Abolire la miseria forse non conviene

di Giuseppe Candido

Articolo pubblicato il 15/12/2011 su “Il Quotidiano della Calabria”

Abolire la miseria, ci dicono, ch’è un sogno, una visione. Già Ernest Bloch sosteneva che, “porre fine alla miseria per un tempo incredibilmente lungo non suonò per nulla normale, al contrario era una favola … ”. La possibilità di creare un mondo più giusto o, quanto meno, uno Stato più equo abolendo la miseria, come sostiene però lo stesso Bloch, può entrare nel nostro campo visivo “solo come sogno a occhi aperti”. E allora, in questo momento di crisi in cui l’Italia rischia assieme all’Europa e all’euro il suo tracollo finanziario, facciamolo questo sogno ad occhi aperti: un sogno di uno Stato più equo e di una Patria europea come quella che sognavano i suoi padri fondatori. È certo che, per uno Stato più equo è necessario, ma non sufficiente, uno Stato che almeno rispetti le sue stesse leggi. E questo non è certo il caso delle nostre carceri che l’Europa condanna ogni due per tre e che lo stesso Capo dello Stato il 28 luglio scorso ha definito una “prepotente urgenza”. Mentre si parla di decreto svuota carceri l’amnistia sarebbe non soltanto atto di clemenza invocato pure da Wojtyla oltreché di ripristino della legalità costituzionale repubblicana, ma anche e soprattutto un atto finalizzato all’ottenimento di una Giustizia più giusta; a differenza che con l’indulto, con l’amnistia si perderebbe il carico pendente di milioni di processi e vedrebbe cessare l’inesorabile flusso di prescrizioni che viaggia al ritmo di 200.000 all’anno e che qualcuno definisce, quella sì, “amnistia strisciante di classe e di regime”. Poi, dopo la “prepotente urgenza” c’é la non meno prepotente necessità di risanare il bilancio dello Stato. In questo senso, strettamente economico-finanziario, considerato che il debito pubblico è stato direttamente generato (e non creato) dai partiti e dalla politica che non solo hanno disseminato per decenni pensionamenti baby e stipendi d’oro assieme ad auto di blu, ma che, dal ’94 al 2008, hanno letteralmente sottratto dalle casse dello stato oltre 2,2 miliardi di euro a titolo di rimborsi elettorali dopo che i cittadini avevano abolito, con referendum, il finanziamento pubblico dei partiti. Si parla di abolire i costi della politica come se questi fossero causati principalmente dagli stipendi di parlamentari ed eletti a tutti i livelli. Ma non è così: il vero maltolto della partitocrazia, il vero e proprio furto dalle casse dei cittadini è costituito proprio dai rimborsi elettorali che salassano le casse patrie con un prelievo di quasi 500 milioni di euro all’anno. Poi c’è la vicenda delle frequenze del passaggio al digitale regalate e non messe all’asta come pure si potrebbe fare recuperando, stimano i tecnici, da un minimo di 2 sino ad un massimo di 10 miliardi di euro. Si potrebbero abolire, come hanno fatto notare durante la trasmissione “piazza-pulita”, quelle ulteriori spese militari per oltre dieci miliardi di euro evitando di acquistare una manciata di aerei da caccia e sommergibili. Tralasciando i regali fiscali fatti con lo scudo al 5% che, pare, sia un contratto immodificabile, c’è però l’ici (o imu) non chiesta e tutte le altre esenzioni (Ires, ecc.) alla Chiesa cattolica che, sommate al miliardo di euro l’anno percepito con il meccanismo dell’otto per mille, potrebbero aiutare a far quadrare i conti se adeguatamente rimodulate. E invece no, questo governo se pur di tecnici è un governo che è sostenuto da una maggioranza politica e a Berlusconi non fa certo comodo né l’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre con gara regolare né, tanto meno, una patrimoniale vera sui grossi capitali. Per cui la manovra dovrà essere pagata dai soliti noti, pensionati e lavoratori; gli evasori ed i proprietari di grossi capitali possono stare tranquilli e abolire la miseria resterà ancora un sogno ad occhi aperti.

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