Un mondo senza immaginazione: la fine delle illusioni

di Maria Elisabetta Curtosi

Cosa significa per centinaia di migliaia di persone essere allontanate a forza dal proprio paese d’origine, obbligate a migrare verso città e paesi lontani, abitati già da troppi uomini e donne che non li aspettano e non li accolgono certo bene? Cosa significa perdere tutti i propri seppur modesti beni, la propria casa e non avere nulla in cambio?

Si domanda Arundhati Roy, l’autrice dello splendido romanzo Il dio delle piccole cose. Si è laureata alla Delhi School of Architecture e vive a Nuova Delhi. È stata assistente al National Institute of Urban Affairs e ha studiato Restauro dei monumenti a Firenze. Ha scritto, tra l’altro, alcune sceneggiature. Il dio delle piccole cose, suo romanzo d’esordio, è stato un best seller in tutto il mondo.

 

La tragedia che si cela dietro questo fenomeno non è facile da  immaginare. Eppure “ E’ il governo indiano che organizza queste migrazioni di massa, per costruire dighe sempre più grandi, sempre più forti e sempre più economicamente utili ”. Una triste e drammatica realtà e la scrittrice ha scelto di non tacere , ma quali saranno i vantaggi? il progresso, il bene comune, l’interesse del paese? La Roy risponde no.

La scrittrice indica anche alcuni responsabili dello scempio, ad esempio la Banca Mondiale, alcuni Consulenti Internazionali per l’Ambiente, politici, burocrati e imprese costruttrici. Uno scenario che si ripete in molti altri paesi del Terzo Mondo, mentre il Primo Mondo si rifiuta ormai da tempo di costruire Grandi Dighe “che riducono la terra a un deserto, provocano inondazioni, saturazione e salinizzazione del terreno, e diffusione di malattie… non sono nemmeno riuscite a svolgere il ruolo di monumento alla Civiltà Moderna, di emblema del dominio dell’Uomo sulla Natura”.

Non si può parlare di “sviluppo costruttivo”, ma unicamente di “sviluppo distruttivo”. Un esempio di fallimento per tutti: la diga di Bargi, vicino a Jabalpur, che irriga solo il 5 per cento della terra che i progettisti avevano previsto.

<< Sono cresciuta in un villaggio e ho sperimentato sulla mia pelle l’isolamento, l’iniquità e la potenziale barbarie di questa vita. Non sono una fanatica antiprogresso, e nemmeno cerco di far proseliti a favore del mantenimento perenne di costumi e tradizioni. Ma sono molto curiosa. E la mia curiosità si è ridestata a proposito della valle della Narmada. L’istinto mi diceva che qui c’era qualcosa di grosso >>

Infatti, questo territorio è in pericolo per la costruzione di una diga del Sardar Sarovar, e da dieci anni c’è in corso una battaglia in India molto importante che sfociò in un problema polito e sociale cioè di democrazia. A chi appartiene questo territorio? E’ dei tribunali o dell’esercito o meglio dell’apparato burocratico?

Share