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Nell’Antropocene calabrese aspettare oltre sarebbe suicida

Secondo Jürgen Renn1, direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, viviamo oggi in una era nuova. L’Antropocene, la chiama: una era “geologica” nella quale “più del 75% della superficie terreste non ricoperta da ghiaccio è stata trasformata dall’uomo”. Per lo scienziato questa che stiamo vivendo è “l’era in cui la natura incontaminata non esiste più”.

di Giuseppe Candido

 Un’era in cui l’impronta ecologica della specie umana si sta facendo devastante.

Nell’ampia prolusione2 tenuta, il 3 marzo 2014 all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Bergamo, l’illustre cattedratico ha posto alcuni seri interrogativi ai “responsabili del pianeta”.

Abbiamo creato cambiamenti irreversibili, consumando le risorse naturali, liberando materiale radioattivo, alterando sia la biosfera sia l’atmosfera. Questo significa che il futuro del nostro pianeta sarà in larga parte forgiato dall’azione umana. Come possiamo essere – chiede Renn – all’altezza delle responsabilità che ci siamo presi? Che tipo di conoscenza serve? Come possiamo essere certi che la conoscenza guiderà la nostra risposta alle grandi sfide che ci attendono?”.

E aggiunge: “Chi può garantire che la scienza fornirà le risposte ai problemi creati da questi interessi politici ed economici? E anche se otteniamo le risposte, quali strutture saranno richieste per implementarle?”.

Come lo stesso Renn sa bene, questi sono “interrogativi enormi di cui nessuno conosce le soluzioni”.

Renn non è però il solo a parlare di “Antropocene” e di modello di sviluppo, come oggi lo conosciamo, non più sostenibile.

Nel settembre del 2012, durante il 6° World Urban Forum3 tenutosi a Napoli, il Partito Radicale Nonviolento Transazionale e Transpartito, quale ONG con Status Consultivo Generale di prima categoria presso l’ECOSOC delle Nazioni Unita, ha presentato una specifica relazione4 ad opera e coordinamento del Prof. Aldo Loris Rossi, docente di Urbanistica presso l’Università Federico II di Napoli e attivista storico del Partito Radicale.

Per Aldo Loris Rossi, quello che non si riesce a capire è che “il depauperamento delle risorse naturali, legato alla crescita senza sosta, rischia o minaccia la sopravvivenza del pianeta”.

La relazione presentata alle Nazioni Unite è in continuità con le tesi proposte oltre mezzo secolo fa e tutt’ora attuali, non solo per noi italiani, in particolare da Aurelio Peccei, dal Club di Roma, da Bruno Zevi e da Paul Erlic, Barry Commoner, Dennis Meadows; nonché con le lotte e proposte radicali di Marco Pannella sull’ambiente e sulla “questione napoletana”, dalla riorganizzazone territoriale con l’area metropolitana della “Grande Napoli” e per imporre la presa di coscienza del problema Vesuvio e della sismicità dell’intera area.

In questo senso il lavoro del Prof. Aldo Loris Rossi depositato presso le Nazioni Unite per conto del Partito Radicale, rappresenta un vero e proprio “manifesto” ecologista mondiale e un approfondimento prezioso già dall’incipit nel quale si notava come, al 2012, il ritmo di crescita della popolazione umana è aumentato vertiginosamente.

Se la popolazione mondiale ha impiegato 2 milioni di anni per giungere al primo miliardo di abitanti nel 1830 e 100 anni per il secondo, dal 1930 ne sono occorsi solo 30 per il terzo miliardo, 15 per il quarto, 13 per il quinto, 12 per il sesto, 13 per il settimo nel 2011. Intanto le metropoli in espansione tendono a formare sistemi sinergici con quelle prossime configurando megalopoli definite tali se superiori a 30 milioni di abitanti.(…)

(…) La sinergia delle due esplosioni, demografica e metropolitana, ha causato tra il 1950 e il 2000 il raddoppio della popolazione urbana (dal 25,4 % al 50,0 %) che ha superato quella rurale nel 2008. (…)

(…) Ma se la città tradizionale pre-industriale, cresciuta in simbiosi con la natura, non ha avuto alcun impatto sul pianeta, dalla rivoluzione industriale in poi l’habitat dell’uomo è mutato progressivamente e con legge esponenziale al punto da indurre il premio Nobel per la chimica 1955 Paul J. Crutzen a denominare tale era: Antropocene5, che oggi minaccia la sopravvivenza del pianeta. (…)

(…) Dunque, nel XX secolo si assiste alla più grande espansione demografica, urbana e economica della storia che ha rotto definitivamente l’equilibrio millenario Città-Natura6.

Dopo una premessa in cui si analizzano le cause storiche, nella relazione del prof. Rossi, si individua chiaramente come, tale insostenibilità “si manifesta attraverso patologie sempre più allarmanti”; patologie che – come si legge testualmente – “non possono essere più rimosse, minimizzate o ignorate dalle istituzioni7”.

Le patologie identificate come segno manifesto di un’impronta ecologica non più trascurabile sono riassumibili nei seguenti fenomeni:

  1. L’esplosione della bomba demografica;

  2. L’espansione permanente delle mega-cities e delle galassie megalopolitane;

  3. L’onnipotente sviluppo post-industriale, la globalizzazione mercatista e il controllo planetario delle risorse;

  4. La mutazione genetica post-fordista della produzione, della società, della metropoli;

  5. La globalizzazione di infrastrutture, mercati e sistemi urbani in un’unica weltstadt “infinita e senza forma”;

  6. L’ “Impronta ecologica” della città planetaria oltre i limiti della Natura;

  7. La distruzione progressiva del patrimonio storico e delle comunità tardo-antiche.

  8. Il consumismo come acceleratore esponenziale della produzione: la sua metamorfosi da vizio a virtù.

  9. L’apogeo e il tramonto dell’era dei combustibili fossili: il conflitto per il dominio mondiale delle energie.

  10. La crescita vertiginosa di rifiuti, inquinamento e effetto serra: l’ecocidio planetario;

  11. L’autoreferenzialità dell’architettura nella società consumistico spettacolare8.

Due punti di quel documento, il sesto e il decimo, riguardano direttamente quella peste ecologica di cui il caso Calabria rappresenta la punta di iceberg di un più ampio problema italiano, europeo e, più in generale, globale.

Nel documento presentato dal Partito Radicale si denuncia alle Nazioni Unite come, dette “patologie” sono ormai “giunte a un livello di pericolosità tale da minacciare, (…) la sopravvivenza del pianeta!”.

La sinergia tra tecnocrazia, economicismo e mercatismo ha continuato a ignorare l’ecocidio planetario in atto svelato e denunciato, dagli anni Settanta in poi, dalla nuova visione sistemica del mondo.

Essa ha evidenziato che il pianeta, in quanto ecosistema “vivente” in equilibrio autoregolato, non può più essere governato da tali principi e dalla politica del laisser-faire laisser-passer sempre più indifferenti alla gravità della crisi ambientale, energetica e metropolitana, pervenuta a un punto di rottura9.

Nel documento si parla esplicitamente della necessità di una “Nuova alleanza” con la natura. Necessaria, scrive Aldo Loris Rossi, “Se si vuole liberare la modernità dai « suoi disastrosi inconvenienti », ormai insostenibili, occorre con urgenza una strategia alternativa capace di perseguire” a livello globale, il “disinnesco della bomba demografica”, “la rifondazione del modello di sviluppo come sintesi di economia e ecologia”, “la città dell’era solare (Eliopolis) e delle energie rinnovabili: la riconversione dell’habitat planetario” e “la nuova civiltà entropica del riciclaggio, del controllo dell’inquinamento e dell’effetto serra10”.

Come giustamente nota Enrico Salvatori nell’intervistare il prof. Aldo Loris Rossi, si tratta di “un documento politico in undici punti nel quale si tenta di spiegare che il vecchio modello dello sviluppo illimitato industriale, che ha sempre considerato la natura come una riserva da sfruttare a volontà, ha già creato problemi ingovernabili”.

Un manifesto ecologista di stampo transnazionale che indica, però, soluzioni anche per quella peste ecologica che evidenziamo anche in Calabria, emblema del caso Italia. Cosa centra il disinnesco della “bomba demografica”, per la Calabria? È problema che non riguarda questa regione?

In merito alla sfida demografica basti rilevare che nella seconda metà del XX secolo l’incremento della popolazione tra le rive nord e sud del Mediterraneo è avvenuto ad un ritmo molto differenziato: nel 1950 quella nord registrava 150 milioni di abitanti, mentre la riva sud aveva meno de1la metà degli abitanti (73 milioni); nel 1970, rispettivamente 178 ml e 122 ml; ma nel 1990, i valori si invertono, 1999 ml contro 200; nel 1997, 202 ml della riva nord contro 233 ml di quella sud. Dunque gli squilibri tra le diverse rive del Mediterraneo sono preoccupanti ed esigono politiche concertate per affrontare la “sfida demografica”.
In particolare, il versante sud dell’Europa è formato da otto metropoli che superano il milione di abitanti: Valenza (1,5), Barcellona (2), Marsiglia (1,4), Genova (0,9-1), Roma (3), Napoli (3), Atene (3,2) e Istanbul (9). Mentre, sulla sponda opposta africana e su quella medio orientale, ritroviamo altre otto metropoli: Algeri (3,7), Tunisi (1,8), Tripoli (2), Alessandria (4), il Cairo (11), Beirut (1,9), Smirne (2), Damasco (2), in via di sviluppo. (…)11

Per la “megalopoli mediterranea”, secondo il documento del Partito Radicale, “emerge in tutta la sua importanza il ruolo dei Corridoi trans-europei da connettere alle «autostrade del mare» al fine di realizzare quel grande sistema intermodale capace di integrare la «megalopoli europea» e la «megalopoli mediterranea» in una nuova prospettiva unitaria”.

(…) Ma se l’Italia svolgerà sempre più una funzione di cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea, quale sarà il ruolo del Mezzogiorno in tale contesto?
In realtà – si legge nella relazione del Prof. Loris Rossi – questo ruolo emergerà naturalmente nella misura in cui si realizzerà la suddetta “zona di libero scambio” euro-mediterranea.
L’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea. Il Mezzogiorno come piattaforma logistica intermodale proiettata nella “zona di libero scambio”. (…)

(…) Dunque emerge il ruolo centrale del Mezzogiorno articolato in tre piattaforme logistiche: la Tirrenica-sud, formata dalla piattaforma ferroviaria di Marcianise, dal nodo di Nola e dai porti di Napoli, Salerno e Gioia Tauro; l’Adriatica-sud, costituita dal nodo di Pescara, dal nodo ferrovia-rio e portuale di Bari e Brindisi-Taranto; la Mediterraneo-sud, con i porti di Palermo, Catania e Cagliari (hub).12

In pratica, è l’intero pianeta che rischia di morire a causa della peste ecologica. Il rapporto “State of the World 2013”13 del Worldwatch Institute, si domanda se sia ancora possibile la sostenibilità. Nell’edizione italiana curata da Gianfranco Bologna da oltre vent’anni, si afferma come ciò sia possibile solo con “una nuova cultura e una nuova economia”.

Nel rapporto sullo stato del nostro pianeta, prestigiosi ricercatori assieme ad alcuni tra i maggiori esperti internazionali di economia ecologica, scienze del sistema Terra, scienza della sostenibilità, scienze sociali e protagonisti della società civile, annualmente “si interrogano su un tema cruciale per l’intera civiltà umana e cioè se, allo stato attuale della situazione, sia ancora possibile per l’umanità imboccare una rotta di sostenibilità dei propri modelli di sviluppo sociale ed economico14”.

È lo stesso Gianfranco Bologna a notare come Kate Raworth, una delle prestigiose autrici del World State 2013, ricercatrice “seniordi Oxfam e docente presso l’Environmental Change Institute della Oxford University, scrive che:

Ogni pilota conosce l’importanza della bussola per il volo, senza di essa correrebbe il rischio di andare fuori rotta. Per questo le moderne cabine di pilotaggio sono dotate di una vasta gamma di strumenti e quadranti, dalla bussola all’indicatore del carburante, dall’altimetro al tachimetro. È un vero peccato quindi che i decisori economici non si siano avvalsi di tali strumenti per pianificare il corso dell’intera economia. Negli ultimi decenni, si è dimostrato un eccessivo interesse per il prodotto interno lordo (PIL) come indicatore dell’andamento economico nazionale; ciò equivale a pilotare un aereo servendo- si del solo altimetro che mostra le variazioni di altitudine senza però fornire dati sulla direzione o sulla quantità di carburante disponibile. Un tale interesse per la produzione economica monetizzata non riesce a riflettere il crescente degrado delle risorse naturali, il lavoro inestimabile ma non retribuito di assistenti e volontari e le sperequazioni del reddito che conducono molti individui in tutte le società alla povertà e all’esclusione sociale. Il dominio del PIL ha abbondantemente superato la sua legittimità: è necessario impiegare una strumentazione più adeguata che ci permetta di navigare nel 21° secolo in direzione dell’equità e della sostenibilità. Fortunatamente si stanno mettendo a punto indicatori più adeguati15”.

Sull’ambiente, siamo governati da piloti che, pur avendo gli strumenti, non ne tengono conto.

Ciò è vero sul piano globale, ma anche per il livello locale quando si parla di governo dei territori nelle regioni del nostro Paese. E il caso Calabria ne è un tragico esempio. Molto spesso le comunità locali credono che consumare suolo dissennatamente per costruire case, sia un modo di promuovere lo sviluppo e l’economia. Il problema dei rifiuti viene sottovalutato, non si tiene adeguatamente conto e non si informano adeguatamente le popolazioni dei rischi geologico-ambientali.

Nel citato rapporto sullo Stato del pianeta 2013, è delineato chiaramente il quadro che abbiamo, oggi, davanti a noi su scala globale:

1) Tutti gli avvertimenti, documentati e motivati, che si sono succeduti in questi ultimi decenni sulla gravità della situazione ambientale in cui versa la nostra biosfera, sebbene siano stati oggetto di ampi dibattiti, polemiche e iniziative politiche di vario tipo, nel complesso non si sono tradotti in urgenti misure per cambiare decisamente rotta ai nostri modelli di sviluppo socioeconomico;

2) La conoscenza della comunità scientifica internazionale sul Global Environmental Change (GEC) è progredita in maniera impressionante in questi ultimi decenni e ci ha condotto alla comprensione che stiamo vivendo in pratica un nuovo periodo geo- logico (un vero battito di ciglia nella storia del nostro pianeta che data 4,6 miliardi di anni) non a caso, definito Antropocene, a dimostrazione delle prove ingenti sin qui raccolte che dimostrano quanto gli effetti dell’intervento umano sulla natura siano or- mai paragonabili agli effetti delle grandi forze geologiche che hanno modificato il pia- neta nella sua intera storia e che la nostra pressione sui sistemi naturali ci sta sempre più urgentemente conducendo verso alcuni punti critici, oltrepassati i quali per la no- stra civiltà sarà veramente difficile o impossibile reagire adeguatamente;

3) L’inazione politica, l’utilizzo costante dell’attesa, della deroga, del rimando, la lentezza dei processi democratici nel prendere decisioni importanti per l’intera civiltà umana sono sotto gli occhi di tutti e certamente non aiutano a risolvere i problemi che, con il passare del tempo, non fanno altro che aggravarsi16.

A giugno del 2013, la Population Division delle Nazioni Unite ha pubblicato i dati sulla popolazione mondiale aggiornando i dati al 2012.

Gianfranco Bologna nel curare la sua pubblicazione annuale del rapporto sullo stato di salute del pianeta,

La popolazione attuale è di 7,2 miliardi e si prevede incrementerà di un miliardo entro i prossimi 12 anni, raggiungendo gli 8,1 miliardi nel 2025 e i 9,6 miliardi nel 2050. Nel World Population Prospects precedente, quello del 2010, la popolazione prevista al 2050 per la variante media (le Nazioni Unite analizzano, in ogni rapporto, le varianti bassa, media e alta nonché la variante costante, ma la più credibile rispetto a quanto poi si verifica nella realtà è quella media) era di 9,3 miliardi.

Nel nuovo Prospects l’indicazione per il 2050 è di 9,6 miliardi, con la previsione di un incremento di 300 milioni rispetto alla previsione precedente, dovuta alla revisione dell’andamento del livello dei tassi di fertilità totale (il numero di figli/figlie che ha una donna nell’arco della propria esistenza riproduttiva) di diversi paesi in via di sviluppo. Sempre secondo la variante media la popolazione mondiale, al 2100, passerebbe quindi dalla precedente previsione (2010) di 10,1 miliardi a quella dell’attuale rapporto di 10,9 miliardi (quindi quasi 11 miliardi).

La maggior parte della crescita della popolazione avrà luogo nelle regioni in via di sviluppo che si prevede incrementeranno la popolazione dai 5,9 miliardi nel 2013 agli 8,2 del 2050. La crescita sarà abbastanza rapida in 49 paesi in via di sviluppo che vedranno la loro popolazione passare da circa 900 milioni del 2013 a 1,8 miliardi nel 2050 (tra questi paesi vi sono, per esempio, la Nigeria, il Niger, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, l’Uganda, l’Afghanistan). Nello stesso periodo la popolazione delle regioni sviluppate rimarrà abbastanza stabile, intorno a 1,3 miliardi. Una significativa crescita della popolazione globale, nel periodo che va da ora al 2050, avrà luogo in Africa, dove la popolazione incrementerà da 1,1 miliardi attuali ai 2,4 miliardi nel 2050, raggiungendo potenzialmente, addirittura, i 4,2 miliardi nel 2100, alla fine del secolo.

L’impatto della specie umana sui sistemi naturali è stato riassunto in una famosa equazione pubblicata nel 1971, dai grandi studiosi Paul Ehrlich, il notissimo ecologo del- la Stanford University e John Holdren, esperto energetico, allora alla California University di Berkeley e poi divenuto, con l’amministrazione Obama, capo scientifico della Casa Bianca. Secondo l’equazione di Ehrlich e Holdren, l’impatto (I) dell’attività uma- na è il prodotto di tre fattori: la dimensione della popolazione (P), il suo tenore di vita (A, dall’inglese affluence) espresso in termini di reddito pro capite, e la tecnologia (T), che indica quanto impatto produce ogni dollaro che spendiamo. L’equazione di Ehrlich e Holdren ci dice con chiarezza che è impossibile ridurre l’impatto umano sui sistemi naturali intervenendo semplicemente su uno solo dei tre fatto- ri che la compongono. È necessario, infatti, intervenire su tutti e tre17.

Quello della crescita demografica, è problema che il Partito Radicale come ONG propone ormai da anni con l’associazione “Rientro dolce”.

Un problema che sta determinando l’avanzare della peste ecologica.

Minxin Pei, esperto di governo della Repubblica popolare cinese di rapporti Usa-Asia e di processi di democratizzazione nei paesi in via di sviluppo, attualmente direttore del centro di studi strategici presso il Claremont McKenna College in California, nell’articolo ripreso lo scorso 21 novembre 2013 dal settimanale L’Espresso per traduzione di Anna Bissanti, parala esplicitamente di una Cina sovrappopolata, devastata dal punto di vista ecologico e di dati sull’inquinamento, non tanto dell’aria difficile da nascondere, ma dell’acqua e del suolo, tenuti segreti da Pechino.

Penuria d’acqua, inquinamento idrico del fiume Yangtze, risorsa vitale per mezzo miliardo di persone e l’inquinamento del suolo da pesticidi agricoli e metalli pesanti, per un’estensione del 10% del suolo coltivato, sono difficili da nascondere.

Già ora, nota lo l’esperto, “i raccolti coltivati su questi terreni devono essere controllati accuratamente”, concludendo che, “di questo passo, la Cina dovrà affrontare presto una grave crisi della sicurezza alimentare. Una crisi alimentare nella nazione più grande e popolosa del mondo, la seconda economia più importante al mondo, che avrà ripercussioni spaventose a livello globale”.

Una bomba ecologica: la peste ecologica è problema globale, ma che però deve essere affrontato a partire dalle realtà locali, non in modo indipendente da una visione olistica d’insieme che faccia da linea guida, da bussola a chi le decisioni le deve prendere.

Parliamo di “sviluppo sostenibile”, ma spesso si fa mota confusione.

Per Gianfranco Bologna, “volendo semplificare il concetto in una semplice definizione, possiamo affermare che la sostenibilità significa imparare a vivere in una prosperità equa e condivisa con tutti gli altri esseri umani, entro i limiti fisici e biologici dell’unico pianeta che abitiamo: la Terra18”.

Per Gianfranco Bologna, curatore dell’edizione italiana del rapporto State of the World da oltre vent’anni,“La continua inazione ha aggravato la situazione19”. “Il 1972” – ricorda Gianfranco Bologna – “costituì un anno particolare per la crescente consapevolezza delle problematiche ambientali nelle società di tutto il mondo20”.

In quell’anno le Nazioni Unite organizzarono la prima grande conferenza internazionale per far confrontare i governi di tutti i paesi sull’analisi di un quadro sempre più preoccupante, relativo allo stato di salute dei sistemi naturali, e sulle proposte da concordare e attuare per migliorare la situazione. Era il giugno del 1972 e a Stoccolma si tenne la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano. Si riunirono i rappresentanti dei governi di oltre cento paesi con studiosi, esperti e rappresentanti di oltre 400 organizzazioni governative e non governative, mettendo a confronto i problemi dei paesi del Nord del mondo, ricchi e industrializzati, con quelli del Sud, poveri e desiderosi di ottenere maggiore crescita economica. La Conferenza trattò i temi delle risorse ambientali e della loro gestione, del nostro impatto sulla natura e degli inquinamenti da noi provocati, sollecitando giuste mediazioni tra le esigenze della tutela ambientale e dello sviluppo economico e sociale. Da allora si è aperto un vero e proprio periodo di “ecodiplomazia internazionale” mirato a trovare soluzioni a tali problemi e ad avviare percorsi di sostenibilità dei nostri processi di sviluppo socioeconomico, mentre sono state realizzate altre tre grandi Conferenze del- le Nazioni Unite sui problemi dell’ambiente e della sostenibilità del nostro sviluppo: a Rio de Janeiro nel giugno 1992 (l’Earth Summit, il Summit della Terra e cioè la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo), a Johannesburg nell’agosto 2002 (il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile) e di nuovo a Rio de Janeiro nel giugno 2012 (la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile21).

Qualche mese prima della Conferenza di Stoccolma, il 12 marzo 1972, presso la prestigiosa Smithsonian Institution a Washington, – ricorda Gianfranco Bologna – “un gruppo di giovani studiosi del System Dynamics Group dell’autorevole MIT, coordinati da Dennis Meadows, presentò un rapporto voluto dal Club di Roma, con un titolo molto chiaro The Limits to Growth22.

(…) La ricerca del MIT si proponeva di definire le costrizioni e i limiti fisici relativi alla moltiplicazione del genere umano e alla sua attività materiale sul nostro pianeta. Si trattava di fornire risposte concrete ad alcune domande fondamentali per il nostro futuro: che cosa accadrà se la crescita della popolazione mondiale continuerà in modo incontrollato? Quali saranno le conseguenze ambientali se la crescita economica proseguirà al passo attuale? Che cosa si può fare per assicurare un’economia umana capace di soddisfare la necessità di un benessere di base a tutti e anche di mantenersi all’inter- no dei limiti fisici della Terra? (23)

Le conclusioni dello studio furono le seguenti:

1) Nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.

2) È possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddisfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all’opportunità per ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.

3) Se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione. (24)

Occorre fare bene e occorre fare subito, insomma.

Poi, come lo stesso Gianfranco Bologna ci ricorda esplicitamente nel rapporto 2013 sullo Stato del nostro pianeta da lui curato, vent’anni dopo il Club di Roma, “nel 1992, l’anno della “grande Conferenza” dell’ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro, Donella e Dennis Meadows e Jorgen Randers, i tre principali autori del rapporto originale del MIT del 1972, pubblicarono, a distanza di venti anni, un’ottima rivisitazione di quel rapporto. In questa nuova versione gli autori dello studio riformulano i tre punti pubblicati come conclusioni al primo rapporto del 1972 nel modo seguente:

1) L’impiego di molte risorse essenziali e la produzione di molti tipi di inquinanti da parte dell’umanità hanno già superato i tassi fisicamente sostenibili. In assenza di significative riduzioni dei flussi di energia e materiali, ci sarà nei prossimi decenni un declino incontrollato della produzione industriale, del consumo di energia e della produzione di alimenti pro capite.

2) Questo declino non è inevitabile. Per non incorrervi, sono necessari due cambiamenti. Il primo è una revisione complessiva delle politiche e dei modi di agire che perpetua- no la crescita della popolazione e dei consumi materiali. Il secondo è un drastico, veloce aumento dell’efficienza con la quale materiali ed energia vengono usati.

3) Una società sostenibile è, dal punto di vista tecnico ed economico, ancorapossibile. Potrebbe essere molto più desiderabile di una società che tenta di risolvere i propri problemi affidandosi a un’espansione costante. La transizione verso una società sostenibile richiede un bilanciamento accurato tra mete a lungo e a breve termine, e una accentuazione degli aspetti di sufficienza, equità, qualità della vita, anziché della quantità di prodotto. Essa vuole, più che produttività o tecnologia, maturità, umana partecipazione, saggezza.” (25)

Per come testualmente si legge nel rapporto, “le conclusioni del rapporto MIT-Club di Roma rivisitato venti anni dopo rappresentano l’essenza delle analisi, delle riflessioni e delle proposte per avviare, nel concreto, una sostenibilità del nostro sviluppo sulla Terra26”.

I tre eminenti ricercatori, nel nuovo rapporto del ’92, ribadiscono “i punti fondamentali che hanno impedito di indirizzare verso una strada di minore insostenibilità” il modello di sviluppo socioeconomico:

1) La crescita dell’economia fisica è considerata desiderabile; essa è al centro dei nostri sistemi politici, psicologici e culturali. Quando la popolazione e l’economia crescono, tendono a farlo in modo esponenziale. 2) Vi sono limiti fisici alle sorgenti di materiali e di energia che danno sostegno alla popolazione e all’economia e vi sono limiti ai serbatoi che assorbono i prodotti di scarto delle attività umane. 3) La popolazione e l’economia in crescita ricevono, sui limiti fisici, segnali che sono distorti, disturbati, ritardati, confusi o non riconosciuti. Le risposte a tali segnali sono ritardate. 4) I limiti del sistema non sono solo finiti, ma anche suscettibili di erosione quando vengano sollecitati o sfruttati all’eccesso. Vi sono inoltre forti elementi di non linearità – soglie superate le quali i danni si aggravano rapidamente e possono anche diventare irreversibili. (27)

Questo “elenco di cause del collasso” è al tempo stesso, “un elenco dei modi che consentono di evitarli”.

“Per indirizzare il sistema verso la sostenibilità e la governabilità”, si nota nel rapporto, “basterà rovesciare le medesime caratteristiche strutturali:

1) La crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da retroazione derivante da limiti esterni già superati. 2) I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l’efficienza del capitale. In altri termini, occorre ridurre l’impronta ecologica e ciò può avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno energia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità (ridistribuire i benefici dell’uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per l’ambiente fisico). 3) Sorgenti (sources) e serbatoi (sinks) devono essere salvaguardati e, ove possibile, risanati. 4) I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la società deve guardare più lontano e agire sulla base di costi e benefici a lungo termine. 5) L’erosione dei sistemi ecologici deve essere prevenuta e, dove sia già in atto, occorre rallentarla e invertirne il corso”. (28)

Il dibattito scientifico sull’Antropocene è ormai vivacissimo.

(…) La consapevolezza della dimensione antropocenica nella quale ci troviamo ha condotto tanti scienziati ad approfondire le ricerche e a cercare le soluzioni. Paul e Anne Ehrlich, famosi ecologi della Stanford University, qualche anno fa hanno lanciato un grande progetto internazionale definito Millennium Assessment of Human Behaviour (MAHB) che si è poi trasformato nel Millennium Alliance for Humanity and the Biosphere.

(…) Tra i compiti più importanti delle azioni del MAHB vi è proprio la realizzazione di di- battiti pubblici sulle cause del comportamento autodistruttivo dell’umanità, quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, discutendone anche le dimensioni etiche e indagando come l’evoluzione culturale possa dirigersi verso la creazione di una società globale sostenibile.

Il quadro della situazione dei sistemi naturali del nostro meraviglioso pianeta è sempre più drammaticamente chiaro agli scienziati di tutto il mondo e non possiamo rimandare ancora nel muoverci speditamente per cambiare rotta e imboccare la strada di una maggiore sostenibilità dei nostri modelli di sviluppo.

(…) La tutela della biodiversità, la ricchezza della vita sulla Terra, è fondamentale per la so- pravvivenza umana. Il valore sociale, economico, culturale, spirituale e scientifico del- la biodiversità è realmente incalcolabile.

(…) Gli studiosi ci ricordano chiaramente che una crescita economica incontrollata è insostenibile in un pianeta con limiti biofisici evidenti. I governi devono riconoscere le se- rie limitazioni presentate dal PIL (il prodotto interno lordo) come misura e indicatore della crescita e della ricchezza di un paese. Il PIL quindi deve essere assolutamente integrato con altri indicatori ambientali e sociali che diano il senso compiuto di cosa significhi realmente la ricchezza di un paese. Inoltre è necessario istituire delle tasse ecologiche ed eliminare rapidamente tutti i sussidi perversi forniti dai governi alle attività dannose per l’ambiente e il nostro futuro. (29)

Tutto questo, si obbietterà, è valido a scala globale, planetaria, ma che c’entra il rapporto sullo stato del pianeta con la nostra Calabria e i suoi evidenti problemi ambientali ed ecologici?

È lo stesso curatore del rapporto a spiegarlo.

La ricerca scientifica e il dibattito sugli ormai sempre più famosi tipping point (i punti critici) che l’impatto umano può provocare nei sistemi naturali a livello globale, – nota Bologna – si sta arricchendo sempre di più.

(…) Gli scienziati ritengono plausibile il raggiungimento di un punto critico (tipping point) su scala planetaria che richiede ovviamente una grandissima attenzione da parte di noi tutti e una raffinata capacità scientifica di registrare i primi segnali di allerta (…).

(…) Gli ecologi sanno bene che i tipping point esistono e si manifestano negli ecosistemi a livello locale e regionale e tantissime situazioni sono state ormai ben studiate e approfondite. Per fare solo un semplice esempio, se a un lago vengono aggiunte parecchie sostanze nutrienti, le sue proprietà ecologiche tendono a continuare finché il lago improvvisamente entra in un nuovo stato, in una situazione di eutrofizzazione dove le acque da limpide diventano torbide e le comunità di piante e pesci e altri organismi cambiano completamente. Riportare le condizioni del lago allo stato preesistente è possibile ma a costo di sforzi imponenti e costosi per le società umane.

(…) Recentemente altri studiosi, come Barry Brook, Erle Ellis, Michael Perring, Anson Mackay e Linus Blomqvist, pur sottolineando la drammaticità della situazione dei si- stemi naturali dovuta all’intervento umano, non ritengono però che queste condizioni si possano applicare globalmente alla biosfera planetaria. Per avere un tipping point planetario, essi ritengono che le forze prodotte dall’umanità dovrebbero essere praticamente uniformi su tutta la biosfera, tutti gli ecosistemi dovrebbero rispondere a tali forze nelle stesse maniere e questo dovrebbe essere trasmesso rapidamente attraverso i vari ecosistemi nei vari continenti. Persino i fenomeni dovuti al cambiamento climatico, così evidenti in tutto il pianeta, non rispondono a questi requisiti secondo questi studiosi. Alcuni ecosistemi in diverse regioni subiscono, per esempio, prolungati periodi di siccità e altri invece forti e con- centrati periodi di piovosità. Secondo Brook e colleghi, l’umanità sta producendo massicci cambiamenti nei sistemi naturali della biosfera, con effetti diversi nei diversi ecosistemi, comunità o specie. La risposta della biosfera alle pressioni umane è rappresentata dalla somma di tutti questi cambiamenti.

Diventa quindi sempre più importante comprendere e gestire l’evoluzione degli ecosistemi a livello locale e regionale. (30)

Ecco perché il discorso sugli aspetti ecologici globali ha riflessi importanti, secondo noi, anche con quelli regionali di una realtà come la Calabria.

Quello che si rischia, entro il 2050, sono situazioni molto gravi di sofferenza per l’intero genere umano. È estremamente importante un’azione rapida e condivisa per intervenire su cinque grandi elementi che causano la disgregazione dei sistemi naturali e che sono strettamente interconnessi fra di loro: 1) il degrado del sistema climatico; 2) i processi di estinzione delle specie viventi; 3) la perdita della diversità degli ecosistemi; 4) l’avanzamento degli inquinamenti dei sistemi naturali; 5) la crescita della popolazione umana e dei livelli di consumo.

L’avanzamento dei fenomeni di inquinamento come il malgoverno del territorio devono essere urgentemente arrestati, ma per farlo, l’abbiamo detto più volte, serve un cambiamento di cultura radicale.

Secondo Gianfranco Bologna, tutti noi, nel nostro piccolo, dovremmo diventare “soggetti moltiplicatori” di questi messaggi “per cercare concretamente di modificare in positivo gli attuali andamenti dei nostri processi di sviluppo socioeconomico”.

Ma c’è anche un’altro aspetto del “caso” Calabria che, direttamente, coinvolge le politiche del Partito Radicale sull’ambiente. Ed è quello legato alla lotta per il diritto alla conoscenza, per il diritto, cioè, delle popolazioni a conoscere i dati relativi ai rischi geologici e ai rischi ambientali.

«Isolando la scienza dai suoi contesti sociali, non si comprendono le sue relazioni effettive. La scienza» – aggiunge Renn nella sua prolusione citata – «è soltanto una forma particolare di conoscenza. La conoscenza è un aspetto fondamentale della cultura umana, ben più ampio della scienza. La conoscenza deriva dalla riflessione sulle nostre azioni precedenti, consentendoci di progettare quelle future31».

Ai responsabili del pianeta e, in generale, della cosa pubblica, Jürgen Renn fa notare che:

«La conoscenza non ha soltanto una dimensione cognitiva, ma anche sociale e materiale. Può essere comunicata, condivisa e immagazzinata tramite rappresentazioni esterne come congegni, manufatti e testi». Con la rivoluzione scientifica di Einstein, per Jürgen Renn, «vi è stata una trasformazione che ha riguardato non solo la scienza, ma più in generale le strutture della conoscenza. L’evoluzione della conoscenza è prodotta dalle strutture sociali32».

La conoscenza dei dati dell’inquinamento ambientali, la conoscenza dei luoghi a rischio dissesto, la conoscenza della sismicità locale e della vulnerabilità del patrimonio edilizio, sarebbero fondamentali per salvare vite umane oltre che per risparmiare un sacco di soldi. Il diritto alla conoscenza dovrebbe essere garantito, l’abbiamo detto tante volte, come diritto umano inviolabile.

Per capire, invece, quanto poca importanza sia data, oggi, da parte di una regione come la Calabria, alla conoscenza di quei dati ambientali e dell’uso delle risorse naturali che pure dovrebbero essere pubblici, è stato sufficiente andare a cercare sul sito del Consiglio regionale della Calabria nella sezione dedicata all’amministrazione trasparente. Nulla, a marzo 2014, non si trova nulla. Anche delle informazioni ambientali la cui trasparenza, oltreché dalla convenzione di Aarhus, dovrebbe essere ormai garantita dalla semplice applicazione dell’articolo 40 del D. Lgs. n. 33 del 2013, non si sa nulla.

Nell’ambito delle informazioni ambientali, sul sito della regione Calabria, sia che si cerchino i dati sullo stato dell’ambiente, sia che si voglia sapere quali siano i fattori di rischio o le misure incidenti sull’ambiente con le relative analisi di impatto, sia che si voglia conoscere le misure adottate a protezione dell’ambiente, e sia che si cerchi la relazione sull’attuazione della legislazione o, soprattutto, quella sullo stato di salute e della sicurezza umana, la risposta che, in automatico, costantemente si genera, è sempre la stessa: “Sezione in aggiornamento”.

NOTE

1 Jürgen Renn è direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, docente di Storia della Scienza all’Università Humboldt e Visting, e docente presso la Boston University. Tra i più conosciuti e apprezzati studiosi del pensiero e dell’opera di Albert Einstein, ha scritto e curato numerosi lavori tra cui, in italiano, il libro Sulle spalle di giganti e nani: la rivoluzione incompitua di Albert Einstein, (Bollati Boringhieri, Torino, pp.360)

2 Il testo della prolusione citato è stato anticipato, in sintesi, nella rubrica Scienza e Filosofia, su Domenica, inserto de Il Sole 24 Ore, Domenica 2 Marzo 2014, n°60

3 Il World Urban Forum 6 è la più importante conferenza a livello mondiale sulle questioni urbane promossa da UN-Habitat alla quale partecipano Capi di Stato, rappresentanti di Governi, esperti, organizzazioni della “società civile”, Università, imprenditori e migliaia di delegati da oltre 160 paesi che si confronteranno sul tema “Il Futuro urbano”

4 Aldo Loris Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Relazione del Partito Radicale, 6° World Urban Forum, 1-7 settembre 2012, Napoli (fonte: Notizie.Radicali.it/node/5234).

5 Per Crutzen, precisa lo stesso Loris Rossi nella sua relazione, «A segnare l’inizio dell’Antropocene sono state la Rivoluzione industriale e le sue macchine, che hanno reso molto più agevole lo sfruttamento delle risorse ambientali. Se dovessi indicare una data simbolica, direi il 1784, l’anno in cui l’ingegnere scozzese James Watt inventò il motore a vapore. L’anno esatto importa poco, purché si sia consapevoli del fatto che, dalla fine del 18° secolo, abbiamo cominciato a condizionare gli equilibri complessivi del pianeta. Pertanto propongo di far coincidere l’inizio della nuova epoca con i primi anni dell’Ottocento» (2005).

6 A. L. Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Op.cit.

7 Ibidem

8 Ibidem

9 Aldo Loris Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Op. cit.

10 Ibidem

11 Ibidem

12 Aldo Loris Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Op. cit.

13 Bologna G. (a cura di), State of the World 2013Is Sustainability Still Possible? – Worldwatch Institute, Edizioni Ambiente, Milano, Agosto 2013

14 Bologna G. (a cura di), La sostenibilità è possibile? Solo con una nuova ccultura e una nuova economia, ne: State of the World 2013 – Op. cit., p.9-13

15 Bologna G. (a cura di), La sostenibilità è possibile? Solo con una nuova cultura e una nuova economia, ne: State of the World 2013 – Op. cit., p.10

16 Bologna G. (a cura di), Op. cit., p.11

17Bologna G. (a cura di), Ivi, Op. cit., p.12

18 Bologna G. (a cura di), L’Uso improprio del termine sostenibilità, ne: State of the World 2013 – Op. cit., p.13

19 Bologna G. (a cura di), Dal 1970 a oggi: la continua inazione ha aggravato la situazione, ne: State of the World 2013, Op. cit., p.14

20 Bologna G., Ibidem

21 Bologna G., Ibidem

22 Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J. e Behrens III W.W., I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972.

23 Bologna G. (a cura di), Dal 1970 a oggi: la continua inazione ha aggravato la situazione, ne: State of the World 2013, Op. cit., p.15

24 Bologna G. (a cura di), Ibidem

25 Bologna G. (a cura di), Dal 1970 a oggi: la continua inazione ha aggravato la situazione, ne: State of the World 2013, Op. cit., p.17

26 Bologna G., Ibidem

27 Bologna G., Ivi, p.17.18

28 Bologna G., Ivi, p.18

29 Bologna G., Ivi, p.23

30 Bologna G., ivi, p.25

31T esto della prolusione di Renn J., in sintesi, ne Scienza e Filosofia, su Domenica, inserto de Il Sole 24 Ore, Op. cit.

32 Renn J., in sintesi, ivi

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SENTENZA SCOPELLITI: IL “MODELLO SFREGIO” UMILIA LA CALABRIA

SCELTA CIVICA PRONTA AL VOTO

Riceviamo e pubblichiamo
Cosenza – “Siamo passati dal Modello Reggio al Modello Sfregio: ecco cosa ha fatto il centrodestra, altro che buon governo! Adesso si può restituire dignità alle istituzioni calabresi tornando velocemente alle urne”, così Katia Stancato, coordinatrice di Scelta Civica Calabria, commenta la sentenza a carico del Governatore Giuseppe Scopelliti e le recenti notizie di dimissioni.
“Lasciamo stare le ovvietà sull’innocenza fino al terzo grado di giudizio, queste sono considerazioni che attengono ai giuristi, qui parliamo di politica. Se lo ricordino i membri della Giunta che si sono permessi di attaccare in maniera ignobile la magistratura” – ha detto la Stancato – “Diamo atto a Scopelliti di aver annunciato prontamente le dimissioni assieme alla sua Giunta. È una questione di dignità delle istituzioni che viene prima, molto prima, del destino individuale di ognuno di noi”.
“Anche se non ci fosse stata la legge Severino, che per inciso fu votata anche da chi oggi grida allo scandalo, Scopelliti avrebbe dovuto lasciare e con lui l’intera Giunta regionale: è evidente infatti che di fronte ad un fatto così grave è giusto rimettersi al popolo calabrese perché possa esprimersi. Scopelliti ha tutto il diritto di difendersi in aula e, se ci riesce, dimostrare la sua innocenza ma deve farlo da privato cittadino” – ha continuato la coordinatrice di Scelta Civica.
“La verità è che il centrodestra calabrese ha fallito la sua funzione storica, nella quale pure in tanti hanno creduto: come si è visto bene anche a Catanzaro infatti, il sistema di malgoverno, nepotismo, clientelismo è stato tutt’altro che combattuto bensì alimentato e foraggiato in modo da continuare le stesse bieche pratiche che a parole si dichirava di voler combattere” – ha aggiunto la Stancato – “Ora andiamo al voto e Scelta Civica è pronta a costruire una seria alleanza alternativa a questo stato di cose: ce lo chiedono i calabresi, ce lo chiede la Calabria che merita di più e di meglio”.
“In questo momento c’è bisogno di un sussulto di dignità da parte di tutta la classe dirigente calabrese. Per questo trovo francamente imbarazzante l’ipotesi di una staffetta per assicurare una buonauscita europea a Scopelliti: non copriamoci di ridicolo in Europa candidando un Governatore appena condannato oppure smettiamo di lamentarci se tutto quello che sapremo raccogliere sono stupore e biasimo. Io fossi un cittadino inglese o spagnolo non potrei fare altrimenti” – ha concluso la Stancato.

28-03-2014

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Come spendere quei fondi europei

Commissario Hahn
Commissario Hahn

di Giuseppe Candido

Pubblicato su la rubrica “Opinioni & Commenti” de Il Quotidiano della Calabria del 20 marzo 2014

La Calabria, nei prossimi anni, dovrà gestire e spendere, attraverso il POR 2014-2020, circa 11 miliardi di euro; il 50% dei fondi comunitari previsti per le cinque regioni Obiettivo 1.
Ce ne sarebbe da ricostruire la regione ex novo. Purtroppo, però, come tristemente raccontano i dati ufficiali, il Sud spende, in media, solo la metà dei fondi a disposizione (il 48,3%, per la precisione). Tanto per fare un esempio, di quasi due miliardi di euro del Programma Operativo Regionale (POR 2007-2013) relativi al “Fondo Europeo di Sviluppo Regionale” (FESR), in Calabria, a fine febbraio 2014, la spesa certificata era di 729 milioni di euro.
Lunedì 17 marzo, Giacomo Mancini, assessore al Bilancio della giunta Scopelliti che guida la regione dal 2010, ha tracciato il bilancio dei fondi 2007/2013 annunciando di non voler più ripetere gli errori del passato. Per questo, si legge sui quotidiani locali, sarà introdotto “un percorso di discontinuità nella programmazione dei fondi europei”.
Dopo aver governato quattro delle sette annualità del POR Calabria 2007-2013, la regione si rende finalmente conto che c’è bisogno di discontinuità. In effetti, il 14 luglio dell’estate scorsa, Enrico Marro e Valentina Santarpia, pubblicarono sul Corriere della Sera, su questo tema dei fondi comunitari, un articolo dal titolo assai eloquente: “Fondi UE, l’Italia spende poco e male. Ora si rischia di perdere 5 miliardi”. Si parlava, nell’articolo, di un tesoretto di trenta miliardi che, con questi chiari di luna, è allucinante che ancora non fosse stato speso in porgetti adeguati.
Alla data cui si riferiva l’articolo, secondo i documentati giornalisti, c’erano “17 miliardi di euro di fondi europei assegnati all’Italia” ai quali si aggiungevano “13 miliardi di cofinanziamenti nazionali, per un totale appunto di 30 miliardi che possono, anzi debbono, essere spesi entro il dicembre 2015, altrimenti Bruxelles i soldi se li tiene e li dà a qualche Paese più sveglio”. Tant’è che l’ex governo Letta, in un primo momento, aveva persino pensato di dirottare quel tesoretto su lavoro e povertà. Purtroppo, o forse per fortuna, quei soldi che ora, però, si rischia di perdere, sono vincolati per “interventi strutturali” e non possono essere utilizzati per “tamponare la congiuntura economica”. In pratica, i trenta miliardi di cui parlavano i due giornalisti sono ciò che restvaa del totale dei 49,5 miliardi di fondi UE assegnati all’Italia per il settennato 2007/2013. “Entro quest’anno vanno tutti assegnati e poi c’è tempo fino al dicembre 2015 per spenderli”, scrivevano a chiare lettere.
Ma, – notavano ancora gli autori dell’articolo – “i 20 miliardi finora spesi hanno performance diverse”. Il Centro-Nord, infatti, ha speso il 49% delle somme a sua disposizione mentre il Sud il 36%; e peggio della Calabria, riesce a fare solo la Campania che dei fondi a disposizione aveva speso il 30,3%.
E’ in questi numeri che appare evidente l’incapacità delle classi dirigenti del Mezzogiorno. Nell’inchiesta emergeva chiaramente in quali regioni si spendono male i soldi e, la Calbria, non spiccava in positivo, anzi. Per fare solo “qualche esempio”, i giornalisti ricordavano come, “Tra fondi Ue e nazionali abbiamo già dovuto ridimensionare il miliardo disponibile per i cosiddetti «attrattori culturali» (progetti riguardanti arte e cultura) ancora una volta nelle tre regioni maglia nera (Calabria, Sicilia, Campania) con l’aggiunta della Puglia”.
Si trattava, notavano i due, di “Un programma nato malissimo pur avendo potenzialità straordinarie: per tre anni le regioni non sono riuscite a presentare uno straccio di progetto, incapaci di trovare un coordinamento tra loro e col ministero. Al punto che, nel 2010, quando cadde una parte del muro dei gladiatori a Pompei, il commissario europeo alle Politiche regionali Johannes Hahn rimproverò l’Italia di non essere capace di usare i fondi Ue su emergenze simili”.
E anche sul “come” i soldi europei finora sono stati spesi, c’è da notare che i tantissimi “micro progetti” finanziati nei più fantasiosi settori (9.994,70 euro per la «Giostra del castrato» di Longobucco (Cosenza) 2009; 7.600 euro la Festa dell’uva a Catanzaro del 2011; 14.026,50 euro per «Le conversazioni del Venerdì» a Vibo Valentia nel 2010) si scontrano, cozzano decisamente, con quella «concentrazione delle risorse su pochi obiettivi ritenuti prioritari», invocata dal commissario Hahn e che anche il buon senso vorrebbe.
In Calabria avremmo degli obiettivi prioritari straordinari da centrare: in primis, la situazione dei rifiuti, che vede ancora la regione, dopo 15 anni di commissariamento dal ’97 al 2013 e un’emergenza senza fine, priva di impianti idonei a produrre cdr, priva di discariche di servizio per detti impianti perché stracolme e con una raccolta differenziata, salvo poche eccezioni, assolutamente inadeguata. Un altro obbiettivo “prioritario” è sicuramente la bonifica dei tantissimi siti regionali inquinati ma non di interesse nazionale; e tra gli obiettivi prioritari per questa regione sarebbero sicuramente da individuare il risanamento del dissesto idrogeologico e il monitoraggio delle aree a rischio; e potremmo inserire persino un piano di adeguamento strutturale degli edifici pubblici censiti ad alta vulnerabilità sismica già dal 1999 da uno studio di protezione civile rimasto li. E, bastassero i soldi, con quegli 11 miliardi di euro si potrebbe avviare un censimento della vulnerabilità sismica degli edifici privati.
Di obbiettivi prioritari, la Calabria, ne ha sicuramente. E sono obbiettivi, tutti, in grado di innescare lavoro e occupazione. La domanda quindi non è come spenderli né dove trovare i soldi, ma piuttosto un’altra: sarà in grado questa classe politica, destra e sinistra, a fare meglio dei disastri combinati? Perché, come cittadini, dovremmo ancora fidarci proprio di coloro che, finora, quei problemi non solo non li hanno risolti, ma con anni di gestione commissariale, li hanno persino aggravati?

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#Radicali in Calabria per abolire la miseria delle banche

Chi controlla buona parte dell’accesso al credito, in questo Paese? Com’è noto, anche se forse non lo è abbastanza, la proprietà di molte banche italiane è in mano ai partiti. “Fuori i partiti dalle banche”, quindi, è l’hashtag della nuova campagna “economica”, che il partito di Emma Bonino e Marco Pannella affianca alla lotta, ancora in corso, per la giustizia e l’amnistia. La campagna, che farà tappa anche in Calabria nel mese di marzo, è stata annunciata e promossa online, giovedì 27 febbraio, da Rita Bernardini, Valerio Federico e Alessandro Massari, rispettivamente segretaria, tesoriere e componente della direzione nazionale del partito. Dagli anni ’90, le fondazioni bancarie, anomala invenzione italiana per mettere una pezza alla richiesta europea di privatizzare il sistema creditizio, di fatto scelgono gli amministratori delle banche; gli enti locali e le Regioni, a loro volta, sono i soggetti che nominano la guida delle fondazioni bancarie e il gioco è fatto. In sostanza, nel nostrano sistema bancario, molte banche che quotidianamente decidono come distribuire il credito, sono, in realtà, controllate dalla mano longa, neanche troppo nascosta, dei partiti. La questione è emersa lampante con la vicenda del Monte dei Paschi a Siena ma i partiti, attraverso gli enti locali e le regioni, controllano dappertutto le fondazioni. Ecco perché, la campagna #sbanchiamoli di Radicali italiani parte proprio dalle e nelle Regioni, dagli enti locali e, in generale, dalle periferie. Per Valerio Federico è così per la Banca di Sardegna, per la Banca Carige, per Intesa San Paolo: “I vertici del MPS nominati dalla politica hanno gettato al vento 4 miliardi di euro, con delle operazioni finanziarie scriteriate. Di chi è la responsabilità? Naturalmente” – per il tesoriere di radicali italiani – “la responsabilità è della proprietà, quindi, della fondazione bancaria e, quindi, dei partiti che hanno scelto i vertici della fondazione bancaria e delle banche. Banca Marche – continua Federico – è stata commissariata perché mal gestita dalle fondazioni bancarie e dai vertici scelti dalle fondazioni bancarie e dai partiti. Casi e scandali che sono l’emblema di un sistema che non funziona, che vede la commistione tra la politica e le banche, tra la finanza e i partiti”. È possibile, con un sistema del genere, garantire il credito ai cittadini e alle imprese che lo meritano, oppure è più facile che a trovare facilmente credito, presso i più importanti istituti del nostro Paese, sono sempre i soliti “amici degli amici”? “Le banche – continua Valerio Federico nel video che promuove la campagna – dovrebbero occuparsi di prestare i soldi alle imprese, di prestare i soldi ai cittadini, dovrebbero occuparsi di prestare i soldi per quelle StarUp, per quelle imprese giovani, più promettenti e, magari, di finanziare idee innovative. Invece, le fondazioni bancarie, sostanzialmente, bloccano l’afflusso di capitali verso le banche italiane; e lo bloccano perché – prosegue il tesoriere di Radicali italiani – hanno tutto l’interesse di farlo per garantire, così, ai partiti di continuare a mantenere il controllo delle banche e del credito”. È un sistema distorto, da superare, per rilanciare lo sviluppo perché, nota Federico: “gli effetti di un sistema che non concede credito, che ne concede poco o lo concede male, sono minore competitività del Paese, perdita di occupazione, riduzione della domanda interna. Il credito orienta il consenso, quindi il voto. Alle Banche servono nuovi flussi di capitali per i cittadini e per le imprese, ma alla politica non conviene, altrimenti ne perderebbero il controllo. La conseguenza è che il credito alle imprese concesso è diminuito costantemente dal 2007 ad oggi. In sostanza, con un sistema creditizio-bancario che non funziona, il Paese non riparte. Separiamo, dunque, i partiti dalle banche, la politica dalla finanza. I partiti – conclude Federico – hanno l’obbiettivo di accrescere consenso, non hanno l’obbiettivo di prestare i soldi a chi merita. Il rischio che lo prestino a chi è loro vicino, agli amici e agli amici degli amici, è un rischio evidente”.

Http://www.radicali.it/banche

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Catanzaro, Operazione lampo della Polizia stradale

stradale
Un immagine della Polizia Stradale

Catanzaro, 22 gennaio 2014 – Tempestivamente catturato, dopo pochi minuti dal fatto, l’autore di un “furto con destrezza”.

Dopo essersi disfatti di una borsa, anche questa oggetto di un furto precedente, due persone a bordo di un’auto, in via Pascali del centro cittadino alle ore 11.30 circa, hanno sottratto la borsa, questa volta con dentro del denaro (poi recuperato) ad una donna. Fatale per i due è l’essere tornati indietro per recuperare la prima borsa di cui si erano frettolosamente disfatti. Ad attenderli hanno trovato gli agenti della Polizia Stradale di Catanzaro nel frattempo allertata da alcuni passanti che avevano chiamato le forze dell’ordine. Uno dei due malviventi, a piedi, è riuscito a darsi alla fuga mentre il secondo (A.B.) è stato tratto in arresto con l’accusa di “furto con destrezza” e “ricettazione” per la prima borsa di cui non è stata rilevata la flagranza del reato, ma anche questa oggetto di un furto effettuato poco prima su viale dei Normanni e denunciato da un docente. Un’operazione, quindi, caratterizzata da una tempistica da record effettuata dalla Polizia Stradale di Catanzaro diretta dal dott. Gianluigi Crusco e che ha consentito non solo di arrestare uno dei due responsabili ma, soprattuto, di recuperare tempestivamente la refurtiva sottratta alla donna assieme alla borsa del precedente furto di proprietà di un docente al quale è stata riconsegnata.

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Intervista a Valerio Federico. “Critico” con le scelte della “squadra” legata a Marco Pannella, è un manager di origini calabresi il nuovo tesoriere di Radicali italiani

Amnistia, riforma della giustizia penale e civile, edificazione di uno Stato di diritto vero, solido, restano l’urgenza radicale. Ma anche bilanci consolidati per l’intera galassia e “rivoluzione” nell’uso della rete

La Calabria? Chi ha guidato la Regione non ha mai ritenuto di dargli la dignità che meritava

di Giuseppe Candido

 

Valerio Federico, Piazza Duomo, 10 aprile 2011
Valerio Federico, è il nuovo tesoriere di Radicali italiani

Il XII congresso dei Radicali a Chianciano si è chiuso senza neanche un intervento di Marco Pannella che, invece paradossalmente, si è “limitato” a dire la sua facendo addirittura una conferenza stampa a margine del congresso stesso e proprio nell’atrio dell’Excelsior che ne ospitava i lavori. Per il leader radicale il segretario e il tesoriere uscenti, nelle loro relazioni presentate al congresso, hanno la colpa grave di non aver relazionato di nulla. Un “vuoto politico”, perché per Pannella non c’è stata “nessuna relazione politica in quella udita dal Segretario”, ormai ex, Mario Staderini che è tornato al suo lavoro di avvocato. Ma adesso si punta sul nuovo. Anche se per conoscere la composizione del prossimo Comitato nazionale, il parlamentino del partito radicale, si è dovuto attendere sino a martedì a causa dell’effetto del nuovo sistema elettorale, una cosa è stata certa da subito. La nuova segretaria eletta con 117 voti di 196 votanti in congresso è Rita Bernardini, già segretaria dei Radicali sino al 2008, Deputata durante la precedente legislatura dal 2008 al 2013 e fortemente impegnata per la battaglia nonviolenta di Marco Pannella per l’amnistia e la giustizia. La sua elezione rappresenta infatti l’intento fermo di proseguire sulla battaglia della giustizia giusta. Il nuovo tesoriere, invece, meno conosciuto sul piano nazionale, si chiama Valerio Federico.

Manager nel settore del No Profit e membro uscente della Direzione Nazionale di Radicali Italiani dal 2011, Federico è di Milano ma ha origini calabresi (il papà era infatti natio di Reggio Calabria) ostinatamente vantate in ogni occasione. In seno al congresso, Valerio può essere considerato, come lui stesso sottolinea, espressione di quella parte, poi rivelatasi maggioritaria in seno al congresso, che si è espressa criticamente in ordine delle recenti scelte di Pannella di criticare fortemente la segreteria e il tesoriere uscenti. Consigliere di Zona, nella Zona 6 del comune di Milano, e capogruppo per il Gruppo Radicale Federalista Europeo dal 27 settembre 2012, Valerio è stato eletto lo scorso 3 novembre 2013 dal XII congresso tenutosi a Chianciano con 153 preferenze su 196 votanti. Quando dalla Calabria gli abbiamo domandato con un sms la disponibilità per un’intervista la risposata è stata: “Sto impazzendo dalle cose che mi ritrovo, ma mi farebbe piacere”. Membro dal 2003 al 2011 del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni dal 2005 al 2011, dal 2005 al 2009, Valerio è stato Segretario della storica associazione di Radicali Milano, “Enzo Tortora”, con la quale, tra l’altro, è stato autore di numerose battaglie politiche come quella per l’anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati in seno al Comune di Milano. Anche Valerio, come Rita, conta quindi su una lunga esperienza politica nel Partito Radicale e ha scritto, proprio in riferimento alle battaglie politiche dei radicali, numerosi dossier.

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Valerio Federico durante una manifestazione a Milano, sul caso di Eluana Englaro

La prima che gli rivolgiamo è una domanda “secca”: Che significa, oggi, essere Radicali?

Rispetto al conformismo italiano, di destra e di sinistra, significa essere “altro”. E questo è una caratteristica unica che hanno i Radicali, in questa fase particolarmente delicata del Paese.

A differenza di “altri” Radicali, Valerio ha il dono della sintesi che usa anche quando non servirebbe. Altro? In che senso?

Altro”, perché noi Radicali non ci siamo mai uniformati alle dinamiche di potere italiane, sia che queste partano dal centrodestra o dal centrosinistra. Noi siamo “altro”, perché abbiamo un’analisi (della situazione politica, ndr) che non ha nessuno nel Paese, che è quella del “regime”. Un sistema sostanzialmente illegale, quello italiano, dove lo Stato di diritto non è stato edificato a favore dei cittadini e dove il Diritto non è effettivo. Un Paese dove i diritti che le leggi stesse prevedono non possono essere garantiti ai suoi cittadini.

Lo Stato di diritto è una cosa che serve soprattutto ai più umili, ha detto Emma Bonino. Amnistia, giustizia, diritti e libertà economiche ma anche maggiore trasparenza interna al partito e, addirittura, un bilancio consolidato dell’intera area radicale tra le tue proposte al congresso. Allora, Valerio, da dove si riparte?

Intanto, noi chiediamo al Paese e proviamo a far cambiare il Paese da tanti anni, e certo non rinunciamo a riformare noi stessi e a riformare la nostra “area”, tenendo conto dei mezzi nuovi che la tecnologia da’ a disposizione. E quindi il mio obiettivo è anche quello di una piccola “rivoluzione di rete” di Radicali italiani. Un adeguamento del movimento ai nuovi strumenti tecnologici a disposizione e, la mia richiesta è anche quella che, l’area Radicale, così peculiare nell’ambito dei partiti italiani, questa così detta “galassia” formata da più movimenti tutti costituenti il Partito Radicale Nonviolento Trasnazionale e Transpartito, si doti di un bilancio consolidato. Cioè, di quanto noi abbiamo richiesto e ottenuto dal Governo Monti per i Comuni italiani, alle singole regioni e, naturalmente, ci adopereremo per adottare il bilancio consolidato anche per l’area Radicale. Il bilancio consolidato, infatti, non è altro che la possibilità di avere un quadro reale della situazione economica-finanziaria di un Comune, di una Regione. Perché in Italia, questo, adesso non è disponibile? Perché i Comuni italiani e le Regioni italiane si dotano di un bilancio “normale” e questi non comprendono la situazione economica delle varie società controllate o partecipate. E quindi, uno che va a vedere la situazione di un bilancio di una Regione o di un Comune, non essendo in grado di comprendere qual’è la reale situazione economica-finanziaria, perché i bilanci delle società partecipate non sono comprese pur essendo parte integrante del bilancio. Per quanto riguarda l’area Radicale, si tratta di avere un quadro generale di tutti i soggetti che la compongono e chiarezza anche nei flussi finanziari tra un soggetto e l’altro, in modo da avere un quadro generale da mettere a disposizione dei militanti radicali per comprendere la situazione economica.

Perfetto. Della serie: “Siamo noi il cambiamento che vorremo vedere nel mondo”. Un piccolo movimento, i Radicali italiani, che però è stato significativo per la storia di questo Paese. Battaglie come il divorzio, l’aborto, l’obiezione di coscienza. E fatto di nomi come Enzo Tortora, Leonardo Sciascia e Domenico Modugno tra i Radicali storici più noti. Che è effetto fa avere responsabilità diretta, di rilievo nazionale, nel Partito di Emma Bonino e Marco Pannella?

In linea di massima, se ci penso, l’idea (che mi viene, ndr) è quella di rinunciare subito. E ti chiedo di non farmici pensare. È una responsabilità evidentemente e assolutamente troppo grande. Naturalmente va precisato che i Radicali italiani è un soggetto politico, forse il più conosciuto, dell’area Radicale, le battaglie di cui tu fai riferimento sono dell’intera area e quindi del Partito Radicale storico. Detto questo, è del tutto evidente che è meglio pensare all’attualità e non ai contributi che questo partito ha avuto nella sua storia, per provare e per tentare di sentirsi adeguati.

Quali le iniziative più urgenti e le battaglie per il prossimo futuro, per Radicali italiani?

Da una parte, noi non molliamo rispetto a quello che è l’urgenza di Radicali italiani, che è l’urgenza anche di Marco Pannella e della nuova segretaria, Rita Bernardini, ed è l’urgenza di tutti noi. Cioè quella di ottenere un provvedimento di amnistia come passaggio indispensabile, irrinunciabile, per la riforma della giustizia penale e, in secondo luogo per effetti indiretti, della giustizia civile di questo Paese. Avendo noi identificato l’illegalità di questo Paese patente, dimostrata continuamente dai Radicali, e a discapito dei cittadini, naturalmente noi non possiamo che porci l’obiettivo di riformare le regole affinché i cittadini abbiano diritti che possano fruire. Non solo diritti affermati sulla Carta (Costituzionale, ndr). Amnistia, riforma della giustizia penale e civile, edificazione di uno Stato di diritto vero, solido, è e resta l’urgenza radicale. Naturalmente, la mia presenza negli organi dirigenti è anche finalizzata a porre altre questioni assolutamente prioritarie. Ed è su queste che mi adopererò principalmente e che sono legate sia a una riforma di Radicali italiani per rafforzare gli strumenti di rete, come ho già accennato; quello di riportare al centro dell’attenzione radicale anche l’economia e le iniziative, diciamo così, “economiche ed ecologiche” nello stesso tempo. Riprendere con forza quella lotta al “capitalismo inquinato”, al capitalismo dei favori, che è il capitalismo italiano e che è il capitalismo che porta l’Italia ad avere una crisi al di fuori e diversa dalla crisi internazionale e dalla crisi europea. L’Italia non cresce per una sua peculiare caratteristica che è diversa da quelle che sono le ragioni base della crisi internazionale ed europea. L’Italia deve risolvere i suoi problemi specifici che l’hanno portata a crescere meno di qualunque altro Paese dell’Unione Europea. Quindi, queste sono anche le priorità che io tenterò di riportare all’attenzione del partito; e chiudo, anche, quello che è il fenomeno che chiamerei dei “regimi locali”. Una sorta di capitalismo inquinato locale. L’Italia è l’Italia dei campanili, un Paese fatto cioè da Comuni e Regioni che hanno istituito piccoli “sotto regimi” fatto di sistemi clientelari di società partecipate, con il beneplacito delle fondazioni bancarie dove i partiti continuano, magari anche in forme diverse, a mantenere il controllo di attività economiche togliendole al mercato e provocando sprechi, perditi e debiti a danno dei cittadini.

Quel sistema che Sergio Rizzo chiama dei “rapaci”. Essere Radicali a Milano è molto diverso dall’esserlo in una regione come la Calabria. Ai Radicali calabresi cosa consigli?

Certamente i problemi sono di natura diversa. Ai Radicali calabresi io non posso che consigliare di andare al centro dei problemi del meridione d’Italia. Anche lì, è vero, c’è un problema di legalità. Ma certamente i fattori che portano l’illegalità ben più grave che c’è nel meridione rispetto a quella del settentrione, hanno caratteristiche diverse. Anche se non completamente. E quindi c’è bisogno, sicuramente, di una “rivoluzione culturale” ben più forte e approfondita. Soprattutto, dobbiamo anche dire che le risorse straordinarie che la Calabria ha, sono di natura diversa da quelle della Lombardia. Devo dire che chi ha guidato la Calabria non ha mai ritenuto di dargli la dignità che merita puntando sulla forza della Calabria, delle sue persone e dei suoi paesaggi, delle aree del suo patrimonio artistico, e di tutto quello che la Calabria ha e che, evidentemente, una serie di interessi convergenti ritiene di non dover valorizzare per lasciare la Calabria in mano ai soliti noti che continuano a riuscire a schiacciare le qualità, le propensioni dei calabresi che potrebbero puntare verso uno sviluppo diverso. Uno sviluppo calabrese, uno sviluppo specifico che la Calabria potrebbe dare all’Italia e che continua a non poter dare.

 

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Pannella rilancia la denuncia del Sappe: Carceri calabre stracolme ma senza provveditore regionale

Paradossale, nella terra di ‘ndrangheta in cui le carceri sono stracolme anche di molti affiliati alle cosche, non soltanto carenze nell’organico della polizia penitenziaria ma, addirittura manca il provveditore regionale da 4 anni. Mentre tutti quanti sono impegnati a discutere della decadenza o meno di Berlusconi da Senatore, dei veri problemi della giustizia e delle carceri non ci si preoccupa minimamente. Si trascura da anni una situazione che è gravissima. A denunciarla è il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, che in Calabria è rappresentata da Donato Capece. A dare l’allarme però non è il TG regionale, ma Marco Pannella durante la conversazione settimanale con Valter Vecellio che legge una nota stampa dello stesso Capece.

Oggi la ‘ndrangheta è considerata e riconosciuta come la più pericolosa organizzazione criminale del mondo, con numerose ramificazioni all’estero, eppure nella regione in cui è nata, sviluppata e ramificata, la Calabria, nelle cui carceri molti delinquenti sono affiliati ad essa, il ministero della Giustizia e il Dap in quattro anni non hanno ancora nominato il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, che deve coordinare le politiche della sicurezza nelle 13 carceri calabresi nelle quali oggi sono detenuti più di 2.650 persone”. A denunciarlo è Donato Capece, segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), che spiega: ”Credo che il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, debba porre la questione penitenziaria calabra tra le priorità d’intervento della sua agenda”. ”Nelle carceri calabresi è sempre più emergenza -prosegue il leader del Sappe- da quattro anni manca un provveditore regionale. L’amministrazione penitenziaria, dopo la morte di Paolo Quattrone, non e’ più riuscita a nominare un provveditore in pianta stabile. Continua ad esserci un provveditore in missione, per pochi giorni alla settimana”. ”A Catanzaro -fa notare Capece- c’e’ un nuovo padiglione che non può essere aperto per carenza di personale; nello stesso istituto c’e’ un centro clinico che non può essere utilizzato, sempre per mancanza di personale”. ”A Paola -prosegue il sindacalista- e’ stato aperto un nuovo padiglione detentivo, senza un adeguato incremento di organico. La situazione peggiora sempre di più a Reggio Calabria, soprattutto dopo l’apertura del nuovo istituto di Arghillà, dove, per 150 detenuti sono stati assegnati circa 40 unita’ di personale, dei quali dieci non hanno mai raggiunto la sede. Pertanto, la direzione del vecchio istituto e’ stata costretta ad inviare 28 unita’, depauperando l’organico di una struttura già in gravi difficoltà, a causa, proprio, della carenza di personale e del sovraffollamento che colpisce anche gli istituti di Locri e di Palmi”. ”L’istituto di Crotone e’ sempre parzialmente chiuso – sottolinea ancora Capece – a causa dei lavori di ristrutturazione. A Rossano ci sono 317 detenuti, dei quali 140 appartenenti al circuito alta sicurezza. Bisogna ricordare che in Calabria ci sono circa 900 detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che necessitano di maggiori controlli e molti di questi fanno quotidianamente la spola con le aule di giustizia, per i tanti processi ai quali sono sottoposti”. “A Vibo Valentia, poi – denuncia ancora il Sappe – mancano più di 30 agenti dalla pianta organica attuale del reparto. Il Sappe auspica pertanto un interessamento diretto del Guardasigilli sulle criticità penitenziarie calabresi, definendo la nomina del provveditore regionale penitenziario e favorendo – conclude la nota stampa di Capece – la revisione delle piante organiche della polizia penitenziaria in Calabria in relazione alle esigenze attuali”.

Una situazione di illegalità flagrante contro cui Marco Pannella digiuna di cibi solidi (e liquidi a giorni alterni) per proporre l’amnistia: l’unico provvedimento, strutturale perché in grado, subito, “di far uscire lo Stato dalla sua flagranza criminale contro i diritti umani e contro lo stato di Diritto”. Il riferimento esplicito è alla recente condanna dell’Europa per sistematica violazione dei diritti umani nelle nostre patrie galere. Ma come della situazione delle carceri calabresi, dell’assenza del provveditore regionale, i cittadini non ne sanno nulla anche di Marco Pannella in sciopero della fame per l’amnistia che pure i ministri Cancellieri e Mauro considerano provvedimento necessario e strutturale.

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Zanotti-Bianco in viaggio tra i monumenti della Calabria.

di Maria Elisabetta Curtosi

Oltre mezzo secolo fa lo stesso Zanotti Bianco rievocava l’incontro con la Calabria, la Magna Grecia, un incontro dettato da una precisa scelta di vita, una vera e propria missione: “Sarà tra poco mezzo secolo che percorro in tutti i  sensi le terre dell’antica Magna Grecia. Per quanto istintivamente attratto da ogni testimonianza artistica e dal fascino delle ricerche archeologiche, tuttavia la miseria ed i dolori di questa regione, ingigantiti dalla spaventosa tragedia del terremoto che prese nome da Reggio e Messina, occuparono nei primi anni di lavoro quaggiù tutta intera la mia vita(…) Fu Paolo Orsi, il grande, perseverante archeologo roveretano, che con la descrizione dello stato  miserando dei monumenti superstiti della Calabria, mi fece sentire il dovere della pietà per le creazioni d’arte del passato, silenziose educatrici degli spiriti nel futuro, e mi spinse a creare nel 1920, in quel desolato dopoguerra, la Società Magna Grecia”.  Paolo Orsi gli fece conoscere Carlo Felice Crispo, storico della civiltà magno-greca della Calabria ed in particolare di Vibo Valentia, già Hipponion. Conobbe anche il marchese Enrico Gagliardi. Diventò subito amicizia vera perché avevano in comune l’amore per il bello ed i valori della libertà e della onestà. Oltre a questi grandi vibonesi altre figure di primo piano aderirono alla Società: il prof.  Eugenio Scalari, Pietro Tarallo, Mario Micalella, il conte Capialbi, Mario Cordopatri, Vincenzo Cremona, Leonardo  Donato ed altri. Con il marchesino Gagliardi a bordo di una macchina cabrio visitarono tutti i monumenti di Monteleone, Pizzo, Mileto.  Giuliana Benzoni, stretta collaboratrice di Zanotti cosi lo descrive: “Esile, dagli occhi cerulei, con biondi capelli da agnellino che adornavano una testa da cherubino, affascinante come una visione, spirituale come un santo, concreto come un banchiere, splende per bellezza fisica, passionalità, ardore: un tombeur de femmes eccezionale”.

(1) Umberto Zanotti-Bianco era nato nel 1889 a Canea sull’isola di Creta, il padre console,la madre di origine scozzese, studi nel collegio Carlo Alberto di Moncalieri dai padri Barnabiti. Ammirava Mazzini e gli ideali del Risorgimento, Tolstoj e Romolo Murri. Allo scoppio della prima guerra mondiale,seguendo l’esempio di Gaetano Salvemini, si arruola volontario. Nel 1939 Achille Storace aveva protestato perché la sua associazione ANIMI era ancora in vita e quindi dimostrava che il fascismo non aveva risolto tutti i problemi del Sud. Zanotti chiede l’aiuto della principessa Maria Josè che assume l’alto patronato dell’associazione. Nel 1941 viene arrestato e inviato al confino vicino a Sorrento. Erede del Cattolicesimo Liberale. Partecipa in seguito alla lotta clandestina nelle file del partito liberale. Nel 44 assume la presidenza della Croce Rossa. Nel 1952 è nominato senatore a vita da Luigi Einaudi. Fonda assieme ad Elena Croce Italia Nostra. Muore a Roma nel 1963.

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Vigilanza Rai: giornalisti calabresi soddisfatti per nomina Dalila Nesci presidente commissione

“Esprimo grande soddisfazione per la elezione della giornalista pubblicista Dalila Nesci, deputata calabrese del Movimento Cinque Stelle, nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai”. Lo afferma, in una nota, il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria, Giuseppe Soluri. “Dalila Nesci è una giovane ed apprezzata collega che certamente -aggiunge Soluri- all’interno della Commissione di vigilanza Rai, saprà portare idee innovative supportate dall’entusiasmo e dalla conoscenza dei problemi che riguardano il delicato settore dell’informazione, soprattutto per quanto riguarda il servizio pubblico. Il suo già dichiarato impegno a battersi per fare uscire la nostra regione, la Calabria, dalla emarginazione in cui si trova rispetto all’informazione nazionale, rappresenta un segnale importante ed è indicativo della passione e della determinazione con cui Dalila Nesci intende affrontare, come deputata e da oggi come componente della Commissione di vigilanza sulla Rai, i problemi della sua e nostra terra. La sua elezione non può che inorgoglire tutti i giornalisti calabresi. Personalmente, ed a nome dell’intero Consiglio regionale dell’Ordine dei Giornalisti, rivolgo a Dalila Nesci -conclude Soluri- le più vive congratulazioni ed un sincero in bocca al lupo”.
Aggiungiamo solo che anche noi, come redazione di questa testata, esprimiamo soddisfazione per questa importante nomina di una collega calabrese a 5 stelle! Buon lavoro

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Emergenza rifiuti in Calabria: la rete in difesa del territorio chiede che “si dimettano Pugliano e Scopelliti”

di Giuseppe Candido

La Calabria non è una pattumiera! Domani, 6 Giugno una giornata di confronto tra comitati, associazioni e movimenti in difesa del territorio, per chiedere le dimissioni dell’assessore regionale all’ambiente e del presidente Scopelliti.

Difendiamo la Calabria è una rete di comitati e associazioni ecologiste che si batte per la difesa del territorio. Legge rifiuti zero, acqua bene comune e presidi sul territorio per verificare la legalità dello stoccaggio dei rifiuti nella nostra regione sono le battaglie che “Rete difesa del territorio” porta avanti ormai dal 2009. Cittadine e cittadini, ma anche associazioni di volontariato, culturali ed ecologiste che, insieme, sostengono questo “movimento” d’idee e di persone.

L’appuntamento è per domani, 6 giugno 2013, all’Università della Calabria, al “cubo” numero 18 dove c’è il ponte coperto del parcheggio di linguistica. Alle ore 17.30 inizierà il dibattito sulla legge rifiuti zero che, anche noi di Abolire la miseria della Calabria sosteniamo e, a seguire, per una legge sul ritorno alla pubblicizzazione dei servizi essenziali e sull’importanza delle bonifiche dei siti inquinati calabresi. Si parlerà del caso della “Legnochimica” e, sul ciclo dei rifiuti, la testimonianza di Scala Coeli e le specifiche delle condizioni calabresi dopo sedici anni, ormai quasi diciassette, di commissariamento dell’emergenza.

Chi per lavoro o per altri impegni non potrà essere fisicamente presente potrà lo stesso seguire il dibattito-confronto e gli interventi programmati perché il tutto sarà trasmesso in diretta su “FuoriOndaRadio”.

Alle 22.00, al termine del dibattito una serata di “musica collettiva” a sostegno della “causa ambientale” con un palco aperto “a chiunque voglia suonare, cantare, ballare o semplicemente far rumore”. La Calabria non è una pattumiera è lo slogan dell’appello diffuso su internet per convocare la manifestazione: “Le strade ancora cariche di immondizia” scrivono gli organizzatori – “esemplificano in maniera evidente che la fallimentare gestione del ciclo dei rifiuti continua anche dopo la fine del commissariamento. Infatti, dopo 16 anni di emergenza e circa 2 miliardi spesi, il ritorno alla competenza regionale non ha apportato nessun miglioramento. Finora infatti la raccolta differenziata è stata ostacolata proprio dall’ufficio del commissariamento all’emergenza ambientale che, agendo in deroga alle leggi ordinarie, ha di fatto incentivato un modello di gestione dei rifiuti basato su inceneritori e sull’apertura di nuove mega-discariche. La salute dei cittadini è stata subordinata al profitto di quei privati che hanno fatto del nostro territorio una fonte di speculazione. Impianti inquinanti e discariche abusive o non bonificate tuttora in uso sono solo una parte della devastazione ambientale della nostra regione. Infatti, la Calabria è ricca di siti inquinati che da tempo richiedono una messa in sicurezza. Per diversi siti, inoltre, risultano nemmeno essere censite le certificazioni necessarie per valutare il danno ed avviare le adeguate bonifiche. Questa è la riprova della linea politica della regione rispetto la tutela della salute e della questione ambientale del nostro territorio. In questa direzione va anche la bozza di piano regionale sui rifiuti e soprattutto il nuovo decreto del presidente Scopelliti che, oltre a riproporre la costruzione di nuove discariche e impianti, dispone il pericoloso sversamento del rifiuto tal quale in discarica. I modelli virtuosi quali la riduzione del rifiuto attraverso il riciclo e il riutilizzo per mezzo la raccolta porta a porta spinta non sono affatto presi in considerazione. La salute, l’ambiente non sono tematiche di cui possiamo disinteressarci. La partecipazione attiva di comitati e cittadini è la più efficace forma di contro e difesa dei nostri territori. Per questo, chiamiamo tutti i cittadini, le associazioni e i movimenti a incontrarsi insieme per confrontarsi sul futuro del nostro territorio.”

Il testo, per la Rete in Difesa del Territorio “F. Nistico”, è firmato dalle associazioni “Ingegneria Senza Frontiere” di Cosenza, “Laboratorio Politico P2 Occupata”, “Ateneo Controverso”, “Pensierolibero Unical”, “Associazione Crocevia”, dal Comitato Ro.Mo.Re. e dal “comitato No Megadiscarica Castrolibero” .

Cosa chiedono?

Legge sui rifiuti per la Calabria sul modello di quella di iniziativa popolare “Rifiuti Zero, perché – si legge – “Manca una legge quadro che tratti la gestione del ciclo dei rifiuti. A questo proposito, traendo spunto dal progetto Rifiuti zero entro il 2020, proponiamo questo progetto di legge che possa produrre un modello virtuoso, attraverso il riciclo, il riutilizzo e l’abbattimento della produzione di materiali non riciclabili e inquinanti”.

Una legge sull’acqua pubblica perché “l’esito dei referendum ci ha spinti a immaginare una proposta di legge dal basso che ri-pubblicizzi la gestione dei servizi idrici e la bonifica delle falde acquifere e dei bacini”.

La ri_pubblicizzazione di tutti i servizi essenziali e la bonifica dei siti inquinati perché, si legge testualmente, “la Calabria è ricca di siti inquinati che da tempo richiedono una messa in sicurezza. Occorre provvedere ad una certificazione di tutti i siti da bonificare e procedere subito ad una messa in sicurezza e avviare immediatamente le adeguate bonifiche”.

Si dimettano Scopelliti e Pugliano. Secondo gli organizzatori, che denunciano le responsabilità della politica regionale sui temi che riguardano direttamente l’ambiente, la Giunta guidata da Giuseppe Scopelliti avrebbe “dimostrato di tutelare ben altri interessi piuttosto che quelli riguardanti la salute pubblica e la difesa dell’ambiente. Per questo, è imprescindibile partire dalle dimissioni di chi in questi ultimi anni si è reso colpevole di questa cattiva gestione, per costruire dal basso un modello basato sul controllo e la partecipazione dei cittadini.

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