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Radicali a congresso. Bonino: “Chi ha bisogno dello Stato di Diritto sono sempre i più deboli. I potenti dello stato di diritto possono anche farne a meno”.

Emma Bonino, a differenza di Marco Pannella che addirittura ha fatto una conferenza stampa per dirlo pubblicamente, non è in polemica con la dirigenza radicele uscente. Il Ministro degli esteri, al XII congresso comincia il suo discorso ricordando le battaglie in Kosovo, e il fatto che lì oggi, proprio il 3 novembre di 20 dopo, si voti: ricorda le battaglie del 1993, del 1999 e del 2005. “Promuovere democrazia e diritti umani” – ricorda Emma Bonino ai suoi compagni – “è un processo lungo e difficoltoso”. Questa cosa, dice, “ci deve ricordare chi siamo, il nostro senso transnazionale”. Poi salta all’attualità. “Serve per cercare di capire i rischi che tutti corriamo nell’area del mediterraneo. La primavera è una parola inadeguata. Risveglio, è la parola che descrive ciò che sta succedendo”. Quel compito che gli è stato assegnato di dialogo con i Paesi del mondo, Emma Bonino riesce a farlo e può farlo perché – dice – “La scuola che ho vissuto con voi mi dà la capacità di leggere quello ciò che succede”. Poi, per Bonino c’è “La fiducia nella legge”. Nelle leggi del nostro Paese e delle leggi internazionali che, sottolinea Bonino, l’ha portata ad essere così determinata come nel caso della Siria, in cui – ricorda – “ho ribadito come per quell’area non ci fosse nessuna possibile soluzione militare. Mi si rimprovera non di non fare ma di essere invisibile. Non ho molta partecipazione alle chiacchiere da caffè dei saloni televisivi ma segnalo che ci sarei andata se mi avessero invitata. Sono virtuosa – dice – per mancanza di tentazioni”.

“Manca una politica coerente di immigrazione e asilo a livello europeo”. Per il Ministro degli Esteri, “Lampedusa è semplicemente la punta di un iceberg” costituito da “milioni di persone in movimento per sfuggire a fame, guerre, repressioni”. Ciò comporta una crescente attività di criminalità organizzate di traffici umani, e non solo umani. “Se questa è la fotografia” e “se viene meno la speranza di un processo politico” questa gente si metterà in movimento. Questi sono problemi che non sono problemi dai singoli stati. È importante che ci si metta a lavorare assieme. Intanto l’operazione mare Nostrum, per evitare che il mediterraneo continui ad essere un cimitero. Per interpretare i fenomeni è necessario avere una bussola, un punto di vista è necessario per dialogare. Il dialogo. Queste cose le ho imparata dopo una lunga storia di vita nel partito radicale. E ho imparato che le riforme sono un processo lungo. E la cocciutaggine per perseguirle, io l’ho imparate qui. Attività faticosa di dialogo e perseveranza, per i detenuti nelle carceri straniere, per i marò in India … ecc.

Poi nel discorso al congresso del Ministro Bonino non manca il passaggio sulla necessaria e urgente riforma della Giustizia. “Con l’alibi di Berlusconi”, dice, “l’amministrazione della giustizia, il suo apparato, si è completamente putrefatto. Da qui la posizione di Marco (Pannella ndr) e da noi tutti condivisa, dell’amnistia per la Repubblica, per far tornare lo Stato nella legalità e la relativa lista Amnistia, Giustizia Libertà”.

“Chi ha bisogno dello Stato di Diritto” – ricorda la Bonino – “sono sempre i più deboli: le donne, immigrati, tossicodipendenti. I potenti dello stato di diritto possono anche farne a meno. Promuovere lo stato di diritto è la nostra ragion d’essere. Questa ragione sociale si rafforza se guardiamo quello che sta succedendo e sempre più deteriora questo Paese. Abbiamo ancora voglia di continuare a fare queste battaglie? Se vogliamo essere speranza, questa speranza deve nascere da qui”.

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Amnistia? No, chi ha sbagliato deve pagare !

di Giuseppe Candido

È questo il bisogno “ruvido” di giustizia, di cui parla oggi Massimo Adinolfi su l’Unità. Pratico, comodo da propagandare sia dalle pagine dei giornali sia nelle aule parlamentari, che si va diffondendo nel Paese ma che porta con sé la triste concezione della pena con mero fine “vendicativo” e perciò assai lontana dalla nostra Costituzione (la più bella del mondo, ma la più disattesa) e dal diritto internazionale. Non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge. Per questo motivo, lo scorso 23 settembre, Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale Nonviolento, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, forti della sentenza pilota “Torregiani e altri” che ha condannato l’Italia ed è divenuta definitiva, hanno inviato ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano ai Giudici e ai direttori delle carceri, il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali.

Dopo il messaggio di Napolitano alle Camere, Marco Pannella che dal 2005 porta avanti questa battaglia, da Potenza coi suoi compagni rilancia ancora una volta la lotta non violenta per l’amnistia con uno sciopero totale della fame e della sete.

Ma sembra invece che solo la parola “amnistia” pronunciata dal Presidente provochi, in alcune forze politiche, gli istinti giustizialisti più reconditi da morale un po’ reazionaria. Per costoro non c’è sovraffollamento delle carceri, non c’è trattamento inumano o tortura che valga quel discorso di Napolitano. Quello che stupisce non è certo la posizione da sempre forcaiola della Lega. Quello che invece stupisce è la posizione del M5S espressa prima ancora che il Presidente inviasse il messaggio alle Camere, dai deputati grillini della Commissione Giustizia e pubblicato lo scorso 2 ottobre dal Tempo col titolo “Basta malapolitica, servono galere a cinque stelle”.

Non sentendomi rappresentato dalla definizione di “malapolitica”, da ex candidato alla Camera per la lista “Amnistia Giustizia Libertà”, ma anche da simpatizzante un po’ grillino, rispondo ai deputati penta-stellati proprio con le parole che Beppe Grillo usò poco tempo addietro: “Marco Pannella” – scriveva sul suo blog nel 2011 – “si sta battendo per una causa giusta, contro le morti in carcere, ogni anno più di 150. Non ci vogliono più carceri,” – sosteneva a furor di blog – “ma meno detenuti”. E aggiungeva: “Va abolita la legge Fini-Giovanardi che criminalizza l’uso della marijuana. I reati amministrativi vanno sanzionati con gli arresti domiciliari e un lavoro di carattere sociale. Inoltre, quando questo sia possibile, gli stranieri, extracomunitari o meno, devono poter scontare la pena nel loro Paese d’origine”.

Oggi invece, quando il suo movimento è in Parlamento e potrebbe fare qualcosa per cessare subito, nei tempi che l’Europa ci impone, quella che è una situazione inumana e degradante, Beppe Grillo tuona: di amnistia non se ne deve neanche parlare. Solo perché, sostiene, potrebbe essere un regalo a Berlusconi. Ma è il Parlamento che dovrebbe decidere su quali reati concedere l’amnistia. Magari partendo proprio da quelli che si vuole depenalizzare perché non destano allarme sociale. Quello di Berlusconi però è davvero un chiodo fisso; non si vuol comprendere o si fa finta di non capire che un provvedimento di amnistia e d’indulto, così come prevede la nostra Costituzione e così come di recente ha ricordato pure il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sono gli unici in grado, da subito, di far rientrare l’Italia nell’ambito della propria legalità costituzionale e del diritto europeo. Ed evitare le pesanti condanne di risarcimento. I Deputati a 5 Stelle sostengono di aver “studiato e approfondito” bene il problema e che che si sarebbero “accorti” che questa “supposta emergenza carceri è stata provocata dalla stessa politica e dalla stessa burocrazia che la doveva risolvere”. Purtroppo però, l’ha spiegato bene anche il Presidente, la loro proposta di ristrutturazione delle patrie galere sarebbe pronta, proprio come loro stessi affermano, solo alla fine del 2015 e perciò ben oltre il tempo ultimo che l’Europa ci ha concesso per uscire dalla strutturale e sistemica violazione dell’articolo 3 della CEDU. E intanto che facciamo? Deroghiamo i diritti umani? Proseguiamo a violare la convenzione? Ce ne infischiamo della nostra Costituzione? Mentre discutiamo i detenuti intanto sono torturati, si suicidano, le violenze in carcere aumentano e aumentano pure i disagi di chi in carcere ci lavora essendo costretto, quotidianamente, a torturate i propri simili. Senza contare che chi esce da queste galere è peggiore di prima, con buona pace del fine rieducativo della pena che dovrebbe tendere al reinserimento sociale.

Lo scorso 8 gennaio l’Italia è stata condannata con una sentenza definita “pilota” dall’Europa per violazioni dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che vieta trattamenti inumani e degradanti, non occasionali ma addirittura “sistematiche e strutturali”. Il 28 maggio 2013, rigettato il ricorso dell’Italia avverso quella condanna, la stessa è divenuta definitiva. L’Italia deve adeguarsi subito entro il 28 maggio 2014 perché dopo, perdurando le condizioni attuali, anche gli altri ricorsi ora pendenti, assieme ai tanti che si potranno produrre, saranno accolti dalla Corte. Quando Marco Pannella chiede l’amnistia per la Repubblica non lo fa solo per “caritatevole compassione” verso chi quei trattamenti inumani e degradanti li subisce; sopratutto lo fa per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Casomai la compassione la si ha, dice Pannella, verso uno Stato di Diritto che smette di essere tale.

Oggi che il Presidente Napolitano, nella sua veste più alta, ha inviato alle Camere il messaggio sulle disumane condizioni delle carceri e sulla condizione della giustizia, l’ottavo reso ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione in tutta la storia repubblicana, sarebbe proprio il caso di valutarlo con molta attenzione; magari con minore enfasi elettorale, perché se è vero che elettoralmente parlando l’amnistia è poco popolare, è vero ancor di più che è dalla vita del Diritto che scaturisce il diritto alla vita. Non viceversa.

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Pannella: “Dalle carceri arrivi la speranza e si formino comitati per l’amnistia e la giustizia”

Invito tutti i torturati nelle carceri, dai detenuti e dai cappellani, agli agenti e ai direttori

Gentile direttore,
sabato 14, autorizzati dal dott. Pagano, vicario capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, siamo potuti entrare nel carcere di Siano, a Catanzaro, per raccogliere le firme sui 12 referendum radicali. Quindi grazie al dott. Pagano e grazie alla dottoressa Paravati, direttrice dell’Istituto di Siano, che ci ha fatto trovare comandante e agenti pronti a far si che i detenuti potessero firmare. Anche a Catanzaro, come nel carcere di Reggio Calabria, di Vibo e di Palmi, le adesioni ai referendum radicali sono state davvero di massa. In sette ore siamo riusciti a far firmare 300 detenuti su tutti i 12 quesiti (3.600 firme) e, in vero, ne sarebbero rimasti altri ottanta per i quali non v’è stato il tempo e speriamo di ritornarci. Loro lo sanno bene cosa si può patire per una giustizia ingiusta che può commettere errori senza pagare scotto e sanno in quali condizioni disastrate e sovraffollate versano le carceri. Tutti quanti, mentre firmavano, mi chiedevano di ringraziare, di salutare, l’On.le Marco Pannella e l’On.le Rita Bernardini. Una manifestazione d’affetto sincero verso l’unico politico e l’unico partito che lottano davvero per loro. Pannella però vorrebbe che dalle carceri arrivasse, assieme alle firme per i referendum, anche la speranza, vorrebbe che i detenuti si facessero “speranza” loro stessi.
“Onore a Platì” – dice ancora una volta – “che c’ha dato il 20%, ma adesso bisogna decidersi a formare i comitati”. Pannella, anche con toni un po’ rimproveranti, chiede ai detenuti delle patrie galere, a partire da quelle calabre, di farsi loro stessi speranza mobilitante e d’attivarsi nel costituire subito quei comitati per l’amnistia, la giustizia giusta e la libertà in tutte le 206 carceri italiane. E chiede al giornalismo un salto di qualità per l’informazione. Mentre del Costa Concordia conosciamo tutto, persino i gradi d’inclinazione raggiunti momento per momento durante la sua messa in asse, dei 3 detenuti morti bei penitenziari di Salerno, Bologna e Avellino avvenuti bei tre giorni del 15, 16 e 17 settembre, non un servizio, non una parola in un trafiletto di qualche giornale. Sono 116 i morti in carcere dall’inizio dell’anno nei penitenziari italiani e 38 di questi sono suicidi accertati. Se in Italia non c’è più la pena di morte, rimane però la morte per pena inumana o per suicidio di liberazione da condizioni degradante ormai accertate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In sciopero della fame da quasi un mese cui aggiunge, a giorni alterni, anche quello totale della sete, Giacinto Pannella, al Secolo Marco, da tre settimane ormai dai microfoni di “Radio Carcere”, la rubrica di Radio Radicale condotta da Riccardo Arena, non fa altro che appellarsi ai detenuti, ai cappellani, agli agenti di polizia penitenziaria e ai direttori affinché si adoperino per costituire “comitati spontanei” per l’amnistia. E anche se aumentano, da 7 della scorsa settimana a 14, le carceri da dove provengono notizie della costituzione di questi comitati, per Pannella il numero è ancora troppo irrilevante. Dopo aver ricordato come anche il dott. Tortorella, segretario nazionale del SiDiPe, il sindacato dei dirigenti penitenziari, abbia aderito ufficialmente alla tre giorni di digiuno degli scorsi 7, 8 e 9 settembre, Marco Pannella ha invitato tutti gli operatori che lavorano dentro le carceri affinché i detenuti abbiano la possibilità di costituirsi in comitati.


Giuseppe Candido

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Pannella rilancia la denuncia del Sappe: Carceri calabre stracolme ma senza provveditore regionale

Paradossale, nella terra di ‘ndrangheta in cui le carceri sono stracolme anche di molti affiliati alle cosche, non soltanto carenze nell’organico della polizia penitenziaria ma, addirittura manca il provveditore regionale da 4 anni. Mentre tutti quanti sono impegnati a discutere della decadenza o meno di Berlusconi da Senatore, dei veri problemi della giustizia e delle carceri non ci si preoccupa minimamente. Si trascura da anni una situazione che è gravissima. A denunciarla è il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, che in Calabria è rappresentata da Donato Capece. A dare l’allarme però non è il TG regionale, ma Marco Pannella durante la conversazione settimanale con Valter Vecellio che legge una nota stampa dello stesso Capece.

Oggi la ‘ndrangheta è considerata e riconosciuta come la più pericolosa organizzazione criminale del mondo, con numerose ramificazioni all’estero, eppure nella regione in cui è nata, sviluppata e ramificata, la Calabria, nelle cui carceri molti delinquenti sono affiliati ad essa, il ministero della Giustizia e il Dap in quattro anni non hanno ancora nominato il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, che deve coordinare le politiche della sicurezza nelle 13 carceri calabresi nelle quali oggi sono detenuti più di 2.650 persone”. A denunciarlo è Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), che spiega: ”Credo che il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, debba porre la questione penitenziaria calabra tra le priorità d’intervento della sua agenda”. ”Nelle carceri calabresi è sempre più emergenza -prosegue il leader del Sappe- da quattro anni manca un provveditore regionale. L’amministrazione penitenziaria, dopo la morte di Paolo Quattrone, non e’ più riuscita a nominare un provveditore in pianta stabile. Continua ad esserci un provveditore in missione, per pochi giorni alla settimana”. ”A Catanzaro -fa notare Capece- c’e’ un nuovo padiglione che non può essere aperto per carenza di personale; nello stesso istituto c’e’ un centro clinico che non può essere utilizzato, sempre per mancanza di personale”. ”A Paola -prosegue il sindacalista- e’ stato aperto un nuovo padiglione detentivo, senza un adeguato incremento di organico. La situazione peggiora sempre di più a Reggio Calabria, soprattutto dopo l’apertura del nuovo istituto di Arghillà, dove, per 150 detenuti sono stati assegnati circa 40 unita’ di personale, dei quali dieci non hanno mai raggiunto la sede. Pertanto, la direzione del vecchio istituto e’ stata costretta ad inviare 28 unita’, depauperando l’organico di una struttura già in gravi difficoltà, a causa, proprio, della carenza di personale e del sovraffollamento che colpisce anche gli istituti di Locri e di Palmi”. ”L’istituto di Crotone e’ sempre parzialmente chiuso – sottolinea ancora Capece – a causa dei lavori di ristrutturazione. A Rossano ci sono 317 detenuti, dei quali 140 appartenenti al circuito alta sicurezza. Bisogna ricordare che in Calabria ci sono circa 900 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che necessitano di maggiori controlli e molti di questi fanno quotidianamente la spola con le aule di giustizia, per i tanti processi ai quali sono sottoposti”. “A Vibo Valentia, poi – denuncia ancora il Sappe – mancano più di 30 agenti dalla pianta organica attuale del reparto. Il Sappe auspica pertanto un interessamento diretto del Guardasigilli sulle criticità penitenziarie calabresi, definendo la nomina del provveditore regionale penitenziario e favorendo – conclude la nota stampa di Capece – la revisione delle piante organiche della polizia penitenziaria in Calabria in relazione alle esigenze attuali”.

Una situazione di illegalità flagrante contro cui Marco Pannella digiuna di cibi solidi (e liquidi a giorni alterni) per proporre l’amnistia: l’unico provvedimento, strutturale perché in grado, subito, “di far uscire lo Stato dalla sua flagranza criminale contro i diritti umani e contro lo stato di Diritto”. Il riferimento esplicito è alla recente condanna dell’Europa per sistematica violazione dei diritti umani nelle nostre patrie galere. Ma come della situazione delle carceri calabresi, dell’assenza del provveditore regionale, i cittadini non ne sanno nulla anche di Marco Pannella in sciopero della fame per l’amnistia che pure i ministri Cancellieri e Mauro considerano provvedimento necessario e strutturale.

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Senza informazione non c’è Democrazia

di Giuseppe Candido

PRTNT_logoQualcuno mi racconta che i Radicali sono ormai “una forza politica marginale” e, per questo, alle ultime elezioni politiche hanno avuto il risultato che hanno avuto: un misero 0,2 per cento. Familiari, amici, in realtà me lo ripetono da qualche anno, sin dalle elezioni regionali del 2010, quando in Calabria arrivammo allo 0,5. A volte, scoraggiato, sono quasi stato tentato di dar loro ragione. Tuttavia c’è un “però” degno di nota che forse aiuta tutti a capire il perché non solo della debacle del Partito Radicale in cui milito da oltre dodici anni ma anche della situazione dell’illegalità italiana sotto molti profili.

Siamo condannati dall’Europa da trent’anni al ritmo di 200 sentenze all’anno per l’irragionevole durata dei processi e, per le carceri, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo lo scorso 8 gennaio ci ha condannato a risarcire 7 detenuti per una detenzione che vìola i diritti umani con trattamenti inumani e degradanti che scavalcano la nostra stessa legge fondamentale: la Costituzione. Poi c’è l’illegalità italiana, anche questa sistemica, sulla situazione della gestione dei rifiuti che ci regala sanzioni annue da parte europea da capogiro. E c’è l’illegalità di una evasione fiscale diffusa associata a una corruzione altrettanto sistemica. Eppure, tra queste e altre situazioni d’illegalità italiana, ce ne una, altrettanto importante per un Paese democratico che forse consente di spiegare anche l’ultimo risultato elettorale di questa forza politica che però esiste da oltre cinquant’anni senza mai essere stata coinvolta in scandali e ruberie di alcun tipo.

È l’illegalità del sistema delle comunicazioni ormai sancita definitivamente in “Nome del Popolo italiano” da sentenze anche queste passate in giudicato, ma che quasi nessuno racconta. Dal 2010 noi Radicali veniamo sistematicamente discriminati dalla Rai illegalmente. Dopo una battaglia legale durata 3 anni, lo scorso 2 maggio 2013 il Tar del Lazio, con la sentenza n°4539, ha ordinato perentoriamente all’Agcom di adempiere entro 30 giorni, altrimenti nominerà Commissario. Secondo la sentenza l’Agcom, l’autorità che dovrebbe garantire la pluralità nell’informazione radiotelevisiva con la quale principalmente si forma il consenso politico, risulta aver eluso una precedente sentenza del novembre 2011 con cui lo stesso giudice amministrativo aveva annullato la delibera di archiviazione dell’esposto radicale. Nel dare ragione all’associazione Lista Marco Pannella, difesa dall’avvocato Giuliano Fonderico, e il cui leader è in sciopero della fame e della sete anche per chiedere che venga rispettato il diritto dei cittadini di conoscere le 12 proposte referendarie lanciate lo scorso 16 giugno a Napoli, il Tar ha sottolineato i vizi alla base del provvedimento con cui l’Agcom aveva archiviato l’esposto radicale e, di fatto, “legalizzato” la condotta della Rai, la quale aveva negato qualsiasi presenza dei Radicali nelle trasmissioni Ballaro’, Porta a Porta e Annozero, marginalizzandoli anche nei telegiornali.

Nel provvedimento ormai definitivo si legge che “Dall’esame della Sentenza n.8064/11 emerge che il Tribunale ha ritenuto la legittimazione al ricorso in capo all’Associazione Politica Nazionale Lista Marco Pannella che può “essere ricompresa tra i <soggetti politici> di cui all’art.7, comma 2, lett.c), del d. lgs. n. 177/05 e tra i <gruppi rappresentati in Parlamento> di cui all’art.45, comma 2, lett. d) del d. lgs. citato in riferimento ai quali deve attivarsi il potere di vigilanza dell’Autorità intimata nei sensi evidenziati nel presente contenzioso”. E ancora: Il TAR “Ha ritenuto che in relazione alla considerazione del tempo di antenna sui tre Tg, non è stata fornita alcuna motivazione in ordine alle modalità con cui esponenti politici sono stati considerati tout court equiparabili agli altri soggetti politici nei confronti dei quali era stato effettuato raffronto privi di rappresentanti presenti nel Parlamento nazionale d’europeo considerata la peculiare situazione dell’associazione nazionale lista Marco Pannella, sopra Richiamata anche al fine di ritenere la legittimazione attiva della promozione del presente gravame; In quest’ottica l’autorità avrebbe dovuto considerare la fattispecie peculiare e motivare con argomentazioni idonee in ordine alla conclusione che accomunava l’associazione in questione con altri soggetti politici privi di accordi di tale tipo e quindi effettivamente privi di esponenti eletti nel Parlamento nazionale ed europeo, Al fine di valutare situazioni analoghe di talchè il collegio ha rilevato La carenza di motivazione in ordine all’indicazione dei criteri seguiti dall’autorità nel comparare situazioni invece indubbiamente diverse per ragioni oggettive nel caso di specie attestate dal su ricordato accordo politico con il partito democratico”. Porta a Porta, Ballarò e Annozero, hanno fatto un po’ come hanno voluto proprio autorizzate dall’agcom, auto determinandosi a non accogliere le segnalazioni di esponenti radicali per la loro assenza.

In buona sostanza, il TAR Lazio, ha censurato la motivazione in base alla quale l’Agcom ha equiparato i Radicali a soggetti politici privi di rappresentanza parlamentare nonostante, dal 2008, avessero 6 deputati e 3 senatori, senza peraltro considerare che “una serie di partiti realmente privi di rappresentanza parlamentare fossero stati comunque molto presenti nei programmi Rai”, come ad esempio gli esponenti di SEL, il cui leader stentava a dividersi tra i vari programmi politici d’approfondimento.

Ma la violazione del diritto si perpetua: come nelle carceri i trattamenti inumani e degradanti sono ormai “sistemici” e si perpetuano anche nei confronti degli operatori che in quei luoghi lavorano, nel campo dell’informazione l’illegalità del sistema radiotelevisivo italiano prosegue e, anche sui referendum è negata ai cittadini l’informazione. Oggi, Marco Pannella, è in sciopero della fame e della sete per chiedere che sui temi dei dodici referendum, e su quelli della giustizia, siano dati adeguati spazi di informazione. Un digiuno di verità cui si oppone con la nonviolenza un digiuno dei cibi solidi e liquidi. Perché ad essere violati – ricordiamolo per non apparire velleitari – non sono solo i diritti dei soggetti politici discriminati. Ad essere violato è, in primo luogo, il diritto dei cittadini di essere informati e quindi di poter conoscere per deliberare.

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5 Referendum contro il sopruso cementato dal silenzio

di Giuseppe Candido

In questi giorni se n’è parlato a seguito delle dichiarazioni di Berlusconi al comizio di Brescia. Ma anche oggi, proprio come trent’anni fa nel momento del suo arresto, il “caso Tortora” dovrebbe essere, soprattutto, “simbolo e bandiera di un riscatto che non può più tardare”. Domani, martedì 28 maggio 2013, a venticinque anni dalla morte e trenta dall’arresto di Enzo Tortora, una delegazione del “Comitato promotore dei referendum” presieduto da Marco Pannella con il coinvolgimento formale anche della “Lista Pannella”, depositerà presso la Corte di Cassazione altri cinque quesiti referendari “per la giustizia giusta”: Responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere, custodia cautelare, incarichi extragiudiziali, progressione delle carriere. (altri 5 sono stati presentati nei giorni scorsi su legalizzazione droghe, immigrazione clandestina, 8×1000, finanziamento partiti e divorzio breve)

Come scrisse lo stesso presentatore nell’articolo del 14 marzo del 1984 titolato “Occorreva un Tortora”, anche oggi, quotidianamente, “sentiamo ogni giorno testimonianze agghiaccianti sui soprusi, le infamie, le illegalità che quotidianamente vengono compiute”. E anche oggi, come venticinque anni fa per colpa di una politica impegnata in tutt’altre riforme ad personam, “l’Italia è tutto un’immenso “Muro Lucano”, che”, scriveva Tortora, “eleggerei davvero a capitale di questa Repubblica fondata non più sul lavoro, ma sul sopruso, cementato nel silenzio”. Anche oggi il silenzio dei media che avvolge i nuclei di Shoah attivi presenti nelle carceri del nostro Paese è davvero assordante! Tortora aveva compreso, in quei giorni che da detenuto era candidato al Parlamento europeo, “come persino la verità, quando si tinge di parola “radicale”, diventi sospetta, non più vera, o meno di prima, e oggetto di attacchi velenosi, irresponsabili, abbietti”. Quant’attualità in quelle parole. “Sto attraversando l’intera programmazione di un’Italia incredibile e invivibile, che mai come in questo momento, proprio perché l’ho vista, e la vedo vivere, sento il bisogno, sento l’urgenza di contribuire a cambiare. Cambiare nel profondo, cambiare nelle sue strutture marcite e putrescenti: cambiarla non “contro”, ma per amore della democrazia”. E si domandava se, proprio a questa nostra Repubblica, “occorreva un uomo chiamato Tortora, esibito in catene come un trofeo di caccia, in un osceno carosello televisivo, per destare il Ministro Martinazzoli da un sonno lungo quanto quello di Aligi”. La Giustizia italiana e la sua appendice rappresentata da carceri sovraffollate in maniera inumana e degradante continuano a mostrasi vicende sempre più Kafkiane e dimenticate: “A fare il punto sul problema della giustizia in Italia, mi pare che il caso Tortora si configuri come esemplare”. Scriveva così Leonardo Sciascia aggiungendo, tanto per esser chiari, che usava “il caso Tortora” soltanto per “abbreviazione”. “Potrei anche dire: il caso di numerosi arrestati, insieme a Tortora perché omonimi, di persone indicate dai “pentiti” come camorristi – che mi pare caso, qualitativamente e quantitativamente, anche più grave. Voglio dire che non è soltanto quello della carcerazione preventiva il nodo che viene al pettine, ma anche quello dell’affidabilità conferita ai partiti e del mandato di cattura facile, dello strapotere della magistratura inquirente, del suo essere al riparo da responsabilità”. Ancora oggi ci sono ingiustizie che potrebbero essere vedute da chi queste le commette e anche oggi, come allora sosteneva lo scrittore di Racalmuto, “Un argine bisogna metterlo, un rimedio bisogna trovarlo: a fronte della giungla giudiziaria”. Anche oggi, come allora, il “1984 di Orwell può”, in questo nostro Stato che sembra aver smesso di essere Stato di Diritto, “assumere specie giudiziaria”. Ce ne sono non soltanto “i presentimenti” e “gli avvisi”: oggi ci sono anche le condanne europee della Corte dei Diritti dell’Uomo che mettono l’Italia in condizioni di essere tecnicamente criminale contro i suoi stessi cittadini. E, se non si pone rimedio, “questo Paese sarà veramente finito”. “Il caso Tortora” per Sciascia era allora “l’ennesima occasione per ribadire la gravità della situazione” in cui versava l’amministrazione della giustizia in Italia. “Il tutto”, scriveva Sciascia, “porta a riflettere sui giudici e sui loro errori: bisognerebbe far fare ad ogni magistrato, appena vinto il concorso, almeno tre giorni di carcere o, meno utopisticamente, “caricarli di responsabilità” (civile) senza togliergli l’indipendenza”. Se la politica non cambia, allora cambiamo noi. Ecco perché servono quei 5 referendum per una Giustizia Giusta: ancora oggi “c’è la manetta facile in un paese dove tutto è diventato facile, tranne l’onestà, tranne il carattere”.

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Paradiso IOR, la postfazione di Marco Pannella al libro inchiesta di Maurizio Turco

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“Paradiso Ior” di Maurizio Turco, Carlo Pontesilli e Gabriele Di Battista (Castelvecchi editore, 382 pagine, 18,50 euro). Un’inchiesta condotta attraverso fatti, misfatti e misteri della Banca Vaticana…

di Marco Pannella (*)

Maurizio, maledizione! Sono ore che cerco di buttar giù qualche riga che abbia un senso, un significato, che possa servire, utilizzabile. Sono ore che ti affacci nella stanza dove lavoriamo con altri compagni, non dici nulla e quella tua espressione stampata sul viso dice tutto, dei tempi che urgono, l’editore sta già facendo degli strappi che mai ad altri avrebbe concesso, che deve mandare in stampa questo vostro lavoro che m’appare davvero comunque di straordinario valore ed anche efficacia, e che – temo – proprio per questo fatto, come tutte le altre cose radicali, sarebbe in partenza destinato a essere ignorato, nascosto, materiale pericoloso, crea conoscenza, che – come i leggendari “men in black” – temono diventi sapere comune: chi sa, chi conosce, ragiona, tira le somme del due + due, ne ricava, direbbe Leonardo Sciascia, il “giusto senso”…

Vincino, caricatura di Maurizio Turco
Maurizio Turco

Ecco: questo vostro lavoro è un lavoro di “giusto senso”. Vi basta? No? Troppo breve, troppo poco? Ma che posso dire, cosa mai posso dire che già non abbia detto, tentato di dire (o più propriamente mi si sia impedito di dire) in questo quasi secolo di “mia” vita?

I compagni più giovani, ma anche gli amici che credono di conoscermi più a fondo, si dicono stupiti su questo attuale, tornare al mio insistere su “Pietro” e “Cesare”, come evoco da tempo il mondo cattolico che storicamente stagnava attorno allo Stato Vaticano e all’altro Stato, quel mondo, insomma, che fu concepito e nacque, ma di rado crebbe, come di laica religiosità. Mi accorgo che mi guardano come si guarda il nonno che in un angolo della cucina farfuglia le sue manie: sia quando affermo oggi che Giorgio Napolitano andrebbe processato, magari per poi assolverlo, per attentato alla Costituzione… Gridano o dicono a mezza voce che i miei sono sempre più sproloqui che una piccola setta di semi-plagiati o di interessati (di chissà quale interesse) spaccia per brillanti ragionamenti. Naturalmente hanno le loro ragioni e nessuno per ora può escludere che abbiano ragione; anzi, per sgomberare subito il campo, dico che hanno senz’altro ragione, sono sempre più logorroico, mi perdo dietro i miei discorsi, sono monomaniaco…

Lasciamoli perdere, dunque, i miei ellittici e zoppicanti ragionamenti, proviamo a occuparci di cose “serie”. Un compagno cui piace nel suo poco tempo libero immergersi nelle carte ingiallite a cercare brandelli di testi che abbiano ancora un significato, che pur pensati e scritti oggi per l’oggi, abbiano un senso anche “a venire”, l’altro giorno, quando ancora non mi tormentavi per avere queste due paginette che non vengono fuori, mi ha allungato la fotocopia di un articolo che in parte riproduco:

“…Il dato è un altro: oggi non possiamo assolutamente pensare che la battaglia laica possa vivere nella stratosfera della filosofia politica individuale. Una battaglia è laica se è concretamente amministrata giorno dopo giorno e se nega al politico la proprietà sacrale della verità politica, rifiutando alla classe dirigente costituita nello Stato, come ai dignitari costituiti nella Chiesa, la tutela della libertà a cui nessuno ha rinunciato…”. 

Molto bello, molto attuale. Ho subito chiesto a questo amico chi e quando aveva scritto queste cose.

Non lo so, è anonimo”, mi ha risposto. “Dalla data del ritaglio si ricava che è roba che risale a più di quarant’anni fa”. L’infame sorrideva, e si capiva che invece sapeva bene chi era il suo autore, e che mi stava tendendo un tranello. E infatti…Guarda quest’altra fotocopia”, ha poi aggiunto, allungandomi un altro foglietto.

Leggo a voce alta:

“…La libertà non è il patrimonio di una classe che distribuisce i beni senza tener conto della realtà delle nuove indicazioni, considerando ogni proposta simile al bracconiere che invade la riserva di caccia. La lotta per la libertà deve essere una lotta di popolo, del popolo che ha riscoperto il volto di Pietro e il volto di Cesare, di gente semplice che parte da una rivendicazione della propria responsabilità, che esprime giudizi politici laici, giudizi sui fatti, non sulle persone, senza pessimismo, senza inimicizia. La verità non va riscoperta sui libri e nell’ideologia, ma in concreto, attraverso il dialogo…”.

Sorrideva, con un’aria che forse voleva essere sorniona, e invece lo rendeva ebete: “C’è chi ti ha preceduto, con questa storia di Pietro e di Cesare… e anche la gente: tu la chiami ‘comune’ contrapponendola alla ‘normale’; lui, l’autore di queste riflessioni, la chiama ‘semplice’, ma se non è zuppa è pan bagnato…”. Decido di stare al suo gioco: “Interessante. Chi ha detto o scritto queste cose ha un’aria di casa…”. Lo credo bene”, fa lui, che forse ha capito che ho capito; o forse, semplicemente, si è stancato nel vedere che non gli do molta soddisfazione. “Ti ho appena dato parte del tuo intervento al convegno “Concordato e libertà civili” al teatro AMGA di Genova del dicembre 1972…Sei noioso, Pannella, ripetitivo: dici sempre le stesse cose”, aggiunge, col tono di chi scherza, ma ridendo dice anche una cosa vera. E poi: Ascolta come concludevi:

‘…Bisogna avere la capacità di protestare, di contestare e di contrastare i volti bruti da bestia del potere, si tratti di quello di Cesare o di Pietro, certi di portare avanti la speranza e la forza della verità, non per distruggere nessuno, ma per poter essere diversi. Solo un po’ più felici, un po’ più responsabili e un po’ più liberi per noi e, soprattutto, per gli altri…”.

Però è pur vero: dico, in fondo, sempre le stesse cose da sempre. E come potrebbe essere altrimenti? Sono sessant’anni che, con le sue varie declinazioni, siamo sempre più duramente sgovernati da un Regime apparentemente multiforme, camaleontico, come Proteo assume di volta in volta mille volti, anche accattivanti, ma nell’essenza sempre uguale a se stesso; e sono più di sessant’anni che la nostra lotta, il nostro dialogo”, il nostro Satyagraha consiste nel chiedere, nell’esigere e pretendere che sia rispettata la Legge, quale che sia, a cominciare da quella che “loro” stessi si sono dati, e “loro” violano. Perché siamo contro le mille piazzali Loreto che pur tanti – in cuor loro, e non solo – invocano e giudicano auspicabili, necessarie; perché noi non abbiamo – né siamo – nemici, ma dialoganti innanzitutto con gli “avversari”, e anche con loro pensiamo sia doveroso cercare di comprendere, di compatire. Come tali quindi ci sono preziosi, anche – perfino! – con loro possiamo e dobbiamo tentare di fare quello che serve, quello che è utile e giusto…

Ma tu giustamente mi chiedi di IOR, e io invece divago… Potrei cavarmela citando quel versetto del Vangelo di Matteo che campeggiò in quel bellissimo maxi fotomontaggio realizzato da Oliviero Toscani, che mostrava un corteo di ragazzi monaci tibetani, avvolti nelle loro semplici tuniche e a piedi scalzi; e, al centro, un Joseph Ratzinger di allora appena proclamato Benedetto XVI riccamente bardato, e ai piedi le famose babbucce di Prada, con i suoi anelli e diademi… Riportando le parole del Cristo, il passo di Matteo dice: Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone…”.

E’ sempre Matteo a ricordare quel passaggio dove il Nazzareno esorta a non affannarsi troppo, nella vita:

“…Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai… E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro…”.

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Marco Pannela (Teramo, 2 maggio 1930) è un politico e giornalista italiano, che si definisce radicale, socialista, liberale, federalista europeo, anticlericale, antiproibizionista, nonviolento, e gandhiano. Leader nonviolento del Partito Radicale Nonviolento Transpartito Transanzionale

Abbiamo ora il nuovo Papa Francesco venuto da “quasi la fine del mondo”, che con le sue parole semplici e “comuni”, ha subito saputo conquistare l’attenzione e la simpatia di tutti; questo Papa – gesuita, ricordiamolo – che ha voluto chiamarsi, ed è già questo un evento, un progetto, “parola” come il poverello d’Assisi, sono certo che altre “sorprese” riserverà a tanti, anche scettici; ora confido che prima o poi si avrà anche una Chiara perché i tempi stanno maturando…

Ve lo ricordate, ancora don Luigi Verzè, il “sacerdote-manager” come un po’ tutti lo definivano, ed era definizione che non amava? Su di lui si è scritto e detto molto: le inchieste, le amicizie spericolate e spesso imbarazzanti, il suicidio del suo principale collaboratore, un settimanale – come s’usa dire – “familiare” qualche giorno fa ha fatto uno scoop, mostrandolo mentre faceva il bagno in una piscina in Brasile assieme a una bella signora…

Insomma di tutto. O meglio, quasi. Ma nessuno mi pare, che ricordi un passaggio contenuto in un suo libro del 2004, “Pelle per pelle”, realizzato con Giorgio Gandola, e pubblicato da Mondadori: editore non certo di nicchia, e a cui non mancano possibilità di segnalare quello che pubblica. Eppure le recensioni a “Pelle per pelle” si contano sulle dita della mano. A parte le insistenti segnalazioni che facemmo da Radio radicale. Curioso? Non tanto, se si tiene conto che in quel libro don Verzè sillaba cose che alle gerarchie vaticane dell’epoca non devono certo essere risultate gradite. Per esempio, i “Dieci pensieri per il prossimo Papa”, immaginati e scritti quando Karol Wojtyla stava raggiungendo “il padre” e Joseph Ratzinger ancora non lo aveva sostituito. Il “settimo pensiero” è il manifesto di una rivoluzione:

Il nuovo Papa è universalmente atteso per rivedere coraggiosamente, da padre universale, le decisioni tradizionali sugli argomenti: a) celibato del clero cattolico latino; b) Attribuzione di poteri ministeriali ai laici “probati”, donne comprese; c) sacramenti ai divorziati; d) uso di anticoncezionali; e) procreazione assistita; f) non si può sonnecchiare accontentandosi di divieti contro una scienza biologica che irresistibilmente corre. Il guarire è un sacramento imperativo-cristologico; g) coinvolgimento dei fedeli nelle scelte gerarchiche, episcopato compreso”.

Chissà che Papa Francesco non faccia quello che i suoi predecessori non hanno potuto, o saputo, o voluto fare, nella direzione indicata da don Verzé. Chissà… E sempre in omaggio alla mia logorrea – ma l’hai voluta tu, Maurizio, questa prefazione”, tu mi hai istigato… – il pensiero mi corre a un altro libro, ancor meno recensito, e non meno interessante: “Siamo tutti nella stessa barca” (Editrice San Raffaele). E’ un libro del 2009, un “colloquio” di una novantina di pagine tra due personaggi che all’apparenza si direbbero agli antipodi: l’arcivescovo di Milano, cardinale emerito Carlo Maria Martini, e ancora don Verzè. A un certo punto don Verzè si domanda: “Ma Gesù, mi chiedo, andrebbe con i suoi sandali e il suo mantello anche in piazza San Pietro?”, e già il solo fatto che si ponga l’interrogativo, un interrogativo di sapore retorico, la dice lunga. Ne ricava, dal cardinale Martini una risposta franca e netta:

…Credo che andrebbe con un vestito che faccia un po’… un po’ di scalpore e produca un certo disagio nella gente… Agire controcorrente, questa sarebbe l’opera di Cristo. E senza dubbio troverebbe da ridire anche sui figli della Chiesa, perché non abbiamo creduto abbastanza e non abbiamo amato abbastanza…”.

Ma c’è anche altro.

Non le sembra sconveniente che il Santo Padre sia universalmente considerato quale capo di Stato? Il Papa per me è un grande papà; grande perché universalmente riconosciuto come tale, forte del genuino mandato di Cristo, pastore di tutte le pecore, soprattutto di quelle perdute… Il papà, senza vesti sontuose, scende tra i suoi figli, ricorda, ammonisce, predice, dona, salva, perché in sé ha il Cristo che vive nel Padre, Dio di ogni uomo…”. Non pago, insiste: “Non crede anche Lei che un Gandhi nudo sia più eloquente di un Papa mitrato? Così come un Francesco stigmatizzato fa sempre storia per tutti gli esseri umani di tutte le epoche e di tutte le fedi…”.

In Brasile don Verzè non andava solo a fare il bagno in piscina:

Ricordo che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti. Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita… La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere alla quale tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali… Penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo al celibato, perché temo che per molti il celibato sia una finzione”.

Tutto questo, Maurizio, c’entra con quello che mi chiedi, con la pompa del Vaticano, lo IOR e i suoi mille scandali, quel Paul Marcinkus colpevole di mille colpe e tuttavia impunito e protetto, i riciclaggi e le ignobili speculazioni che denunci così efficacemente da sempre, fin da quando eri parlamentare europeo, guadagnandoti stima e considerazione anche da coloro che pregiudizialmente ti avversavano, perché si rendevano poi conto che dietro ogni tua affermazione, ogni tuo gesto, ogni tua iniziativa politica c’era sempre un paziente, metodico, preciso lavoro di ricerca della verità, scavo, documentazione, raccolta di cifre, fatti, testimonianze? Non lo so, e forse neppure importa molto saperlo. Ti dico quel che mi preme.

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Marco Pannella

Perché sì, accanto alla mia “mania” e attenzione a quel che si muove e si agita nel mondo cattolico e dei credenti; accanto alle mie ricorrenti evocazioni di Lord Acton e John Henry Newman – non foss’altro perché non se ne smarrisca il ricordo -, e con loro don Romolo Murri, o – ancor più – “I quattro del Gesù”, il coraggioso, trepido bel libro di Giulio Andreotti che racconta la storia, tuttora misconosciuta, più che del modernismo, della storia cattolica italiana, attraverso quattro suoi protagonisti, che da seminaristi avevano l’abitudine, terminati i loro studi, verso le cinque del pomeriggio, di passeggiare e discutere tra loro (può dirsi: profeticamente?) in piena libera gravità: sacerdoti scomodi come Ernesto Buonaiuti e Angelo Roncalli, il primo scomunicato, l’altro che assurge a Papa col nome di Giovanni XXIII; e con loro don Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, anche lui perseguitato dalla curia romana senza però arrivare alla scomunica; e don Alfonso Manaresi, messo sotto pressione dall’Inquisizione, che preferì abbandonare lo stato sacerdotale e così proseguire con rigore e onestà intellettuale e di fede, i suoi studi storici.

Accanto a questo mondo c’è sicuramente una nuova Porta Pia da attraversare: quella economico-finanziaria dell’unico Stato al mondo che goda di tutte le impunità possibili, immaginabili ed inimmaginabili lo Stato-Città del Vaticano: ma in ciò, a rappresentare e servire la tentazione (“simoniaca”) di Simon Mago, determinante, lo Stato, il “Cesare” italiano partitocratico, delle fazioni, per un ventennio ”fascista”, un sessantennio “antifascista”, metamorfosi dello stesso male, sua “ri-vincita”. Oggi, lo ripeto, oggi è da Pietro, dalla sua sponda destra del Tevere, da quella di San Pietro, e non da quella opposta, quirinalizia, come ai tempi delle catacombe, oggi come più di allora, da laici (spiritualisti, personalisti, di religiosità senza frontiere e senza paure, aggiungo, ad esempio contemporanei capitiniana e più ancora crociana). Siamo insomma consapevoli che “Cesare” è di nuovo impazzito, un po’ ovunque nel mondo di oggi: con i quasi 200 suoi “Stati” dell’Onu. Così come le grandi tragedie, quella greca e shakespeariana, e quelle novecentesche, ci ammonirono e ci insegnano. Oggi danno energia nuova alla attuale specie umana, i profetici annunci, via via, ora del nuovo Vescovo di Roma, ora del Tibetano Dalai Lama di Dharamsala. Quindi sappiamo e dobbiamo ben sapere come siano cose vive, al di là dei singoli e gravi episodi, lo scandalo costituito dallo IOR, la colossale opera di inquinamento e riciclaggio di denaro sporco; e per andare a vicende il cui ricordo sbiadisce: la morte (certa) di Roberto Calvi, con i suoi complici, e probabili assassini impuniti, e con il cardinale Marcinkus salvato dall’articolo 11 del Concordato. E certo non ha una spiegazione o una motivazione di carattere religioso la sottrazione delle isolette Turks and Caicos e Cayman alle rispettive Diocesi di Nassau nelle Bahamas, e di Kingston in Giamaica, per proclamarle “Missio sui iuris”. Non a caso delle prime venne proclamato Superiore, il Cardinale americano Theodore Edgar McCarrick, mentre delle seconde il cardinale americano di origine polacca Adam Maida, membro della Commissione di Vigilanza dello IOR. McCarrick era amico di Marcinkus; Maida di Papa Wojtila; Turks and Caicos e Cayman, come sanno anche i neonati, sono centri finanziari offshore dove convergono capitali, diciamo averi, di ogni tipo e provenienza. 

Certo, Maurizio, fai bene, facciamo bene, a ricordare testardi che lo Stato-Città del Vaticano non ha legge antiriciclaggio; che l’unica banca operante nello Stato-Città del Vaticano, lo IOR, è anche la Banca centrale, e di conseguenza il campo d’applicazione delle normali misure antiriciclaggio che includono il sistema finanziario è limitato; che il sistema bancario, economico e finanziario dello Stato-Città del Vaticano non è mai stato oggetto di verifiche da parte di organismi internazionali; che lo IOR partecipa indirettamente, attraverso due grosse banche, una tedesca e una italiana, al sistema di pagamento dell’area euro, denominato Target, e solo le banche che partecipano direttamente al sistema Target sono sottoposte ai controlli delle autorità bancarie; che la “Convenzione monetaria tra la Repubblica italiana, per conto della Comunità europea, e lo Stato della Città del Vaticano, e per esso la Santa Sede”, autorizza lo Stato della Città del Vaticano ad emettere euro; che in questa convenzione lo “Stato della Città del Vaticano” è rappresentato dalla “Santa Sede” in virtù dell’articolo 3 del Trattato del Laterano; che questo trattato assicura agli enti centrali della Chiesa cattolica l’esenzione da “ogni ingerenza da parte dello Stato italiano”… 

Ma queste e altre cose, tu le conosci e le sai raccontare, denunciare, molto meglio di me, e lo fai da sempre; e te ne do, te ne diamo, piena, totale fiducia. E per questo tuo paziente, certosino lavoro, che spesso realizzi nell’ombra, a volte regalandolo agli altri – penso al libro “La questua” di Curzio Maltese (Feltrinelli): quanto c’è di tuo e di Carlo che ha fatto suo, col vostro consenso? Tanto, credo, e comunque l’essenziale… Ecco, lo vedi, mi son perso ancora.

La faccio finita, torno alle mie altre questioncelle legate alla barbarie imperante da noi: ad esempio la giustizia italiana allo sfascio, che potrà essere sanata solo con le indispensabili riforme strutturali, la prima delle quali è l’Amnistia, che sgomberi le scrivanie dei magistrati di milioni di fascicoli che ne seppelliscono capacità e funzioni. Vorrei, dovremmo occuparci del Diritto alle verità, al sapere, che dobbiamo incardinare alle Nazioni Unite, con il collaudato sistema che ci ha già consentito successi come l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale, la moratoria delle esecuzioni capitali e quella contro le Mutilazioni Genitali Femminili. C’è, poi, l’altro mio e nostro chiodo fisso, la verità sull’invasione dell’Irak e l’assassinio del Saddam, perché convertito all’esilio, alla pace, alla nonviolenza. Guerra fortissimamente voluta da George W.Bush e Tony Blair, che devono essere messi in stato di accusa, perché hanno mentito ai loro popoli e al mondo intero, i principali responsabili di centinaia di migliaia di loro vittime, di morti. 

Per quanto riguarda il suo fronte italiano, il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito – Nonviolent Radical Party Transnational Transparty – ci sono il movimento da costruire attorno a quello straordinario patrimonio politico e umano che sono state le liste “Amnistia, Giustizia e Libertà”; l’aiuto che dobbiamo assicurare e garantire anche agli sciagurati che ci sgovernano (i referendum per i quali chissà se riusciremo a raccogliere in tempo utile le firme); l’iniziativa attorno ad Emma Bonino che tutti i sondaggi demoscopici indicano da quindici anni come la candidata ideale del popolo italiano per il Quirinale …

Maurizio, queste sono le mie, le nostre urgenze; e tra queste il tuo, vostro splendido lavoro… E io che pigio stancamente sui tasti di una logora macchina da scrivere queste note, che chissà se…

Buon lavoro a tutti, compagne e compagni… come si dice? Fai quel che devi, accada quel che può

(*) Postfazione di Marco Pannella pubblicata nel volume

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Le carceri in Calabria ed il caso Quintieri

di Francesco Cirillo

 

Carcere a Castrovillari (CS)
Carcere a Castrovillari (CS)

Se c’è un luogo, anzi un non-luogo, del quale non si parla, questo è il carcere. La dimensione carcere, non esiste per chi sta fuori da esso. Il non-luogo carcere è qualcosa che terrorizza e ne fa dimenticare l’ esistenza. Esorcizziamo la morte, la malattia,la disgrazia,esorcizziamo anche il carcere. Facciamo finta che non esistano,che non ci appartengano. Eppure ci appartengono,ci riguardano. Il carcere,così come la malattia,antica quanto l’uomo,è ancora presente nella nostra civiltà moderna. Siamo riusciti a liberarci di un’istituzione come il manicomio,ma non siamo ancora riusciti a liberarci del carcere e dei manicomi giudiziari che sono strutture carcerarie dalle quali difficilmente si esce. Forme di “tortura democratica” che servono a terrorizzare quanti non si attengono alle regole ed alle leggi che questa “civiltà” si è data. Ma le leggi e le regole vengono fatte da chi ci governa, da chi detiene il potere, che naturalmente si è guardata bene dal potervi entrare. Un grande truffatore è difficile che resti per molto tempo ristretto in un carcere, così uno che falsa i bilanci di una società, o un direttore di banca che attua prestiti come un usuraio, o un politico venduto o compratore di voti o appartenente alla mafia alta e ben celata . E’ più facile quindi che finisca in carcere un piccolo delinquente, un ladro di appartamenti, un piccolo spacciatore, o chi ruba energia elettrica, o anche semplicemente in un supermercato. Basta leggere le tipologie di reato dei detenuti in tutta Italia per rendersene conto. La criminalizzazione delle droghe, con la legge Bossi-Fini, che ha eliminato la differenza fra droghe leggere e pesanti e le quantità di droghe detenute perché si possa considerare spaccio piuttosto che uso personale, ha portato in carcere al 30 giugno del 2012 27 mila cittadini italiani e 11.649 cittadini stranieri. Questo vuol dire quasi la metà della popolazione detenuta. E così la legge sull’immigrazione detiene in Italia quasi 4000 persone. Così come la famigerata legge sull’associazione mafiosa, che mette insieme il semplice picciotto con il boss mafioso con 6516 persone .

In Italia la popolazione detenuta supera le 67 mila unità.

In Calabria,al 31 gennaio 2012, i detenuti nei 12 istituti penitenziari sono oltre 3.046, a fronte di una capienza complessiva di 1.875 posti. Di questi, dai dati forniti dal Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, 55 sono donne e 2.991 uomini. Gli stranieri sono 591. Il sovraffollamento carcerario riguarda tutti gli istituti calabresi ad eccezione di quelli di Crotone (capienza 75, detenuti 15) e Laureana di Borrello (capienza 34, detenuti 30). Diversa la situazione negli altri istituti. A Castrovillari, a fronte di una capienza di 131 posti, sono presenti complessivamente 254 detenuti (24 donne e 230 uomini) dei quali 108 stranieri (il 42,52% del totale, 9 donne e 99 uomini) Gli imputati sono 86 (15 donne e 71 uomini) e 168 i condannati (9 donne e 159 uomini). Al carcere di Siano di Catanzaro, i detenuti sono 592 (68 gli stranieri, l’11,49%) contro una capienza di 354, dei quali 308 imputati e 284 condannati; a Cosenza la capienza è di 209 ma i detenuti sono 336 (58 gli stranieri, il 17,26%), 169 imputati e 167 condannati; a Crotone la capienza è di 75 ma i detenuti sono 15 (2 gli stranieri, il 13,33%), 8 imputati e 7 condannati; a Lamezia ci sono 83 detenuti contro 30 posti (30 stranieri, il 36,14%), di cui 39 imputati e 44 condannati e sta per essere chiuso; a Laureana di Borrello su 34 posti, i detenuti sono 30 (1 straniero, il 3,33%), e tutti e 30 sono condannati; a Locri sono presenti 158 detenuti a fronte di una capienza di 83 (40 gli stranieri, il 25,32%), 74 imputati e 84 condannati; a Palmi i posti sono 140 ma i detenuti 251 (12 stranieri, il 4,78%), 211 imputati e 40 condannati. Ancora, a Paola i reclusi sono 264 su 161 posti (104 stranieri (39,39%), 75 imputati e 189 condannati; a Reggio Calabria i detenuti sono 351 (31 donne e 320 uomini) a fronte di una capienza di 157 (13 donne e 144 uomini), con 24 stranieri (il 6,84%, 4 donne e 20 uomini), e 290 sono gli imputati (19 le donne) e 61 i condannati (12 donne); a Rossano i detenuti presenti sono 351 mentre la capienza è di 233 (gli stranieri sono 83, il 23,56%), cento imputati e 251 condannati; a Vibo Valentia, a fronte di una capienza di 268 posti, i detenuti sono 361 (61 stranieri, il 16,90%), dei quali 162 imputati e 199 condannati. Dei 591 stranieri presenti negli istituti penitenziari calabresi, 306 sono europei (165 di Paesi dell’Unione europea, 18 ex jugoslavi, 75 albanesi e 48 di altri Paesi), 230 africani (53 tunisini, 87 marocchini, 16 algerini, 23 nigeriani e 51 di altri paesi), 32 asiatici (10 del Medio oriente e 22 di altri paesi) e 22 americani (3 dell’America del Nord , 3 del centro e 16 del sud).

 

Enzo Emilio Quintieri
Enzo Emilio Quintieri

Ma soffermiamoci un po’ sul carcere di Paola. Qui c’è un detenuto particolare. Direi un detenuto “politico”. Si tratta di Emilio Quintieri. Ex appartenente ai Vas ( verdi,ambiente e società), da sempre conosciuto per le sue battaglie ambientaliste,contro i tagli di boschi nella zona di Cetraro, contro i rifiuti tossici lasciati nella fabbrica dismessa dell’Emiliana tessile a Cetraro. Fu grazie ad una sua denuncia che la Guardia di Finanza , li trovò nascosti in un piccolo capanno e fu grazie alla sua costanza nel seguire la vicenda che i rifiuti vennero in seguito smaltiti. Ma il suo impegno ambientalista toccò anche la pesca abusiva che con reti pelagiche derivanti ( le cd reti spadare)veniva fatta,partendo proprio dal porto di Cetraro. Per questa sua presa di posizione venne aggredito da quattro malviventi e picchiato selvaggiamente. Da queste denunce ripetute, che coinvolgevano i silenzi su Cetraro, considerato dai più come un paese delle meraviglie, Emilio Quintieri entrò nel mirino delle istituzioni proprio per aver rotto equilibri naturali esistenti in questo paese del tirreno cosentino. Venne quindi arrestato per la prima volta a gennaio del 2010. A seguito di una perquisizione, nella sua abitazione, vennero trovate delle manette, del danaro contante e dei stupefacenti , evidentemente per uso personale. Questo bastò per gettarlo in pasto ai quotidiani regionali come spacciatore o peggio ancora capo di qualche clan mafioso. Nel comunicato stampa fatto dai carabinieri, si immaginò tutta una situazione che poi venne smentita dai fatti,che lo prosciolsero. Per cui, si dimostrò che il danaro contante era stato a lui consegnato dall’Associazione Sportiva Dilettantistica Don Russo Nova Volley Cetraro al fine di essere corrisposta ad una Ditta a titolo di compenso per alcuni lavori svolti di serigrafia. Una restante somma ,invece, erano i proventi di una vincita conseguita dall’imputato tramite acquisto di una schedina della Pallavolo, come attestato dal tagliando di schedina Intralot . Infine le manette. Si trattava di cose in possesso di Quintieri a causa della sua pregressa attività di Guardia Giurata Volontaria.

Ma è proprio questa continua persecuzione nei suoi confronti che spinge Emilio Quintieri ad interessarsi di problemi legati alla giustizia ed al carcere. Apre una campagna internazionale a favore di un detenuto cetrarese, in carcere nonostante una malattia tumorale in corso.

Si trattava di Alessandro Cataldo arrestato nell’ambito di una inchiesta sul traffico di droga nella costa tirrenica. Se non fosse stato per l’impegno di Quintieri che fece fare un’interrogazione parlamentare alla Ministro Cancellieri, dai deputati radicali, sicuramente il detenuto sarebbe deceduto in carcere o avrebbe commesso qualche pazzia. Quintieri si era mosso dopo aver una richiesta di aiuto da parte dei familiari del detenuto ed una lettera da parte di alcuni compagni di cella dello stesso, preoccupati per il suo stato di salute.

Così risponde all’interrogazione il Ministero della Giustizia:

“Una volta accertato il male, è stata, infatti, richiesta una visita specialistica ed è stato, altresì, prospettato l’eventuale ricovero presso il reparto oncologico dell’azienda ospedaliera Pugliese – Ciaccio; per di più, attesa la gravità della diagnosi e le possibili ripercussioni psicologiche sul malato, si è ritenuto di sottoporlo a grande sorveglianza sanitaria e, contestualmente, è stato richiesto un adeguato sostegno psicologico. Il Cataldo, peraltro – prosegue il Sottosegretario alla Giustizia Gullo – ha effettuato tutti i trattamenti prescrittigli per la cura della sua patologia tumorale in un centro oncologico specializzato dell’Ospedale di Catanzaro, distante circa 3 chilometri dal penitenziario. Inoltre, a partire dallo scorso mese di maggio e, cioè da quando il predetto detenuto ha iniziato il 1o ciclo di chemioterapia in regime di ricovero, lo stesso si è recato a cadenze regolari presso l’Ospedale di Catanzaro, rispettando il calendario predisposto dal centro. Anche nel penitenziario, ha sempre eseguito i necessari controlli clinico-laboratoristici, con una frequenza pressoché quotidiana. Ciò posto, segnalo che la competente magistratura di sorveglianza ha autorizzato e/o ratificato sia il ricovero, che le visite specialistiche in ospedale del Cataldo, il quale – conclude l’esponente del Governo – in data 23 agosto 2012, a motivo delle gravi condizioni di salute, è stato posto agli arresti domiciliari, con ordinanza del Presidente del Tribunale di Catanzaro “.

Insomma c’è voluta l’interrogazione parlamentare perché a Cataldo venissero concessi gli arresti domiciliari. E così dopo questa battaglia, Quintieri si impegna nel Partito radicale, fino ad esserne candidato nella lista calabrese del partito nelle ultime elezioni politiche. Ed ecco il nuovo arresto. Proprio durante la campagna elettorale.

Se Quintieri fosse stato un grosso politico, o già un deputato, si sarebbero mobilitate tutte le pattuglie dei partiti. Ed invece nessuna solidarietà, nessun comunicato a suo favore, nessun interessamento sulla sua vicenda. Quintieri a sua volta finisce nel tritacarne della giustizia italiana. E questa volta,senza alcuna prova . Bastano le testimonianze di altre persone contro di lui, perché i carabinieri finiscano di nuovo a casa sua e perquisirla, senza trovare nulla però, ma Quintieri viene arrestato lo stesso. Questo è quanto scrive Emilio Quintieri il 16 marzo scorso, in una lettera a me indirizzata:

sono stato raggiunto da una ordinanza custoriale emessa dal GIP del Tribunale di Paola sulla base di dichiarazioni fatte ai carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Paola da dei soggetti tossicodipendenti, alcuni dei quali non ho la più pallida idea di chi siano e di dove siano. Contrariamente a quando scrive qualche sciacallo di “giornalista” non esiste null’altro nei miei confronti. Solo queste dichiarazioni tutte simili fra di loro e quindi preconfezionate e non genuine e spontanee oltre che illegali ed inutilizzabili ai fini processuali perché assunte in violazione di quanto prescrive il codice di procedura penale. “

Direttamente , Quintieri si rende conto di quale sia la situazione nelle nostre carceri, e aggiunge ,nella sua lettera:

Mi auguro che il nuovo parlamento metta subito mano a smantellare lo stato di polizia che principalmente nel nostro paese è diventato asfissiante procedendo all’abrogazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, della legge Bossi-Fini sull’immigrazione e della legge ex Cirielli sulla recidiva, tre leggi criminogene varate dalla maggioranza di centrodestra negli anni passati nell’era Berlusconi. Natuaralmente occorre anche una seria riforma della Giustizia proibendo ai pubblici ministeri l’utilizzo in modo indiscriminato dell’istituto della carcerazione preventiva che oramai ha raggiunto livelli insostenibili ed inaccettabili in tutta la repubblica italiana e che contribuisce ad alimentare il sovraffollamento dei nostro istitui penitenziari già migliaia di volte ritenuti dei veri e propri luoghi di tortura da parte delle istituzioni internazionali. Qui nel carcere di Paola la situazione è disastrosa!

Ora Quintieri continua la sua battaglia nel carcere di Paola , riuscendo a coinvolgere e far aderire tutti i detenuti ad un iniziativa per sensibilizzare l’opinione pubblica ed i politici verso i problemi carcerari.

Comunico che tutta la popolazione detenuta ristretta nella casa circondariale di Paola (Cosenza) ha aderito alla manifestazione nazionale promossa dall’onorevole Marco Pannella, leader del partito radicale, per denunciare ancora una volta la condizione disastrosa in cui versano le carceri della repubblica. Con una nota sottoscritta da 250 detenuti, primo firmatario Emilio Quintieri, è stato comunicato alla direzione del carcere di Paola, al Provveditorato Regionale della Calabria ed al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che pertanto da lunedì 25 a venerdì 29 marzo 2013 sarà rifiutato il vitto ministeriale giornaliero (colazione,pranzo e cena) chiedendo che lo stesso venga devoluto in beneficienza al convento dei frati minimi di San Francesco di Paola o altro ente che sarà individuato dalla direzione della casa circondariale di Paola e comunicato alla popolazione detenuta,tramite avviso nelle bacheche dei reparti detentivi ( I, II, III, IV e V ). Di quanto sopra ne verrà data notizia anche al sig. Magistrato di Sorveglianza di Cosenza ed al ministro della giustizia per opportuna conoscenza. “

Il deputato Ernesto Magorno ha subito fatto visita ai detenuti, ricevendo per il suo atto di solidarietà le critiche del sindacato della polizia penitenziaria. Il Sappe lo accusa di non aver incontrato i sindacati. Ma la giornata era quella dei detenuti in sciopero della fame e sulle loro condizioni di vita all’interno di questo inferno. Dimostrazione ne è che si continua a morire nelle nostre carceri. E’ di pochi giorni fa la notizia di un nuovo suicidio nel carcere di Siano a Catanzaro. In Calabria,nel 2012, i suicidi sono stati 3, i tentativi 36, gli atti di autolesionismo 167, i decessi per cause naturali 3, i ferimenti 18, le colluttazioni 81. A Catanzaro ci sono stati 2 suicidi e 5 tentativi di suicidio. E’ chiaro a tutti che non si può andare avanti così, che occorre mettere in atto provvedimenti seri e definitivi. Non basta un indulto o un’amnistia. Che ben vengano, ma occorre depenalizzare. Ancora vige il codice fascista Rocco, ancora c’è una visuale del reato tipica di un regime fascista e non certamente democratico. Moltissimi detenuti potrebbero non essere arrestati per reati piccoli e le forme alternative sarebbero molteplici, non solo quelle domiciliari.  

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Pannella: Sarò in Calabria perché noi siamo realmente persone d’onore”

In sciopero della fame dal 20 marzo per l’amnistia e lo Stato di diritto

Cinque giorni di lotta nonviolenta per arrivare al cuore dello Stato

Satyagraha significa forza e amore della verità ed è la lotta nonviolenta che Marco Mannella ancora una volta sta conducendo insieme a dirigenti radicali, direttori delle carceri, detenuti e semplici cittadini, tutti convinti dell’urgenza della questione carceri e giustizia del nostro Paese. Ancora uno sciopero della fame? Si, ancora uno, ancora una volta per la drammatica e inumana situazione delle nostre patrie galere. Marco Pannella ha iniziato il 20 marzo il suo sciopero della fame e, dal 24 al 29 marzo, durante la settimana Santa, sarà sciopero della fame collettivo assieme ad altre iniziative di lotta nonviolenta (ciascuno da’ corpo e tempo come può) per trasferire letteralmente la propria energia allo Stato affinché questi possa trovare la forza di rispettare la sua stessa legge. “Cinque giorni di lotta per arrivare al cuore dello Stato”, ha detto Pannella dai microfoni di Radio Carcere. Un lotta nonviolenta collettiva, assieme a direttori delle carceri, detenuti e l’intera comunità penitenziaria, per far conoscere questa drammatica urgenza di cui pure la nuova Presidente della Camera, On.le Laura Boldrini, ha parlato nel suo discorso. Forse anche per sottolineare questa urgenza drammatica, il nuovo Papa degli umili, Papa Francesco, sarà in un carcere minorile per il Venerdì Santo. Perché il carcere è il luogo dove si continua a morire di suicidio: due nell’ultima settimana. A Ivrea, il 22 marzo, Maurizio Alcide che soffriva di problemi psichiatrici e che tra meno di un anno avrebbe finito di scontare la sua pena, si è tolta la vita. Antonio Pagano invece si è tolto la vita lo scorso 26 marzo nel carcere di Opera di Milano: aveva 46 anni. 14 i suicidi dall’inizio del 2013: una mattanza di cui nessuno sembra preoccuparsi. Anche in Calabria, duecento detenuti, quasi l’intera comunità penitenziaria, hanno già aderito alla 5 giorni nonviolenta di Pannella e Radicali dal carcere di Paola (CS) e sono pure loro in sciopero della fame. Dalla Calabria aderisce anche Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPe Calabria, perché questa situazione delle carceri “è anche una grossa frustrazione per tutto il personale che nelle carceri ci lavora”. E l’iniziativa sta dilagando su internet in tutti i penitenziari italiani. Ma la vera notizia durante la trasmissione Radio Carcere, la da’ il Dott. Tortorella, segretario generale del SIDIPE, il sindacato dei direttori di istituti penitenziari, che dalla trasmissione di Riccardo Arena, ricorda come siano gli stessi direttori degli istituti penitenziari “a vivere per primi questa drammatica situazione delle carceri in cui lo Stato non può garantire i diritti costituzionali delle persone”. “Viviamo questa situazione con grande angoscia”, ha detto chiaramente, indicando una serie di provvedimenti tra cui l’amnistia e l’indulto, per porre fine a questa vergogna. “Con questa lotta nonviolenta poniamo il problema dell’immediata accoglienza dell’ultimatum che ci ha dato la CEDU”, ha esclamato Pannella. Il tempo corre e, ha aggiunto, “rimangono meno di dieci mesi affinché l’Italia ponga termine alla sistematica e strutturale violazione dei diritti umani”, che la Corte europea ha sanzionato con la sentenza pilota dello scorso 8 gennaio 2013. E l’unico intervento che agirebbe strutturalmente su questa “catacombe del nostro Cesare”, per Marco Pannella è l’amnistia. Poi, nel salutare Gennarino De Fazio in collegamento telefonico dalla Calabria, Marco Pannella ha ribadito che verrà in Calabria a ringraziare gli elettori di Rosarno, Africo, Platì che “c’hanno capito”, per fare un’associazione di scopo per l’amnistia e perché, ha detto, “Noi siamo realmente persone d’onore”.

Marco Pannella, a Bruxelles, in uno dei suoi tanti scioperi della fame
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Pannella verrà in Calabria per ringraziare gli abitanti di Platì e rilanciare la battaglia

Pannella: “Andrò a Platì, quel piccolo comune dove abbiamo preso il 20%”. Un paesello di appena mille anime in provincia di Reggio Calabria dove però, con 176 voti, la lista di scopo Amnistia Giustizia Libertà è la terza forza politica, più avanti del Beppe nazionale. Ad annunciare la sua discesa in terra calabra, dai microfoni di radio carcere, la trasmissione di Radio Radicale condotta da Riccardo Arena, è stato lo stesso Marco, martedì scorso, sottolineando come, non solo a Platì ma anche ad Africo (7,88%) e San Luca (7,19), tutte in provincia di Reggio Calabria, ci sono state percentuali uniche per la lista di scopo Amnistia Giustizia Libertà: “Ci hanno capito”, ha detto.

Marco Pannella e Giuseppe Candido
Marco Pannella e Giuseppe Candido

. Anche in un’altra occasione, ha ricordato Pannella, prendemmo percentuali elevate in Calabria (a Rizziconi ha detto di ricordare): “erano le europee con candidato Enzo Tortora”; qualcuno in quell’occasione aveva tentato di strumentalizzare dicendo che i Radicali prendevano i voti dalla ‘ndrtangheta, invece lì – ricorda ancora Pannella – c’avevano solo capiti. Come adesso a Platì. Il fatto che Marco Pannella verrà in Calabria a Platì (RC) è stato poi confermato sempre dallo stesso leader storico del Partito Radicale Nonviolento durante la conversazione settimanale della domenica, tenuta ieri, domenica 17 marzo, assieme a Walter Vecellio e durante la quale, pur non specificando il quando, ha fatto intendere che la cosa si dovrà organizzare anche a stretto giro per far ripartire, proprio da Platì e dalla Calabria, in tutta Italia e in Europa una battaglia di civiltà estrema com’è quella per l’amnistia ma anche per una riforma della Giustizia e salvaguardare nel nostro Paese lo stesso Stato di Diritto.

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