e sorsero i primi telai lignei, con le lignee macchine rudimentali e si formarono le specialissime maestranze di tessitori e tintori. Esempio fecondo Cosenza, Taverna, Monteleone, Reggio, ebbero tessitori di seta e di cascami. E’ vanto di Catanzaro l’avere preceduto altre città italiane nel lavoro serico; è storico il progresso delle produzioni catanzaresi, pregiate nei grandi centri dell’Italia centrale e settentrionale, fino a Lione, Parigi, Tours, dove pervenivano i nostri tessuti e tessitori. Si pregiavano ovunque i panni di seta, sciamiti, zendadi, anche a fili d’oro, ed i paramenti sacri, le coperte di velluto, i fazzoletti catanzaresi di organzino colorato, e le tinte, cremisi, verdi, gialle, turchine. A Tropea la tessitura particolare di cotone e lana con carattere rustico broccato,unica in Italia è ancora viva,le coperte “ a pizzuluni” cioè a rilievo,facevano parte fino a pochi anni fa del corredo nuziale. Così a Longobucco, altro secolare e mirabile laboratorio tessile cui tutto il paese collabora appassionatamente. Non meno degne sono le ceramiche. Ecco le borracce, le cannate ed i boccali di Seminara. Botteghe importanti esistono a Gerace,S oriano, Bisignano.
Bisogna ricordare i fabbri di Serra San Bruno per lavori di applicazione, insuperabili sono le balconate ricurve indorate di flessuosi ed enormi tulipani.
Cosi come non va dimenticata l’arte lignea dei costruttori e decoratori di cassoni nuziali, di collari, di conocchie, di bastoni e borracce, nonché quelle delle lucerne rudemente forgiate;gli artigiani del giunco e della “janestra”.
http://www.legambientelaroverella.it/tessitura.html
http://www.legambientelaroverella.it/tessitura.html
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Folklore giuridico come raccolta degli usi e delle consuetudini
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Il  “comprensorium haereditarium” della famiglia:
Cu’ non d’ha casa o ortu, si po’ diri ch’eni mortu
La podestà familiare ripartita fra il marito e la moglie:
‘A casa havi quattru cantuneri: Dui u maritu e dui ‘ mugghieri;
Il rispetto ai genitori e le credenze popolari:
Cu ‘no rispetta mamma e tata,
Erramu vaci strata strata
L’età minore dei figli:
Non diri ch’hai figghoili
Si non hannu denti e moli
Il corredo da preparare fin da quando la fanciulla è in fasce:
Figghia ‘nfaccia, E dota ‘nacascia
La fascia sociale a cui la donna appartiene:
A figghia du massaru,
Dui vòi e lu vòaru;
A figghia d’ù garzuni
A vesti e dui casciuni
L’invulnerabilità della dote:
A dota passa pi subba
O focu e non si vruscia
Il grado di parentela degli sposi e l’impedimento matrimoniale:
In quattu
La chiesa li spatta;
l’”osculum interveniens”
Donna vasata
Donna spusata;
La ripartizione ed il sorteggio delle quote successorie:
U randi faci i parti
Ed u picciottu pigghia.
Gli altri nove concernono i nidi,gli sciami delle api e la selvaggina di pelo:
Sciami, nido e pilu
Undi u vidi pigliatilu;
La caccia ai volatili e la selvaggina grossa:
Caccia di pilu,
Si sparti a filu filu;
Caccia di pinna,
Cù ammazza s’à spinna;
La costruzione arbitraria su suolo altrui:
Cù frabbrica ‘nta terra strana,
Perdi a carci, a petra e a rina;
La tolleranza di raccogliere fichi e simili frutti: per “ sfamarsi”
U ficu eni cuccu
Cu’ u’mbatti s’u ‘mvuccu
La disdetta dei fondi seminativi
Quando è a Nunziata
I rani pianu a licenziata;
L’anno del garzone e i suoi diritti:
P’u bon’ annu,
U garzuni chiumpi l’annu;
E si scappa ‘nta annata
Perdi a misata;
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SULLA «SERRA», LA COLLINA DEI FANCIULLI E DELLE NINFE, POTREBBERO SORGERE ORRIBILI PALE

di SERGIO D’ELIA

Salento, i giganti  possono tomare

Il forte rischio di un mostruoso impianto eolico

Riceviamo da Elisabetta Zamparutti la segnalazione dell’articolo di Sergio D’Elia pubblicato su Gazzetta del Mezzogiorno del 26 aprile 2010 e volentieri pubblichiamo questo intervento-racconto sul rischio che corre uno scorcio del Salento magico. L`intervento è scritto in collaborazione con Oreste Caroppo (di Italia Nostra).

Eracle
Eracle - Wiki commons

La leggenda racconta che Eracle, sbarcando sulle coste salentine, scagliò contro i terribili Giganti, che abitavano il luogo, alcuni macigni strappati alla scogliera. Molte pietre sono ancora lì, sparse tra i Massi della Vecchia sulla Collina dei Fanciulli e delle Ninfe, conosciuta localmente come «Serra», acropoli naturale di un`antica civiltà che sorge tra i paesi di Minervino, Giuggianello e Palmariggi nell`immediato entroterra di Otranto.

L`opera scultorea del tempo ha dato alle pietre sacre le forme più strane e la fantasia popolare ha associato loro nomi bizzarri e antiche leggende che si tramandano di padre in figlio. Come il «Piede d`Ercole», un monolite a forma di zampa di un grosso animale. Oppure «`U Furticiddhu della Vecchia» che richiama la rondella di un fuso (furticiddhu in dialetto locale). Il monumento viene detto anche «Masso oscillante d`Ercole» in riferimento al mito originario. Oppure il «Letto della Vecchia», una grossa pietra calcarea di forma circolare che assomiglia a un enorme giaciglio. Secondo la leggenda, la strega trasforma in pietra chiunque non riesca a rispondere alle sue domande, mentre a chi risponde correttamente dona un gallina con sette pulcini d`oro.

Storie misteriose, miti pagani e riti sacri ammantano la Serra coi suoi massi popolati da ninfe e folletti, diavoli e santi, streghe e madonne, orchi malvagi e fate buone, giganti e pastorelli, viandanti e spiriti del luogo, tesori meravigliosi, forze magiche ed energie cosmiche.

Un arco di tempo plurimillenario ha lasciato miracolosamente intatte le loro tracce, ed è straordinario come in così poco spazio siano rappresentate tutte le epoche della storia dell`uomo. Dal paleolitico al neolitico giungono fino a noi evidenze di villaggi capannicoli e grotte cultuali. Dolmen e menhir richiamano l`età del rame e del bronzo, mentre dell`età del ferro e della civiltà prima greco-messapica e poi romana è testimone una torre militare di avvistamento. Al Medioevo ci riportano chiese paleocristiane, cenobi dei monaci greci dell`ordine di San Basilio, cripte e chiesette rupestri bizantine come quella dedicata a San Giovanni, villaggi quale il casale di Quattro Macine. All`epoca moderna datano numerose masserie, alcune anche fortificate, tru lli e caratteristici abituri in pietra a secco e a tegole o addirittura con coperture megalitiche. Tutto questo sopravvive in un paesaggio rurale e naturale ancora vergine, caratterizzato da ulivi monumentali, vecchi tratturi e muri a secco, boschi e macchia mediterranea, dove vegetano le ultime sugherete salentine come quelle di Bosco Paletta, le più orientali al mondo, con querce rare per il basso Salento, quali il fragno, il tutto intervallato da campi agricoli e preziosi pascoli rocciosi di tutelata steppa mediterranea. Il sito è frequentato dalle rare e protette cicogne bianche, che a detta dei locali hanno nidificato ancora nell`altopiano di Santu Vasili.

Con una stratificazione di culti e mescolanza di sacro e profano, sono sorti santuari cristiani di fortissima devozione, come quello di Montevergine nel feudo di Palmariggi legato alle apparizioni della Madonna, con una chiesa settecentesca costruita, accanto a un menhir, su una grotta-laura basiliana affrescata con l`icona di una Vergine con Bambino. Così, nell`area Belvedere, la Grotta di San Giovanni legata a miracoli di guarigione e apparizioni del santo, per cui nel luogo si celebrano ogni anno frequentatissime feste religiose e concomitanti fiere, con canti e balli popolari. E poi la bella ed enigmatica chiesetta della Madonna della Serra di Giuggianello, pure animata da leggende e feste religiose.

La Collina dei Fanciulli e delle Ninfe,coi suoi massi impregnati di leggende pagane e cristiane e oggetto di antichissime ritualità e venerazione, rischia ora di essere irrimediabilmente profanata.

Su questa importante e praticamente unica collina del Salento, tra pietre mitologiche e contorti ulivi, cripte bizantine ed edicole votive, santuari e chiese legate al locale intenso culto mariano, vogliono realizzare un imponente impianto eolico di venti mega aerogeneratori. Le torri eoliche ubicate su questo dolce rilievo che non supera i 115 metri sul livello del mare sarebbero alte 125 metri, dominerebbero il paesaggio nel raggio di chilometri, alterandone e distruggendone il profilo.

Non solo, diverse torri eoliche e connesse opere di sbancamento e colate di cemento necessarie per realizzarle, con chilometri di cavi elettrici e nuove distruttive reti viarie, sono previste in corrispondenza di accertati giacimenti archeologici neolitici o addirittura in aree come il campo di ulivi millenari e di massi sacri «de la Vecchia» o nella zona Belvedere di Grotta San Giovanni.

All`inquinamento elettromagnetico potenzialmente causa di tumori e all`inquinamento visivo a danno dell`orizzonte quotidiano, si aggiungerebbe anche quello notturno legato alle luci rosse lampeggianti delle necessarie segnalazioni per gli aerei, vero e proprio oltraggio alla mirabilità del firmamento.

Piazzare mega-torri eoliche sulla Collina dei Fanciulli e delle Ninfe sarebbe per i salentini quasi come per i romani vederle spuntare sul Colle del Campidoglio o per gli ateniesi sulla loro sacra e mitologica Acropoli. In barba all`altissimo valore culturale e ambientale del sito e in netta contraddizione con il suo stesso Piano Paesaggistico Territoriale, la Regione Puglia ha prima dato un parere – privo di una seria valutazione di impatto ambientale – favorevole agli impianti sulla Serra e, poi, contro le cautelative sentenze del TAR di Lecce, ha fatto appello al Consiglio di Stato.

«La poesia è nei fatti», ha rivendicato Nichi Vendola nella sua campagna elettorale. Sarebbe ora paradossale se a essere violato fosse proprio un luogo del Salento pregno di poesia, magia e sacralità, quella Collina dei Fanciulli e delle Ninfe che duemila anni fa ha ispirato le narrazioni di opere classiche come le “Metamorfosi” di Ovidio o le “Audizioni meravigliose” attribuite ad Aristotele. Sarebbe non solo un errore, ma un «misfatto», un crimine contro l`umanità. La preziosa Collina andrebbe piuttosto tutelata, come fosse patrimonio dell`Unesco e – come è stato proposto – venga vincolata l`intera Serra, il che potrebbe contribuire anche a fermare, in una regione che già produce il doppio dell`energia elettrica che consuma, la superflua e intollerabi le minaccia dei tre impianti eolici di Giuggianello, Minervino e Palmariggi.

I Giganti della mitologia che Ercole mise in fuga a sassate nella notte dei tempi potrebbero tornare da un momento all`altro sotto forma di mostri dalle potenti ali d`acciaio. E non si vede all`orizzonte un Ercole pronto a scacciarli; ci sono solo piccoli Davide – i pochi attivisti, comitati e amministratori locali -a sfidare i Golia del mega-eolico… e i loro gemelli parimenti mostruosi del mega-fotovoltaico, già pronti coi loro supertecnologici pannelli di silicio a livellare, disboscare, diserbare e cementificare migliaia di ettari di prezioso terreno agricolo e paesaggio naturale salentini, suoli rocciosi carsici e campi paludosi, ricchissimi delle più varie forme di vita.

Tutto ciò sembra venga fatto in nome dell`Ambiente e del Protocollo di Kyoto, di uno sviluppo eco-sostenibile e dell`occupazione. Ordinari scempi industriali e «affari sporchi» da cui traggono vantaggi solo la mafia, la politica e le ditte interessate, si presentano invece come fonti miracolose di «energia pulita». Si annuncia l`avvento di una «nuova civiltà», ma è solo il deserto – ambientale, civile e culturale – che si sta progettando per il Salento.

Articolo pubblicato da La Gazzetta del Mezzogiorno, 26 aprile 2010

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INCONTRO CON VITTORIO DE SETA

locandina

il Sistema Bibliotecario Vibonese e l’Associazione di volontariato culturale “Non mollare”   vi aspettano, venerdì 5 febbraio 2010 ore 17.30 presso l’Auditorium del Sistema Bibliotecario Vibonese, per un “INCONTRO CON VITTORIO DE SETA* e la Presentazione del volume “La Calabria: antologia della rivista di letteratura popolare La Calabria” diretta da Luigi Bruzzano.

Intervengono: Vittorio De Seta, autore della prefazione del volume, i due curatori dell’antologia Filippo Curtosi, Giuseppe Candido, e Giuseppe Braghò.

Seguirà la proiezione del cortometraggio “I Dimenticati” Di Vittorio De Seta

*Vittorio De Seta Nato il 15 ottobre del 1923 a Palermo, ha esordito come autore di documentari di ispirazione neorealista incentrati sulle condizioni dei lavoratori in Sicilia e Sardegna ( Isole di Fuoco, Primo Premio per il documentario al Festival di Cannes 1955; Sulfarara, Targa d’argento al Premio David di Donatello 1956/ 57 e numerosi altri). Banditi a Orgosolo del 1961, di cui cura anche produzione, montaggio, fotografia e sceneggiatura, è il suo primo film non documentario: un’opera scarna, essenziale e di forte contenuto sociale interpretata da attori non protagonisti che si aggiudica il Premio Opera Prima alla Mostra di Venezia, il Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero ed altri prestigiosi riconoscimenti. Gli altri suoi film non documentari sono Un uomo a metà, di carattere più intimista ed introspettivo (1966), L’invitata, unico film prodotto da De Seta nell’ambito di una produzione “regolare” (1969), Diario di un maestro che è una protesta del regista contro lo “spreco” (l’espressione è di Danilo Dolci) che l’Italia fa degli Italiani (1972, per la Rai Radiotelevisione Italiana).Negli ultimi anni il cinema di De Seta è stato anche centro di una serie di omaggi negli Stati Uniti. Nel 2005 Martin Scorsese ha introdotto i suoi film al Full Frame Festival e al Tribeca di Robert De Niro. Il MOMA (Museum of Modern Art di New York) lo ha inoltre celebrato quest’anno come maestro del cinema del reale con una retrospettiva dal 24 al 30 giugno. Per la prima volta è stato presentato negli Stati Uniti anche Diario di un maestro. Gli altri titoli di punta della rassegna sono stati Banditi a Orgosolo e Un uomo a metà e dieci documentari tra cui quelli girati in Sicilia e Sardegna prima del boom economico.

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