Per Stefano Cucchi spiragli di verità

di Giuseppe Candido

Dopo le perizie medico-legali della procura che iniziarono a delineare i primi lembi di verità su ciò che avvenne davvero al povero Cucchi oggi c’è la notizia di una prima condanna con rito abbreviato e 12 rinvii a giudizio per altrettante persone coinvolte a vario titolo in quella triste vicenda.

Qualcuno, in un primo momento, arrivò ad affermare che Stefano era “morto perché era un tossico dipendente malato”. Quasi questo fosse perciò tollerabile anziché ancor di più insopportabile. Ma quei segni che Cucchi riportava evidenti sul suo corpo abusato, e che hanno potuto far rabbrividire perché fecero il giro del mondo, non lasciavano davvero dubbi. Oggi sappiamo che Stefano Cucchi, secondo il pubblico ministero, fu picchiato e non, invece, curato come avrebbe dovuto esserlo proprio perché “malato” che fu “affidato in detenzione” nelle mani dello Stato. Almeno secondo quanto scritto nella nostra Carta costituzionale che la pena non può mai consistere in trattamenti disumani e violenze.

Ma la legge fu violata, stracciata come carta becera la nostra Costituzione. E per questo che saranno processate 12 persone, tra agenti di polizia penitenziaria, medici e infermieri. Intanto un funzionario del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, è stato già condannato a due anni con giudizio abbreviato. E proprio su questo argomento, il giornalista Gianfranco Palazzolo ha intervistato per i microfoni di Radio Radicale, l’Onorevole Rita Bernardini che, della vicenda Cucchi si è occupata sin da subito per chiedere che si facessero verità e giustizia. “Io ritengo che questa vicenda”, afferma la deputata radicale eletta nel PD, “sia andata avanti e stia trovando degli spiragli di verità e di giustizia proprio per il coraggio, che ha avuto la famiglia di Stefano, di uscire subito allo scoperto mostrando quelle foto che inequivocabilmente dimostrano che Stefano Cucchi è stato ammazzato. Non giriamoci intorno: il ragazzo è stato più volte picchiato”. E ancora: “Lo squarcio di verità che c’è stato sulla vicenda Cucchi, se non terminerà l’attenzione dei mass-media in generale e quindi anche dell’opinione pubblica, credo che potrà portare solamente a far emergere la verità”.

Qualche lembo di verità comincia quindi ad intravedersi ma la cosa grave è che le accuse siano quelle relative alle mancate cure e non già quello di omicidio preterintenzionale o colposo. Per cui rimangono ancora valide le richieste della famiglia: “Vogliamo sapere perché” – chiedeva Giovanni Cucchi durante una conferenza stampa – “alla richiesta precisa di Stefano, la sera dell’arresto non è stato chiamato dai militari, il suo avvocato di fiducia; vogliamo sapere dalle forze dell’ordine come è stato possibile che abbia subito le lesioni; vogliamo sapere chi glie le ha prodotte e quando; vogliamo sapere, dalle strutture carcerarie, perché non c’è stato consentito il colloquio con i medici; vogliamo sapere, dalle strutture sanitarie, perché non gli sono state effettuate le cure mediche necessarie, vogliamo sapere, (sempre) dalle strutture sanitarie, perché sia stata consentita, in sei giorni di ricovero, una tale debilitazione fisica, vogliamo sapere perché è stato lasciato in solitudine senza un conforto morale e religioso, vogliamo sapere, infine, la natura e le circostanze precise della morte, vorremmo sapere altresì, se ci sono motivi validi di tale accanimento su una giovane vita. Immaginiamo che una famiglia distrutta dal dolore per la morte atroce del proprio figlio di, trentuno anni, abbia il diritto di urlare con tutte le sue forze, per chiederne conto”. Richieste che rimangono legittimamente ancora attuali e che è giusto, perciò, ricordare e riproporre all’attenzione.

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