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Scrupolosa attenzione alle battaglie di Marco Pannella a tutela delle libertà civili e dei diritti dei cittadini

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha ricevuto al Quirinale Marco Pannella. Nel corso dell’incontro l’on. Pannella ha riferito al Presidente Napolitano delle iniziative in corso per affrontare i problemi istituzionali e sociali della giustizia con particolare riferimento alla tutela dei diritti dei detenuti nelle carceri italiane.

Il Capo dello Stato nella lettera inviata all’on. Pannella il 23 giugno scorso, per invitarlo “in nome non solo dell’antica amicizia ma dell’interesse generale, di desistere da forme estreme di protesta di cui colgo il senso di urgenza, ma che possono oggi mettere gravemente a repentaglio la tua salute e integrità fisica”, aveva richiamato “l’attenzione di tutti i soggetti istituzionali responsabili sollecitandoli ad adottare le indispensabili misure amministrative, organizzative e legislative” sulle battaglie di Pannella per una piena affermazione e tutela delle libertà civili e dei diritti dei cittadini. In particolare il Capo dello Stato si era soffermato sulle questioni “del sovraffollamento delle carceri, della condizione dei detenuti e di una giustizia amministrata con scrupolosa attenzione per tutti i valori in giuoco, con serenità e sobrietà di comportamenti”. 

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12 maggio 74 il divorzio, 12 maggio 77 omicidio Giorgiana masi

Giorgiana Masi

Ancora è tanta la sete di verità. Il 12 e il 13 maggio del 1974 si era votato il referendum sul divorzio. Tre anni dopo, sotto il divieto di Cossiga di fare manifestazioni, i Radicali avevano organizzato un sit in nonviolento che, grazie ad infiltrati nel movimento, si trasformò in quello che Pannella definisce un’omicidio di Stato. Giorgiana Masi moriva e per quell’omicidio nessuno mai pagò.

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Carceri illegali e referendum senza informazione

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 7 maggio 2011

Sono oltre quindici giorni che Marco Pannella è in sciopero della fame. Per l’ennesima volta il leader massimo dei Radicali italiani ha deciso d’utilizzare l’arma della nonviolenza gandhiana. In digiuno per tentare, come lo stesso Pannella afferma, “di riportare l’Italia nell’alveo della legalità costituzionale”. Il primo maggio, durante l’ultima conversazione domenicale, il mister Hood della politica italiana ha scoperchiato il suo “canestro pieno di parole” è ha spiegato le motivazioni del suo sciopero della fame cui si sono aggiunti, a sostegno per qualche giorno, anche alcuni detenuti del carcere di San Vittore a Milano.

Gli obiettivi dello sciopero sono chiarissimi e sarebbero comprensibilissimi se fosse data a Pannella la possibilità di spiegarlo agli italiani; da un lato, proporre di risolvere immediatamente, con un’amnistia, la situazione d’illegalità costituzionale in cui si trovano oggi le carceri italiane; dall’altro canto, Pannella col suo sciopero della fame vorrebbe riportare nella legalità la situazione dell’informazione televisiva italiana “rea” di aver cancellato la campagna referendaria.

Sulle carceri le parole di Pannella per radio sono chiarissime: “è una realtà che è assolutamente fuori dal diritto internazionale e dalla legalità internazionale”. “L’ho ripetuto anche al Presidente: cosa si può fare qui se si è Presidente della Repubblica? C’è da dare una sola risposta”. Pannella parla dell’incontro avuto col Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano specificando che “Non era un obiettivo (dello sciopero della fame), era un auspicio, ed è stato esaudito”. “Ho esordito”, spiega Pannella, “parlando un attimo dei referendum e poi ricordando l’indulto e il Natale che avevamo passato insieme – con lui, Cossiga e altri – e il Presidente subito ha fatto un’osservazione: “E l’amnistia…”. “Ma un cittadino che è ministro della Giustizia, e un cittadino che è Presidente della Repubblica, che può fare quando in modo strutturale, crescente, c’è quello che ribadisco e senza obiezioni da parte di molti, ovvero una consistente realtà strutturale di Shoah nelle carceri nel nostro Paese?”.

“Noi, in nome del popolo italiano – perché si giudica in nome del popolo italiano – abbiamo qualcosa che invece ha indotto – ma in condizioni assolutamente diverse – una delle massime autorità tedesche a dire che quando non ci sono posti in carcere, il detenuto comincia a espiare la pena soltanto quando, dopo aver fatto una lista d’attesa e mano a mano che escono i detenuti per fine pena, a quel punto entra in carcere”. “All’estero si fa questo, qui no”.

Nel giorno della beatificazione, parlando di carceri e di amnistia Pannella non può non ricordare gli incontri con Papa Giovanni Paolo II. “È stato ricordato che quando questo pontefice era in agonia (nel 2005, ndr), io ero in sciopero della sete perché si dicesse al Papa di un suo grande dolore”. “Era venuto al Parlamento italiano invitato dalla partitocrazia e ha chiesto clemenza. E dietro quello c’era una tradizione che è passata addirittura in un detto popolare: a ogni morte di Papa c’era un’amnistia; c’erano anche ragioni di governo terreno, altrimenti si ingolfava il meccanismo della giustizia e delle carceri. Comunque, chiedevo che gli si dicesse: ‘Guarda, ti si dà ragione. Il Parlamento ti ha ascoltato e voterà una misura’. Ho veramente supplicato affinché gli fosse data questa consolazione e questo premio, per poter esalare l’ultimo respiro da parte di lui che – pur non essendo Welby – disse: ‘Lasciatemi andare alla casa del Padre’. Non ce l’ho fatta, perché” – spiega Pannella – “la ragione per cui compievamo questo obiettivo era troppo comprensibile da tutti quanti, e dunque tutta l’Italia ha dovuto ignorare questo ragionamento”.

C’è poi la seconda motivazione dello sciopero della fame: l’informazione mancata e il boicottaggio della democrazia e del motto “conoscere per deliberare” operato sistematicamente dalla Rai sui referendum. “Dopo 40 anni non c’è più il sospetto, ma la certezza che” – sostiene Pannella – “sempre più ci si è resi conto che fa bene al potere che i Radicali non vadano in televisione, che la gente non possa conoscere quello che proponiamo”.

La presenza dei Radicali – spiega ancora Pannella – potrebbe invece far si che “sentimenti e risentimenti popolari si convertissero in convinzioni. Altrimenti non c’è democrazia, ma solo scoramento e nausee che si creano”. E in relazione all’operato di questo governo Berlusconi sui referendum insiste sul fatto che, piuttosto che di una “cosa inaudita” mai vista prima, si potrebbe parlare invece di “una consuetudine per cui le istituzioni non consentono i referendum”. Un vero e proprio “tradimento della Costituzione italiana e dell’istituto referendario”: 5 casi di scioglimento delle Camere per evitare le consultazioni popolari. Senza contare che, “Da quando è stata approvata la Costituzione, già dall’inizio del 1949, si era stabilito che della Costituzione del Paese facessero parte quattro diritti democratici di voto per i cittadini: Camera, Senato, Regioni e referendum abrogativo. Per una intera generazione, dai 22 ai 24 anni, gli Italiani non hanno avuto nemmeno un referendum. Lo hanno avuto soltanto quando, approvata la legge Fortuna-Baslini (nel 1970, ndr), a questo punto il problema era: come facevano dei Presidenti del Consiglio e della Repubblica, allora tutti democristiani, a controfirmare questa legge? Allora venne fuori un’idea: si firma, quella legge venne regolarmente promulgata e poi si dette in cambio al Vaticano il diritto di esercitare il referendum”. “Si arriva nel 1972 e dev’esserci il referendum. Ma la legge che hanno approvato nel frattempo sul referendum prevede una possibilità: se in quell’anno c’erano elezioni politiche generali, non poteva esserci anche il referendum. E a questo punto cosa fanno? Cominciano con una storia che è diventata una tradizione molto solida in Italia: fanno una crisi di governo così questo referendum non si fa, perché cominciavano ad avere qualche dubbio che la vox populi-vox dei fosse automaticamente anche vox vaticani. E quindi si trova questo sistema: da quel momento è accaduto 5 volte per 5 legislature”. A partire da “quella del 1972, con il referendum sul divorzio che si è fatto nel 1974”. Insomma, per Pannella le priorità di una amnistia, anche per Berlusconi potrebbe salvarci da una crisi di governo altrimenti utile proprio per evitare quei referendum. E, ricorda Pannella, “se oggi si andasse alle elezioni anticipate, queste sarebbero assolutamente antidemocratiche, visto il contesto italiano dell’informazione”.

 

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C’é un problema d’informazione

Anatomia del delitto della democrazia reale

di Giuseppe Candido

Non c’è dubbio che alla base di una vera democrazia ci sia, durante il processo elettorale, il libero formarsi dell’opinione pubblica secondo un plurale e altrettanto libero sistema dell’informazione.

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 28.93.2011

Dagli anni ’70 ad oggi per questo motivo sono state emanate diverse leggi in materia di informazione, di comunicazione politica e “pluralismo” nel sistema radiotelevisivo italiano: dalla Legge 103 del 14 aprile 1975, passando per la “Legge Mammì” del 1990 e la “legge Gasparri” del 2004, fino al Testo Unico della radiotelevisione del 2005, tutti i regolamenti sono stati mirati a disciplinare il sistema radiotelevisivo su principi di obiettività, completezza, imparzialità e parità che avrebbero dovuto garantire il rispetto del requisito della verità, fondamento del diritto di cronaca.

Imposta nei programmi di comunicazione politica indipendentemente dal periodo in cui vengono trasmessi, la “par condicio” detta le regole per l’informazione durante i periodi elettorali disponendo, testualmente, la “parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni politiche, nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nella presentazione in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche”. Ma al tempo stesso specifica che la norma “non si applica alla diffusione di notizie nei programmi di informazione”. Insomma, parità d’informazione sì, ma con la possibilità di poterla violare sistematicamente nei così detti format di approfondimento come le trasmissioni “Annozero”, “Ballarò”, “Porta a porta” ecc.

Il tutto condito dal fatto che sono completamente sparite le tribune politiche in cui, un tempo, i leader delle varie forze politiche, si confrontavano.

PORTA A PORTA
I dati di ascolto della trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa

Nato il 20 febbraio del 1981 da un’idea di Marco Pannella per dimostrare l’utilità e la necessità di un sistema di monitoraggio televisivo, il Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva presenterà a giorni un rapporto, curato dal direttore del centro Gianni Betto, il cui titolo è chiarissimo: “Anatomia del delitto neo-goebbelsiano della democrazia reale”. Sottotitolo: “Dal minuto all’ascolto… verso gli ascoltatori”.

Bisognerebbe ricordare ai cittadini d’oggi, come giustamente fa Gianni Betto, che nel 1968 e nel 1972 il Partito radicale denunciò l’illegalità delle elezioni politiche, non presentò propri candidati ed invitò gli elettori a votare scheda bianca.

In pochi anni, ricorda ancora Betto, si ottennero una serie di riforme storiche, molte delle quali ancora in vigore: “l’accesso alle tribune politiche dei partiti non rappresentati in Parlamento; la garanzia dell’equal time per tutti i competitori elettorali; il sorteggio dell’ordine di intervento; l’accesso alle tribune dei rappresentanti dei Comitati promotori dei referendum (ottenuto in occasione del referendum sul divorzio dopo 78 giorni di digiuno di Marco Pannella)”.

“Sempre grazie a uno sciopero della fame e poi della sete di Marco Pannella, alle elezioni politiche del 1976 viene riconosciuto per la prima volta il principio della “riparazione” per soggetti politici cui è stato illegittimamente impedito l’accesso. È da quel momento che Rai e Commissione parlamentare di vigilanza avviano l’opera di smantellamento progressivo delle tribune ponendole in fasce orarie di scarso ascolto, riducendone il tempo complessivo e adottando format che le rendono prive di interesse. Contemporaneamente, dinanzi all’importanza assunta dalle consultazioni referendarie, gli spazi di accesso sono contratti, negando la peculiarità del Comitato promotore e diluendone la presenza con l’ammissione paritaria di decine di altri soggetti, tra partiti e comitati, ivi inclusi gli astensionisti”.

dati ascolto Ballarò
I dati di ascolto della trasmissione "Ballarò"

Come stanno oggi le cose, invece, è sotto gli occhi di tutti ma forse, guardando il delitto in tv, non ci si rende conto del movente e del mandante. Per capire quali siano le reali responsabilità del sistema radiotelevisivo italiano nel delitto, continuato e perpetuato, di uccisione della democrazia è necessario leggere i dati snocciolati, in maniera sistematica, nel rapporto del Cd’A. Tanto per fare qualche esempio, nel mense di novembre 2010, nei tempi dedicati all’informazione politica dai TG Rai nel loro complesso (6 ore, 19 minuti e 3 secondi con 2.673 milioni d’ascolti), ben il 40,85% totale del tempo (566 milioni d’ascolti pari al 21,2% degli ascolti) è stato dedicato al Popolo delle Libertà, il 19,58% del tempo (548 milioni d’ascolti pari al 20,5% degli ascolti) è stato dedicato al Partito Democratico. Seguono poi Futuro e Libertà (11,91% del tempo, 355 milioni d’ascolti pari 13,3% degli ascolti), l’Unione di Centro (8,31% del tempo e 319 milioni d’ascolti pari al 11,9% degli ascolti), la Lega Nord (7,01% del tempo e 330 milioni d’ascolti pari al 12,3% degli ascolti). Al sesto posto c’é l’IdV di Antonio Di Pietro col 49,98% del tempo e l’8,2 % degli ascolti (233 milioni). Seguono poi, dopo la voce “Altro” non meglio specificata, SEL (0,47% del tempo e 54 milioni d’ascolti pari al 2 % del totale), Alleanza per l’Italia di Rutelli che con 17 milioni ha raggiunto lo 0,6% del totale degli ascolti, Federazione della Sinistra (che con 2 minuti e 47 secondi ha raggiunto 28 milioni d’ascolti pari al 1,0 % del totale), Radicali Italiani-Lista Bonino con lo 0,51% di tempo (1 minuto e 55 secondi d’informazione) sono riusciti a raggiungere 35 milioni d’ascolti (1,3%), il Movimento per l’Autonomia di Lombardo con lo 0,31% del tempo e con 19 milioni d’ascolti (0,7%), mentre la Destra di Storace è riuscita a parlare solo a 21 milioni d’ascoltatori con lo 0,27 % del tempo dedicatogli. Ancora più giù, nella classifica della mancata informazione politica paritaria Democrazia Cristiana con 16 milioni d’ascolti e UDEUR-Popolari e Federazione dei Verdi chiudono con 3 milioni d’ascolto ciascuno. Questo per quanto riguarda le formazioni politiche nei TG della Rai che, quale concessionaria per il servizio pubblico radiotelevisivo, avrebbe per legge il compito di garantire il pluralismo dell’informazione politica.

dati d'ascolto Annozero
I dati di ascolto della trasmissione Annozero di Michele Santoro

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i dati di ascolto di "In mezz'ora"
I dati degli ascolti della trasmissione "In mezz'ora" di Lucia Annunziata

 

 

“Le nuove forze che potrebbero turbare o concorrere a modificare gli equilibri della vita politica italiana” – scrive a ragione il giornalista nell’introduzione del volume – “sono così escluse dal dibattito pubblico e negate alla conoscenza dei cittadini”.

Se viene meno il diritto dei cittadini a conoscere per deliberare, se l’enaudiano motto non trova applicazione, allora la democrazia è davvero cosa lontana.

Se poi si legge la classifica dei leader politici cui è stato dato spazio ci si rende meglio conto della completa e sistematica cancellazione di alcune formazioni politiche: le prime cinque posizioni sono occupate, manco a dirlo, rispettivamente da Silvio Berlusconi, Pierluigi Bersani, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini e Antonio Di Pietro. Seguono Cicchitto, Maroni, Bocchino, Gasparri, Della Vedova e il Ministro Maria Stella Gelmini. La lista prosegue. Al 16° posto c’è Vendola, al 18° il Ministro Alfano seguito da Schifani, Veltroni, Letta Enrico, Maurizio Lupi e Tremonti. D’Alema è al 25° posto, 27° per Piero Fassino mentre chiude la classifica Gianni Letta. Ma nei primi trenta posti nessun radicale è presente. Pur ricoprendo, Emma Bonino, il ruolo di vice presidente del Senato e pur essendo i temi Radicali, riforma della giustizia in primis, prioritari nell’agenda del Paese. E le cose non vanno meglio se si osservano i tempi delle presenze politiche nelle trasmissioni Rai di approfondimento giornalistico come Annozero, Ballarò e Porta a Porta. In quest’ultima trasmissione, solo per fare un esempio, dal 29 marzo 2010 al 17 gennaio 2011, in 64 puntate, al PdL sono state garantite ben 82 presenze (126,3 milioni d’ascolti), 49 al PD (79,4 milioni d’ascolti), 29 presenze alla Lega Nord (46,3 milioni d’ascolti) e 22 a Futuro e Libertà per l’Italia (32,2 milioni d’ascolti). Segue l’IdV con 14 presenze e 24,6 milioni d’ascolti, l’UDC con 12 presenze e 18,7 milioni d’ascolti. Chiudono tristemente la classifica Sinistra Ecologia e Libertà di Vendola con 5 presenze (8,2 milioni d’ascolti), 4 presenze per l’API di Rutelli (8 milioni d’ascolti) e il PSI (1 presenza e 1,6 milioni di ascolti). Nessuna presenza invece per i Radicali e per la Federazione dei Verdi che, evidentemente, non sono graditi al salotto del pungiglione nazionale. Ma se la cosa si fermasse a Vespa e ai TG forse non si potrebbe parlare, come invece emerge, di vero e proprio genocidio di una forza politica, nel particolare dei Radicali che, pur essendo presente nel Paese da oltre mezzo secolo con continuità e con grandi battaglie civili, dal nucleare alla giustizia passando per l’eutanasia, che sono di grandissima attualità. Purtroppo zero sono anche le presenze dei Radicali nelle 28 puntate di Ballarò dal 30 marzo 2010 al 18 gennaio 2011 e nelle 23 puntate di Annozero dal 1 aprile 2010 a quella del 20 gennaio 2011.

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Leggi l’intero rapporto del Centro d’Ascolto radiotelevisivo

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Perché Pannella non voterebbe la fiducia

di Giuseppe Candido

In questo momento in cui la politica è tutta presa dalla caccia al deputato, in questo momento “piuttosto difficile” in cui si parla di tradimenti del partito cerchiamo di spiegare perché Pannella non potrebbe mai votare la fiducia a Berlusconi. Nel Cerchio IX dell’inferno la seconda zona è l’Antenora. Il luogo non luogo dell’immaginario dantesco ove son dannati i “Traditori della Patria” e prende il nome da Antenore, colui che, col suo consiglio, meditò il tradimento della Patria. Ed è nell’Antenora che Dante e Virgilio incontrano il Conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggieri. “Tu dèi saper ch’io fui conte Ugolino e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perch’i’ son tal vicino”.

Sopra questa frase, nell’angolo dei bugiardi del sito di Marco Pannella ci sono i due nomi dei potenti del mondo: Tony Blair, Georg Bush assieme a quello di Silvio Berlusconi. È in quest’angolo di politica transnazionale che sta scritto il perché Pannella non potrebbe mai votare la fiducia a Berlusconi. Dal 2 ottobre al 22 novembre Marco Pannella ha condotto 52 giorni di sciopero della fame oltre che per le carceri italiane, per chiedere “l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta o almeno una indagine ufficiale sul comportamento del nostro Paese nella vicenda precedente alla guerra in Iraq”. «Il nostro – ha ricordato il leader Radicale – è stato l’unico Paese il cui Parlamento aveva dato mandato al Governo, che lo aveva ufficialmente accettato, di perseguire l’obiettivo dell’Iraq libero come unica alternativa alla guerra, cioè l’obiettivo dell’esilio da proporre e far accettare a Saddam Hussein».

Pannella si ostina a chiedere che venga fatta verità e ipotizza scenari gravi come il tradimento della patria. Oggi anche Wikileaks, il sito di Julian Assange che tanto fa discutere, rende noto un dispaccio in cui si evidenzia che alla Iraq Inquiry, la commissione d’inchiesta britannica sulla guerra in Iraq, fu detto di proteggere gli interessi degli Usa. “La Gran Bretagna promise che l’inchiesta guidata da Sir Chilcot sulla guerra in Iraq avrebbe protetto i “vostri interessi” (degli Stati Uniti) durante l’indagine sulle cause della guerra”. L’Iraq Inquiry dovrebbe presentare le sue conclusioni entro la fine di quest’anno. Nell’attesa di quello che emergerà e per capire di cosa stiamo realmente parlando, per capire perché il leader dei Radicali, Marco Pannella inserisce nell’“angolo dei bugiardi” del suo sito i leader mondiali Blair, Bush e assieme anche a Silvio Berlusconi, è necessario fare un passo indietro e dare un’occhiata alla cronologia dei fatti.

Fatti accaduti otto anni fa, che riguardano l’esplosione del conflitto in Iraq, dettagliatamente evidenziati nel sito pannelliano e che ci riportano indietro di otto anni al 2002 quando – segnala Pannella – il 23 luglio “Dal memorandum del consigliere di Blair, David Manning, emerge che Bush comincia a pianificare la guerra usando come giustificazione il legame tra terrorismo e armi di distruzione di massa”. Poi, il 16 novembre 2002 parte “Il piano di Saddam: esilio per 3,5 miliardi di dollari”, e il 19 gennaio 2003 Marco Pannella lancia l’appello “Iraq Libero, unica alternativa alla guerra”. Un susseguirsi di eventi. Il leader lottatore della nonviolenza si rivolge alla Comunità internazionale, alle Nazioni Unite in primo luogo, “Perché – testualmente – facciano proprie, immediatamente, le affermazioni secondo cui l’esilio del dittatore Saddam Hussein cancellerebbe, per gli Stati Uniti stessi, la necessità della guerra, costituendo il punto di partenza per una soluzione politica della questione irachena”.

Nello stesso giorno la Libia si dice disponibile ad ospitare Saddam. Il 20 gennaio anche The Times titola: “Gli Stati Uniti approvano il piano per l’esilio di Saddam” ma il 29 gennaio Il Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, rivela: «Questa proposta è progressivamente apparsa come irrealizzabile». Il 30 gennaio Bush di nuovo menziona favorevolmente l’esilio ma il 31 gennaio, secondo un memorandum ufficioso britannico, Bush ha già fissato la data in cui scatenare la guerra: il 10 marzo. Il 4 febbraio Berlusconi dichiara: «O apriamo agli ispettori o esilio e immunità » e il 19 febbraio la Camera dei Deputati del Parlamento italiano vota la proposta “Iraq Libero!”. Una mozione che impegnava ufficialmente il Governo «a sostenere presso tutti gli organismi internazionali e principalmente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’ipotesi di un esilio del dittatore iracheno e sulla base dei poteri conferitigli dalla Carta dell’ONU della costituzione di un Governo provvisorio controllato che ripristini a breve il pieno esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali di tutti gli iracheni».

Silvio Berlusconi – da Presidente del Consiglio – dichiarò alla Camera dei Deputati: «Stiamo operando ed abbiamo operato per questa soluzione; non soltanto per questa soluzione, ma anche per cercare il modo di poter offrire, a chi dovesse accettare la via dell’esilio, opportune garanzie, con l’autorevolezza di enti internazionali che le possano poi mantenere. Abbiamo operato per certi sistemi di
disvelamento delle armi e degli arsenali, che ancora non sono stati evidenziati; abbiamo operato, e stiamo operando, per convincere il dittatore a dare garanzie precise alla comunità internazionale: per esempio, dando spazio all’opposizione entro un periodo di tre mesi, garantendo libere elezioni entro un periodo determinato, garantendo i diritti civili ed i diritti umani. Tutto questo lo stiamo facendo in un ambito di riservatezza – che è d’obbligo – non soltanto con un paese arabo, che si è offerto per la mediazione, ma con diversi paesi, tenendo costantemente informati al riguardo l’Amministrazione americana ed il Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea Kostas Simitis». Per Pannella però è proprio quell’impegno ufficiale che fu tradito. Due giorni prima del discorso alla Camera, Berlusconi riceve una lettera dal Presidente degli Stati Uniti d’America, George W. Bush che venne pubblicata dal Corriere della Sera:

“Caro Silvio

mentre stiamo affrontando una minaccia senza pari, desidero esprimere la gratitudine del popolo americano per lo straordinario sostegno che Tu e il Tuo Governo avete dato alla guerra globale contro il terrorismo. Ti sei schierato con noi e noi non lo dimenticheremo. Nel corso degli anni, come è accaduto nei Balcani e con l’operazione Enduring Freedom, voi ci avete fornito un sostegno determinante, non solo di uomini e mezzi ma anche un sostegno morale, umanitario e costruttivo. Lo spiegamento della fanteria leggera degli Alpini in Afghanistan e i, vostri sforzi per promuovere le riforme giurisdizionali in quello stesso Paese, sono due esempi straordinari del vostro contributo alla guerra contro il terrorismo.

Apprezzo profondamente tutto ciò che Tu e l’Italia avete fatto. A causa della sfida posta alla comunità internazionale da parte di Saddam Hussein, una prova importante può attenderci nel prossimo periodo. Apprezzo la disponibilità dell’Italia a fare appello ancora una volta alle proprie risorse per combattere il terrorismo e l’illegalità internazionale e contribuire a ricostruire un futuro stabile e più democratico in quella regione.

La leadership, come sai bene, consiste nella capacità di affrontare le sfide. In questo nuovo secolo, il mondo si trova dinnanzi ad una grave sfida determinata dalla combinazione tra anni di distruzione di massa, il flagello del terrorismo e gli Stati che sostengono o che si rendono complici del terrorismo. Credo che nessuna nazione, da sola, possa sconfiggere questi nemici.

Il successo dipende da una collaborazione internazionale quanto più ampia possibile. Questa è la mia convinzione e il mio impegno. Il contributo dell’Italia in questo sforzo è veramente determinante. Come Ti ho detto nella nostra recente conversazione, sono enormemente grato per i contributi dell’Italia e per il Tuo sostegno ed impegno personale in questo momento critico. Cordialmente“.

Ma nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera due anni dopo il 31.5.2005 col titolo «La guerra in Iraq non la volevo» si evincerebbe il contrario. Il catenaccio dell’articolo è ancora più chiaro: Berlusconi: «Ho tentato di convincere Bush. Con Gheddafi cercate altre vie per evitare l’attacco militare»

ROMA – L’alleato di ferro di George W. Bush riteneva che la guerra «preventiva» si poteva e si doveva evitare. A quasi due anni dai primi bombardamenti su Bagdad si scopre ora che Silvio Berlusconi ci ha provato in ogni modo a convincere il presidente americano che non sarebbe stato giusto scatenare l’offensiva militare in Iraq. A dirlo è proprio il premier in una intervista esclusiva a La7: «Io non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore per arrivare a rendere democratico un paese e a farlo uscire da una dittatura anche sanguinosa». Parole di cui si ha notizia nelle ore in cui si allungano ombre sul governo italiano per il caso del Cia-Gate e il giorno prima della visita ufficiale a Washington del presidente del Consiglio.

Nell’intervista che sarà trasmessa integralmente lunedì prossimo Berlusconi entra nei dettagli di quella è una clamorosa e inattesa rivelazione. «Ho tentato di trovare altre vie e altre soluzioni anche attraverso un’attività congiunta con il leader africano Gheddafi. Non ci siamo riusciti e c’è stata l’operazione militare». «Io ritenevo – prosegue Berlusconi – che si sarebbe dovuta evitare un’azione militare». Nell’intervista Berlusconi si è espresso anche sulla politica internazionale e sui suoi rapporti con gli altri premier: «Tony Blair – aveva sottolineato – non è il leader dell’Ulivo mondiale. Non c’è nulla nella politica di Tony Blair e in quella di Silvio Berlusconi che sia in contrasto». «Dissento – affermò Berlusconi – anche nella classificazione di Vladimir Putin come un comunista nel senso ortodosso del termine. È difficile passare da una dittatura durata settanta anni ad una piena democrazia, perché esistono delle situazioni che non possono essere cancellate con un colpo di bacchetta magica».

Ma stiamo ai fatti: dal 19 febbraio e dalla mozione alla Camera si arriva al 22 febbraio 2003 quando Bush – in base al testo della conversazione intercettata e poi pubblicata da El Pais nel 2007 – in conversazione con Aznar, avrebbe affermato: «Gheddafi ha detto a Berlusconi che Saddam se ne vuole andare».

Quattro settimane prima dell’invasione dell’Iraq, il presidente George Bush incontra nel suo ranch di Crawford, in Texas, l’allora premier spagnolo José Maria Aznar e lo informa che è giunto il momento di attaccare l’Iraq. Il capitolo in questione si apre col vertice della Lega araba “sabotato da Gheddafi” quando l’1 marzo il colonnello manda a monte il Summit arabo.

Nella famosa conversazione tra Aznar e Bush pubblicata da El Pais si legge:

Bush: «Gli Egiziani stanno parlando con Saddam Hussein. Sembra che abbia fatto sapere che è disposto ad andare in esilio se gli permetteranno di portare con sé un miliardo di dollari e tutte le informazioni che desidera sulle armi di distruzione di massa. Gheddafi ha detto a Berlusconi che Saddam se ne vuole andare». Aznar: «È vero che esistono possibilità che Saddam Hussein vada in esilio?». Bush: «Sì, esiste questa possibilità. C’è anche la possibilità che venga assassinato». Aznar: «Esilio con qualche garanzia?». Bush: «Nessuna garanzia. È un ladro, un terrorista, un criminale di guerra. A confronto di Saddam, Milosevic sarebbe una Madre Teresa. Quando entreremo, scopriremo molti altri crimini e lo porteremo di fronte alla Corte internazionale di giustizia de L’Aja. Saddam Hussein crede già di averla scampata. Crede che Francia e Germania abbiano fermato il processo alle sue responsabilità. Crede anche che le manifestazioni della settimana scorsa (sabato 15 febbraio, ndr) lo proteggano. E crede che io sia molto indebolito. Ma la gente che gli sta intorno sa che le cose stanno in un altro modo. Sanno che il suo futuro è in esilio o in una cassa da morto». Aznar: «In realtà, il successo maggiore sarebbe vincere la partita senza sparare un solo colpo ed entrando a Baghdad». Bush: «Per me sarebbe la soluzione perfetta. Io non voglio la guerra. Lo so che cosa sono le guerre. Conosco la distruzione e la morte che si portano dietro. Io sono quello che deve consolare le madri e le vedove dei morti. È naturale che per noi questa sarebbe la soluzione migliore. Inoltre, ci farebbe risparmiare 50 miliardi di dollari». Questa i termini della discussione. Poi si seppe la verità. Gli Emirati Arabi a Marzo del 2003 avevano pronto un documento proposto ed accettato da Saddam. È il New York Times il 2 novembre del 2005 a titolare: “Marzo 2003 – Gli Emirati Arabi avevano raggiunto l’accordo con Saddam. Dopo 4 visite a Bagdad. Il 12 marzo quell’Appello era stato sottoscritto da 37 nomi illustri, compresi cinque ex ministri, per chiedere l’esilio di Saddam e un’amministrazione ONU ad interim in Iraq. Il 17 e il 18 marzo del 2003 avviene un’importante “rivolta” a Westminster contro Tony Blair: dal suo governo si dimettono ben quattro ministri laburisti. Il 18 marzo si va avanti inesorabilmente: la Casa Bianca dichiara che le truppe americane e i loro alleati «entreranno in Iraq in ogni caso», con la forza o in modo pacifico. Il 19 marzo lo Stato del Bahrain ufficializza la proposta di esilio per Saddam ma il 20 marzo, com’è ormai tragicamente alla storia, i bombardamenti iniziarono su Baghdad. Con le conseguenze tragiche e nefaste che sappiamo. Una guerra che si poteva evitare? Un impegno – quello di sostenere la via dell’esilio di Saddam – tradito? Peggio: secondo Pannella “Bush e Blair, contro la sicura pace possibile, scelsero la guerra in Iraq impedendo l’esilio a Saddam”. Un’accusa gravissima. Una verità che – sostiene Pannella – ancora si tenta di confondere con l’omicidio, per condanna a morte, dell’ultimo testimone: Tareq Aziz. Per Pannella, Silvio Berlusconi fu complice di quella scelta e tradì l’impegno preso davanti al Parlamento italiano a sostenere l’esilio. Come potrebbe oggi votare – per amore della verità – la fiducia a colui che pone nell’angolo dei bugiardi?

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«Ci sono molte cause per le quali sono pronto a morire, ma nessuna per cui sono pronto ad uccidere.»

Marco Pannella
Marco Pannella

di Giuseppe Candido

Il 2 ottobre, data di nascita del Mahatma Gandhi, venne celebrata per la prima volta la giornata mondiale della Nonviolenza dopo che, il 15 giugno dello stesso anno era stata promossa dall’Assemblea generale dell’Onu.

Quella risoluzione dell’Assemblea chiedeva a tutti i membri delle Nazioni Unite di commemorare il 2 ottobre “in maniera adeguata così da divulgare il messaggio della nonviolenza, anche attraverso l’informazione e la consapevolezza pubblica”.

L’Italia che in questi giorni sta vivendo nuovamente episodi di violenza (dalla statuetta tirata a Berlusconi alla vicenda del Direttore di Libero Bel Pietro passando per il fumogeno scagliato a Bonanni durante la festa del Pd di Torino) avrebbe avuto senz’altro il bisogno, per non dire la necessità, di veder celebrata adeguatamente ma, purtroppo, neanche il servizio pubblico televisivo per cui paghiamo il canone ce ne ha dato memoria. Di quella risoluzione che afferma “la rilevanza universale del principio della nonviolenza” ed “il desiderio di assicurare una cultura di pace, tolleranza, comprensione e nonviolenza” in Italia non se ne parla nemmeno. L’unico che ce la ricorda, ovviamente, è il Partito Radicale (transnazionale nonviolento e transpartito) che per simbolo, oltre 20 anni fa, scelse proprio il volto del Mahatma come suo simbolo identificativo. Pannella lo ha annunciato dai microfoni di Radio Radicale durante lo svolgimento dell’ultimo comitato nazionale del movimento: “Inizierò il mio Satyagraha, ha detto, con uno sciopero della fame, anche per celebrare così, e dar corpo, volto, mano, voce alla solenne  Giornata internazionale della nonviolenza proclamata dall’ONU”. Ma l’obiettivo della sua azione non è celebrativo ma volto alla ricerca della verità su due specifici aspetti. Quello su “Giustizia e carceri italiane”, definite “diretta riproposizione sociale, morale, istituzionale della Shoah”. L’obiettivo dichiarato dal suo sciopero è la “Riproposizione, anche formale, di una orrenda verità letteralmente accecante, totalmente cieca” che per Pannella e i Radicali “Minaccia di essere il prevalere storico di un istinto bestiale, assassino e suicida, nella specie umana”. “Oggi”, spiega Pannella, “in un nuovo contesto planetario, scienza e coscienza ci indicano che torniamo a viverlo come evento incredibile, impossibile; un incubo riuscito, dal quale sembrerebbe impossibile svegliare l’umanità, la comunità internazionale”.

Poi c’è il secondo motivo, non per ordine d’importanza, del “suo” Satyagraha che significa, è utile ricordarlo, amore della verità. Iraq libero come unica alternativa alla guerra che invece si preferì far deflagrare al posto della pace. Pannella non protesta ma propone: “La ricerca della conoscenza su una tremenda, “incredibile” verità storica, nascosta e negata in primo luogo proprio – oggi – nel e dal nostro mondo libero, “occidentale”, “civile”, dei “diritti umani”.

“Accadde, il 18/19 marzo 2003, che Bush e Blair – si legge testualmente nella nota sul sito www.radicali.it – fecero letteralmente scoppiare la guerra sol perché non scoppiassero in Iraq la libertà e la pace; con l’esilio, oramai accettato, da Saddam”.

Oggi, continua Pannella, “dobbiamo ambire, purtroppo – come Nonviolent Radical Party transnational and transparty – ad aiutare per primo Obama, la bandiera, l’onore, il popolo americano a uscire dalla scelta di protrarre l’impero della menzogna bushana, storica, civile, morale, ai danni di tutti i popoli oggi viventi: ai danni in primo luogo di quei repubblicani che l’avevano eletto e che più di altri  – quindi – sono stati vittime di un tradimento blasfemo, che ha provocato e provoca l’eccidio di milioni fra americani e altri popoli”. E per questo non protesta ma proposta: quella di istituire una Commissione di inchiesta sulla verità di quegli eventi si affermi “e ci mondi”.

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Perché Pannella avrebbe voluto portargli le arance

di Filippo Curtosi

Manifesto Radicale

Cossiga in tutte le salse: bizzarro, mattacchione, picconatore, imprevedibile, statista, profetico. A Marco Pannella toccherà la stessa sorte. Succede ai geni, agli eretici, agli anarchici e comunque alle persone sole. Kossiga chiama Paolo Guzzanti dall’aldilà per un suo ultimo commento e parla malissimo della stampa. “Un disastro. Mi hanno impagliato come un gatto”. A cominciare da Eugenio Scalfari che mi dà del pirandelliano. Mi hanno preso tutti sul serio, mentre io ho preso tutti per i fondelli. Il mio ultimo libro si chiama Fotti il potere. Spero che capiscano. Mo pare che manchi il vero Kossiga con la K, quello che gode ad avere la K e manca anche il Cossiga che traghetta D’Alema per fare un favore agli amerikani con la kappa. Dalla Chiesa, l’unico che mi risponde a tono. E’ trascorso tanto tempo da quei lontani anni ’70 che segnarono la data di nascita del così detto “Movimento studentesco in Italia”. “Strategia della tensione”. Piazza Fontana e piazza della Loggia, Italicus, rogo di Primavalle. Furono gli anni della morte di Giorgiana Masi, di Francesco Lo Russo, dell’agente Custrà e poi di Guido Rossa, sindacalista, di Fulvio Croce, presidente degli avvocati e delle piazze incendiate dagli estremisti. Il lancio di pietre verso il palco dove parlava Luciano Lama alla Sapienza, il ferimento di Indro Montanelli e poi I Volsci, Cl, Radio Alice, Radio Onda Rossa. La P38 era il simbolo della sinistra rivoluzionaria. Nudi dati anagrafici, dietro ai quali si celava tuttavia un lungo processo di incubazione. Le lotte operaie con pochi operai e studentesche. I non global, i movimenti ambientalisti e la sinistra radicale e libertaria non nascono dal nulla, ma hanno il loro epicentro, storicamente significativo, nel Lazio, Lombardia, Emilia, Calabria. Regioni chiave per lo sviluppo di una coscienza libera, per i diritti, per la lotta politica e ideale, per un messaggio che viene raccolto in ogni contrada del paese, dagli operai agli studenti, agli intellettuali. Numerosi intellettuali affluiscono in queste fila con un folto stuolo di giovani e di donne. Dario Fo, Felix Guattari, Alain Guillaume, Sartre. Tutto era surreale, alternativo, radicale: gli amori, gli amici, la compagnia, la scuola, il privato, la libertà prima di tutto e da tutto. Il desiderio al potere se si può sintetizzare. Ero scritto a Giurisprudenza alla “Sapienza”, mi mantenevo vendendo giornali. Partecipai al Movimento studentesco senza tanta intensità. Portavamo come dice Guccini “un eskimo innocente, dettato solo dalla povertà, non era la rivolta permanente, diciamo che non c’era e tanto fa”. Leggevo Allen Ginsberg, Kerouac, Re Nudo. Ascoltavamo Jefferson’s Airplane. Cazzo era la parola più usata a quel tempo. Il ’77 non è stato il folclore . Piuttosto a ragione Asor Rosa quando parla di “due società”. Da una parte dice lo storico della letteratura “c’erano i garantiti, coloro che avevano un reddito sicuro, dall’altra una vasta massa di giovani precari, marginali, senza prospettiva di inserimento sociale”. Si faceva di necessità virtù. Questo l’ex direttore di “Rinascita” lo scriveva nel 1977 su “l’Unità”. Poi le Br distrussero il sogno e i desideri. L’azione politica di Oreste Scalzone, Franco Piperno, Lanfranco Pace si dispiegava nella società civile con le lotte per la libertà ed il progresso dei lavoratori, per la difesa della democrazia e delle libertà, contro le repressioni autoritarie che raggiunsero la fase più acuta con il c.d. “ teorema Calogero” del 1977.

A Bologna dove si riunì il movimento per l’ultima volta ci fu una grande novità: svaniva il sogno e tutto era dissolve. Oltre a Scalzone che era stato incriminato di banda armata e condannato, anche altri conobbero in quegli anni il carcere e vennero processati e condannati. Insieme ai provvedimenti che vietavano ogni tipo di manifestazione pubblica si decretava in pratica lo stato d’assedio e la sospensione delle libertà di associazione, di espressione libera. Il giovine ministro Kossiga fece arrestare il movimento ed i loro capi, tra i quali appunto l’Oreste. Contro le misure repressive della libertà di associazione, di sciopero, insorsero solo i socialisti come Giacomo Mancini, i radicali come Marco Pannella ed i veri democratici. Si era contro il compromesso storico e come scrive Lucia Annunziata nel suo libro 1977 “Noi odiavamo i comunisti”. Il vecchio Psi assunse una politica autonomista, conferma Craxi alla guida del partito; più tardi Pertini verrà eletto presidente della Repubblica. Poi le Br, l’uccisione di Moro hanno definitivamente distrutto e cancellato il “ Movimento”. Dopo 26 anni di latitanza in Francia, l’ex leader di Potere Operaio torna in Italia. Era stato condannato dal Tribunale di Milano nel 1981 per partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata nell’ambito del processo “7 aprile” su Autonomia operaia. Nell’immaginario dell’epoca si meritò l’appellativo di “ rivoluzionario” non di mestiere. Processato in più occasioni, Scalzone trascorse in carcere alcuni anni. Costretto ad imboccare la via dell’esilio, per altri 26 anni girò in cerca di ospitalità per se e per le sue idee: Corsica, Olanda, Sud America, Francia, Parigi;il presidente socialista Mitterand diede ospitalità a tutti gli esuli ed i rifugiati politici. Si attraversava, da libertari tutte le lotte operaie degli anni settanta in Italia,partecipavamo all’occupazione di Valle Giulia con Pace e Piperno, leaders del Movimento studentesco, ci si scontra in piazza con la polizia e con i fascisti. Erano gli anni del “Potop” del potere operaio, come recitavano gli slogans di quel tempo. Erano gli anni dei cinema “d’essai”, degli scontri anche con quelli di “Lotta Continua”. Era la stagione delle assemblee permanenti, degli espropri proletari. Erano gli anni di forte e vera opposizione alla guerra, gli anni della difesa dell’internazionalismo libertario, socialista e radicale. Chi incarnava il libertario in Italia era ribelle, bandito, sovversivo. Si è sempre ritrovato contro ogni tipo di potere. Sulla fiancata della barca di Gianmaria Volontà che lo portava in Francia Scalzone c’era scritto un verso di Paul Valery: “Il vento si alza, bisogna tentare di vivere”. Lui ha sempre incarnato queste parole. Sempre sulle barricate. Scalzone oratore formidabile, lo ricordo sempre sommerso di libri, carte e giornali. Non è mai stato un comunista anche se da giovane è stato iscritto alla Fgci: nei fatti anticipa quelli che oggi si chiamano no global da Caruso in giù. A fianco degli operai che occupano le fabbriche e nelle lotte studentesche come a Roma, Napoli, Bologna, Milano. Viveva tra gli operai e con gli studenti: una sorta di icona del movimento studentesco. Poi venne sepolto vivo in esilio e continuamente sorvegliato come una bestia pericolosa.

Farà ancora paura? Adesso che farai? “farò una compagnia di giro, composta da me stesso e da chi ci vuol stare. Farò agitazione filosofica, culturale e sociale”. Farà, dice, il sindacalista dei rifugiati. Marco Pannella, destinato a diventare per molti una sorte di voce profetica che più a contribuito a distruggere gli stereotipi borghesi della morale e dell’etica in base al suo atteggiamento nei confronti della nonviolenza del potere politico e industriale, dello stato assassino. Il Partito radicale e compagnia possiamo dire che hanno sconvolto linguaggio, percezione e visione del mondo per la libertà, contro le ingiustizie, le guerre, l’odio e le incomprensioni. Andrea Casalegno dice che “per un giovane di oggi non è facile capire di che lacrime grondi e di che sangue la storia del 1977.

Quei fatti sembrano un brutto sogno: il susseguirsi delle manifestazioni che ogni volta ci scappava il morto. Ammazzare era un gioco. Il vero lavoro era uccidere”. Un esempio per tutti: l’uccisione di Giorgiana Masi. In un bel libro, abbastanza raro, elaborato dal “Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei” si raccolgono testimonianze e fotografie del fatidico 12 Maggio 1977 della morte di Giorgiana Masi, diciannovenne simpatizzante Radicale. Un proiettile nell’addome dopo un giorno passato nel centro di Roma a manifestare nonostante il ministro dell’interno Cossiga avesse vietato riunioni pubbliche. Giorgiana ed altri sfidarono il potere. In piazza c’ero anch’io. Il clima era rovente.

Giorgiana Masi

Giorgiana rimase vittima di una pallottola vagante sparata non si sa da chi, se per sbaglio o con dolo. Rimase ferito anche un carabiniere e un’altra ragazza.“La meccanica dell’assassinio di Giorgiana, si legge in questo libro, si può riassumere come “un omicidio di Stato”. E’ vostra diceva Antonello Trombadori la responsabilità della tragedia”. “Un delitto di Stato” tuonava Marco Pannella. “Vogliono criminalizzare l’opposizione democratica, parlamentare ed extraparlamentare; l’opposizione laica, libertaria, socialista, nonviolenta, alternativa; quella del progetto, del referendum. La violenza è stata solo dello stato. Disobbedire era necessario.

Il movimento femminista di Roma dice: “Giorgiana Masi è stata assassinata dal regime di Cossiga. Rivendichiamo il diritto di scendere in piazza, a riprenderci la libertà, la vita. Nessuna donna resterà in silenzio”.

A Giorgiana

…se la rivoluzione d’ottobre fosse stata di maggio

se tu vivessi ancora

se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio

se la mia penna fosse un’arma vincente

se la mia paura esplodesse nelle piazze

se l’averti conosciuta diventasse la nostra forza

se i fiori che abbiamo regalato alla tua coraggiosa vita nella nostra morte almeno diventassero ghirlande della lotta di noi tutte, donne..

se….

non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita

ma la vita stessa, senza aggiungere altro

Ecco perché ancora serve il suo esempio, da libertari, nonviolenti, laici, socialisti, liberali e radicali .

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Prima che la partitocrazia trasformi la povertà in miseria

di Giuseppe Candido

Le considerazioni finali del governatore Mario Draghi illustrate nell’importante relazione presentata all’Assemblea annuale della Banca d’Italia hanno provocato il plauso unanime non soltanto dei partiti ma anche dei sindacati. Eppure sono proprio quei partiti e quei sindacati, che da anni si mostrano restii a fare le necessarie riforme strutturali quali l’abolizione di enti inutili e l’innalzamento dell’età pensionabile, ad essere i principali imputati della grave situazione in cui oggi versa il nostro Paese e che gli italiani dovranno pagare con i loro sacrifici.

Se è vero che “la radice della crisi che investe il mondo da quasi tre anni sta in carenze regolamentari e di vigilanza nelle piazze finanziarie più importanti” e che in Europa “negli ultimi mesi le conseguenze della crisi hanno messo alla prova la coesione dell’area” dove, “L’imponente creazione di debito pubblico, in una fase in cui arrivano a scadenza sui mercati quantità straordinarie di obbligazioni bancarie, ha improvvisamente accresciuto il premio di rischio su alcuni debitori sovrani”, è anche vero, però, che proprio l’Italia è quel Paese in cui, stando alle parole della relazione, solo nel biennio 2008-2009, “il Pil è sceso di 6 punti e mezzo”, “il reddito reale delle famiglie si è ridotto del 3,4 %” e “le esportazioni sono cadute del 22%”. Draghi ci dipinge un’Italia in cui l’occupazione, nel 2009, è diminuita dell’1,4% e in cui i fallimenti di imprese, soprattutto di piccole imprese, sono stati 9.400. E se poteva ritenersi, fino a qualche mese fa, che l’Italia “sarebbe tornata a crescere ai pur modesti ritmi registrati nel decennio precedente la crisi” oggi, ha sottolineato il governatore Draghi, “l’esplodere della crisi greca potrebbe cambiare il quadro di riferimento”. E anche se la manovra finanziaria del Governo Italiano determinerà, entro il 2012, una “riduzione del disavanzo tendenziale pari a 24,9 miliardi” mediante la riduzione delle principali voci della spesa corrente che, negli ultimi dieci anni, era invece cresciuta, secondo il governatore Draghi, la correzione dei conti pubblici va accompagnata col rilancio della crescita e con le riforme strutturali che “la crisi rende più urgenti”. Ed è proprio in questi passaggi che si leggono, nelle parole del governatore, le vere cause della nostra situazione: “la caduta del prodotto accresce l’onere per il finanziamento dell’amministrazione pubblica, i costi della corruzione divengono ancora più insopportabili, la stagnazione distrugge capitale umano soprattutto tra i giovani”. Quando si parla di “Ripensare il perimetro e l’articolazione delle amministrazioni, per razionalizzare l’allocazione delle risorse, riducendo sprechi tra enti e livelli di governo” forse Draghi intende proprio quell’abolizione di province, comunità montane, consorzi di bonifica, che servono solo a garantire poltrone. Se si vuole diminuire i costi della politica, piuttosto che le indennità, perché non si decide di mettere fine a quella vera e propria ruberia legalizzata che sono i rimborsi elettorali che, sganciati da spese effettivamente dimostrate, hanno sostituito e rimpinguato il finanziamento pubblico dei partiti abolito dagli italiani col referendum del 93?

E affermare che l’evasione dell’Iva è pari al 16% del totale e comporta un mancato gettito di 30 miliardi di euro ogni anno – pari a due punti di Pil – significa denunciare chiaramente il fardello dell’economia sommersa, che è il conto salatissimo che l’Italia non può più pagare. Dagli scontrini non battuti per un caffè alle parcelle dei medici specialistici che ti ricevono nel loro studio lussuoso ma che non ti fanno la ricevuta, passando per il lavoro nero. D’altronde, se i controlli sono scarsi e le aliquote elevate, evadere conviene. Ma è proprio l’evasione fiscale che Draghi denuncia come “freno alla crescita perché richiede tasse più elevate a chi le paga, riduce le risorse per le politiche sociali, ostacola interventi a favore dei cittadini con redditi modesti”. Solo recuperando la metà dell’Iva evasa si sarebbero potuti recuperare in due anni trenta miliardi di euro anziché i 24 di lacrime e sangue che dovranno pagare i cittadini con l’aumento delle tasse locali e con il blocco degli stipendi statali che per alcune categorie sono già al di sotto della media europea. Se le tasse le pagano tutti, le pagheremo tutti meno. Un concetto semplice ma che, ahi me, è difficile da far applicare. Questo, invece, è il Paese dove ai docenti precari si tagliano le cattedre, si bloccano gli aumenti di stipendi mentre ai furbi e ai furbetti, a coloro che hanno accumulato per anni capitali all’estero senza pagare le tasse, gli viene dato lo scudo di protezione, la possibilità di far rientrare i capitali pagando solo il 5%. Ma se nel discorso sull’evasione la politica è implicata soltanto indirettamente, tranne qualche politico evasore che staticamente pur certo lo si troverà, il vero passaggio “anti partitocratico” di Draghi lo si legge quando il governatore ha parlato della corruzione: è su questo che la platea di politici ha fatto orecchi da mercante. Le “relazioni corruttive tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche, in alcuni casi favorite dalla criminalità organizzata, sono diffuse”. Nel Mezzogiorno – aveva detto in passato Draghi – queste “relazioni” diventano “pervasive”. “La corruzione frena lo sviluppo economico”. Probabile che per uscirne bisognerà dargli retta e dare retta anche a Pannella che da anni parla dello spaventoso debito pubblico italiano e oggi afferma che “La vera sfida, per l’Italia”, quella che bisogna affrontare con urgenza, sta nel “liberarsi dal regime partitocratico” prima che la povertà diventi anche miseria.

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