Soffia il vento, infuria la bufera

di Giovanna Canigiula

Rifondazione comunista è cenere al vento, la Sinistra arcobaleno è morta sul nascere, il futuro sa solo di resa dei conti e io non so come perdonarli. Alle ultime elezioni non volevo proprio votare. L’accumulo di retorica, i comunismi, gli anticapitalismi, gli operaismi, i compagnismi, mi avevano sfinito. Tutto troppo lontano. Non giudico l’esperienza di governo. Comprendo l’affanno di sentirsi imbottigliati tra la responsabilità di una precedente caduta e l’incapacità di mantenere, da alleati fedeli ed evidentemente subordinati, programma e identità certi. Comprendo la pena di conservare un elettorato sbiadito tra incoerenti voti di fiducia e rocambolesche chiamate in piazze sempre più deserte. Comprendo anche la malriuscita alchimia di una spaventata e improbabile Sinistra arcobaleno. Ma turarsi il naso e votare contro –Berlusconi, le destre e bla e bla e bla – è stato l’unico invito pressante in oltre dieci anni. Nauseante, in una terra come la Calabria. Finto, sprezzante, inutile. Di questo passo, è stato facile arrivare alla domanda che non consente troppi ritorni: ma da quale extramondo arrivano indicazioni di voto in favore di gente non degna di rispetto? Ma come si permettono? Lontani, lontanissimi i dirigenti del Prc se hanno pensato che sigle ormai prive di significato potessero alla lunga reggere: quale centrosinistra contro quale centrodestra nel profondo sud?
Il caso De Magistris è stato lacerante. Il silenzio della sinistra assordante. L’incapacità di scendere in campo fuori dagli orpelli della parola indicativo di come stessero effettivamente le cose. Ma un gesto uno, per noi, pidocchiosi extracomunitari in terra di mafie elette a sistema e difese dal sistema? Ognuno ha quello che conquista e quello che merita, è vero, e noi meritiamo il peggio che votiamo: dietro ricatto, dietro invito, dietro logiche devastanti. Ma se a chiederci continuamente di votare per il meno peggio, che sappiamo invece essere peggio nella norma, è chi non dovrebbe, che pensare alla lunga? Ya basta. Il re resta nudo. Con la sua lotta di classe da operetta ottocentesca. Con il suo operaio – della – fabbrica – dei – padroni da burla carnascialesca. Fin troppo ovvia la risposta a lungo evitata: non gliene è mai importato un fico secco ai dirigenti del Prc di chi sale in Calabria, di cos’è la Calabria, di com’è vivere in Calabria. Bastano le sigle. Non gliene importa niente di chi li vota. Bastano le parole. E io, ormai, volevo un rispettoso silenzio. Alla fine, però, un ritorno me lo sono concesso. E pieno di rabbia. Mi guardavo intorno e vedevo persone che, senza darsi la briga di leggere e confrontare programmi, si lasciavano tentare dalla solita manfrina: il voto utile. Utile a chi? A noi? No davvero. Ne abbiamo fatti di passi indietro se continuiamo a valere così poco, la richiesta appena di un voto contro, un voto utile, un voto a chicchessia. Un voto condizionato da poteri altri rispetto alla politica seria. Un voto ambiguo: al Pd che corre “coraggiosamente” da solo, passando però per l’Italia dei Valori e i furbissimi radicali che, purtroppo non nuovi a scelte di mero opportunismo, saltano sul carrozzone del più forte per sopravvivere, facendo ogni volta passare in secondo piano anni di splendide battaglie. Così, ho scelto, stanchissima, il voto inutile e mi son detta: in fondo, al Senato stavolta è candidato Forgione, persona perbene; in fondo, prenderanno comunque una batosta, quella che meritano. Non immaginavo, però, la portata della batosta. E confesso che un po’ di disorientamento c’è stato. L’ira è scemata e ho con affanno pensato: bisogna fare quadrato. Farglielo sapere che sono anni che sbagliano tutto, che non hanno capito niente, che non sanno parlare agli uomini e alle donne che citano, che non sanno davvero rappresentare gli uomini e le donne che citano, che non sanno per chi chiedono di votare quando concludono faticose alleanze, che neppure sanno chi li vota. Ma bisogna fare quadrato. Coprirgli amorevolmente le spalle con una coperta di lana ora che sono nel freddo buio della tempesta. Abbracciarli. Dirglielo che, seppure malconci per loro colpa, ci siamo. Ci ritroveranno. Chiediamo solo che si lascino amare. Chiediamo una casa e che sia aperta, moderna, democratica. Una casa di sinistra, colorata, ospitale, plurale, sincera. Che sappia rispettare e coniugare le diversità oltre che battersi a parole per l’indistinto diverso. Che sia generosa ma capace di mettere al bando non chi non si allinea alla voce unica ma chi trama e fa il proprio comodo. Chiediamo di poterli domani votare con gioia.
Un piccolo popolo senza patria da troppo tempo, insomma, perdona, si fa figlio e padre, è pronto a rimettersi in marcia e loro? Si scannano. Invocano la falce e il martello. Si accusano. Si arroccano. Riaprono i giri di valzer ma solo per tentare personali e pericolose scalate. Riesumano linguaggi e metodi ammuffiti pensando che da lì l’araba fenice possa risorgere. Si contano e lasciano, del tutto incuranti, feriti e morti sul campo. Mozione uno, due, tre, quattro, cinque. Gettano la coperta che, timidi, offriamo, ciechi e sordi fra i rumori della tempesta. Scelgono la tempesta. Noi, tramortiti, li subiamo. Ma è davvero l’ultima volta che aspetto l’alba con loro.

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Salvemini, bastiancontrario e sincero democratico. Commemorae e arruolare?

di Filippo Curtosi

Gaetano Salvemini - Foto: Wiki
Gaetano Salvemini – Foto: Wiki

La figura di Gaetano Salvemini, nel cinquantenario della sua scomparsa viene restituita alla luce grazie ad un saggio di Gaetano Quagliarello (Gaetano Salvemini, il Mulino, Bologna 2007, pp. 313) che ripercorre in modo organico l’intero arco della sua esistenza dal 1873 al 1975, soffermandosi su temi di scottante attualità come la morte della patria e sulla partitocrazia. Salvemini, dopo l’uscita dal Partito socialista, all’indomani della prima guerra mondiale ed in particolare di fronte al delitto Matteotti che inquieta Salvemini tanto che diventa uno dei principali propagandisti dell’antifascismo in campo internazionale e per questo fortemente osteggiato da Mussolini. Il fascismo nella lettura salveminiana non è visto come reazione al pericolo di una rivoluzione bolscevica che, come afferma lo stesso Salvemini non è mai esistito se non come “forma di agitazioni e disordini senza scopo provocati da una sinistra massimalista e inconcludente”. Il fascismo assume nella lettura dello storico pugliese i connotati di un fenomeno antiparlamentare. Antifascista e anticomunista, tanto e vero che accostava fascismo italiano e comunismo sovietico, fu proprio Gaetano Salvemini a far da guastafeste nel “Congresso internazionale antifascista degli scrittori per la difesa della cultura” che si svolge a Parigi nel 1935, presieduto da Gide e Malraux ed è lì che denuncia il caso dell’arresto di Victor Serge per “trozkismo”. ” Esiste una polizia segreta sovietica come la Gestapo e come l’Ovra che tiene prigioniero un intellettuale come Serge”. Scoppia il finimondo e tutta l’intellettualità è costretta a chiedere la liberazione di Serge. Togliatti nel 1945 lo ricorderà come ” un provocatore trozkista che deve la vita alla campagna di stampa borghese per la sua liberazione dalla Lubianka aizzata da Gaetano Salvemini”.

Il professore di Molfetta ha consegnato ai promessi sposi del Partito democratico, dice Ugo Finetti una eredità culturale che però giorno dopo giorno è sempre più vuota nel desolante deserto ideale che fa da scenario alla costruzione del nuovo soggetto politico. Siamo cresciuti negli ardori rivoluzionari giovanili e riformisti poi, ed abbiamo assistito al governo di una sinistra che ha scambiato i principi in cambio di qualcosa di indecifrabile. Dovrebbero, tutti i politici vibonesi, fare proprie le frasi di Bobbio quando dice che “molte delle promesse della democrazia sono ancora promesse da marinaio”.
Norberto Bobbio nel 1975 in un bellissimo saggio dal titolo “Salvemini e la democrazia” scriveva: “Per comprendere appieno il rapporto tra Salvemini e la democrazia, non è sufficiente riferirsi all’esempio di un impegno durato tutta una vita intera e culminato nella ventennale battaglia contro il fascismo: occorre rileggere con attenzione i suoi scritti, dove è possibile rintracciare una compiuta e perfetta teoria dello Stato democratico”.
Nel 1953 Bertrand Russel pubblicò una sorta di abbecedario politico intitolato “L’alfabeto del buon cittadino e Compendio di storia del mondo (a uso delle scuole elementari di Marte). A partire dalla prima definizione (Asino: quello che pensi tu)”, il premio Nobel per la letteratura disprezzava l’arroganza, l’assoluto, il dogmatico, il fanatismo. La definizione di Virtù: “sottomissione al governo” e all’opposto quella di Assurdo “Sgradito alla polizia”. O quella di Libertà “Il diritto di obbedire alla polizia”. E che dire della definizione di Saggezza “le opinioni dei nostri avi”. Per non parlare della definizione di Sacro, la cui definizione russelliana è “sostenuto per secoli da schiere di pazzi”. O di Cristiano, definito “contrario ai Vangeli.” Per non parlare di Bolscevico “chiunque abbia opinioni che non condivido”. Per tornare a Salvemini che sicuramente apparteneva a un’altra categoria di intellettuali cosi rilevava a proposito dell’essere italiani: “Quando parlano gli Italiani colti, mi capita spesso di non capire. Salvemini non deve essere colto, perché quello che dice lo capisco e, quello che pensa lo penserei anch’io. Il linguaggio storico e politico – scrive infatti Salvemini – attraversando tempi e ambienti culturali diversi, si è caricato con termini polivalenti, i quali debbono essere definiti, se non si vuole perdere tempo discutendo di equivoci”.
Liberalismo, democrazia, socialismo scrive Sergio Bucchi, sono i termini principali del lessico Salveminiano e prima ancora sono i termini fondamentali del linguaggio politico del secolo decimonono, ” Il più intelligente, il più umano, il più decoroso dei secoli”. Le tappe essenziali del più grande movimento di emancipazione mai realizzatosi nella storia che ebbe il suo punto d’avvio nella rivoluzione francese. Se il liberalismo si identifica in origine con la battaglia per i diritti personali e la conquista delle istituzioni parlamentari contro i privilegi feudali e i regimi dispotici, la democrazia ne è una estensione, in quanto “ammissione di tutti i cittadini all’uso delle istituzioni liberali”, il riconoscimento per tutti, senza distinzioni di sorta di tutte le libertà personali e politiche.” Un regime libero può non essere un regime democratico, ma un regime democratico deve essere un regime libero”. In questo senso,continua Bucchi, il “metodo della libertà” costituisce la via imprescindibile di ogni rinnovamento politico o sociale. E metodo della libertà e regole della democrazia non possono non essere alla base anche di ogni tentativo di conquistare quel tanto che è possibile di giustizia sociale. La realizzazione della giustizia contro ogni forma di sfruttamento e di oppressione è parte integrante non meno delle libere istituzioni, dell’ideale democratico. Istituzioni democratiche e giustizia sociale stanno tra di loro in un rapporto inscindibile di mezzo a fine, al di fuori delle istituzioni non è possibile nessuna realizzazione.
A proposito di democrazia, la casa editrice Bollati – Boringhieri ha ristampato una raccolta di memorie, lettere e saggi del grande storico Liberale e Socialista, Gaetano Salvemini. Proprio cinquant’anni fa moriva negli Usa lo storico pugliese. Era nato nel 1873 a Molfetta, Salvemini , precursore del liberal socialismo. Studioso della questione meridionale e maestro dei fratelli Rosselli è stato oppositore del regime fascista, aveva criticato aspramente Giolitti, accusò i rivoluzionari come Prezzolino e godetti di disprezzare la democrazia: un sistema imperfetto ma da salvaguardare. Annotava nel 1923 sul suo diario: “E’ moda, oggi , in Italia, fra gli uomini che si immaginano di essere “rivoluzionari” disprezzare la democrazia quanto e non più che facciano fascisti, nazionalisti, sognatori di gerarchie e di aristocrazie rigide e chiuse. E questo disprezzo, che sindacalisti, repubblicani, socialisti, anarchici e anche uomini come Prezzolino, Godetti, eccetera, dimostrano per la democrazia è documento della in cultura politica’ che è la malattia fondamentale dei “democratici” italiani e non italiani.” Parole attualissime perché anche oggi ci sono plutocrazie, gerarchie, oligarchie che dicono a parole di combattere i regimi ma che poi nei fatti deridono le istituzioni democratiche. “La democrazia, agita le masse, dirige i suoi partiti nella lotta politica; nasce, cresce, s’indebolisce, si ammala, corre il rischio di morire, o addirittura muore, come farebbe una persona in carne ed ossa. Queste parole, realistiche e lungimiranti esprimono la convinzione che dietro quella parola c’è un processo di trasformazione, segnato da conquiste e da crisi forti.
Sensibile al liberalismo di sinistra di Mill e alle tesi del laburismo inglese, Salvemini ripropone l’idea del equal liberty, coniugando le ragioni dell’autonomia dell’individuo con quella della giustizia sociale.
“La libertà economica non significa nulla per chi deve guadagnarsi da vivere, che sia un lavoratore manuale che un intellettuale. Se con sicurezza intendiamo un livello di vita minimo e l’uguaglianza di opportunità, dobbiamo ammettere che le istituzioni della democrazia politica del giorno d’oggi non la garantiscono a tutti. Eppure la sicurezza deve essere alla portata di tutti se si vuole salvare la democrazia politica dal naufragio.” Attualissimo nella nostra società caratterizzata dal rischio, dalla precarietà e dall’incertezza.
In uno dei suoi ultimi scritti del 1957 dava atto dell’operato della Democrazia Cristiana di De Gasperi: “Debbo riconoscere che i democratici cristiani mi lasciano protestare, mentre prevedo che i comunisti mi taglierebbero la lingua fin dal primo giorno… il giorno in cui fosse certo che Togliatti e Nenni hanno abbandonato sinceramente ogni intenzione totalitaria starei con Nenni e Togliatti. Non volendo cadere dalla padelle nella brace sono costretto a preferire la democrazia – democrazia – democrazia di De Gasperi, alla democrazia di Togliatti.”

Oggi in Italia e soprattutto dalle nostre parti occorre lottare per la giustizia sociale e la libertà da ogni tipo di miseria. Per il vibonese ci vuole una rivoluzione copernicana. Per fare questo bisogna lavorare per recuperare le tesi che furono di Gaetano Salvemini che restano ancora valide oggi. Non ci si dimentica di una esperienza socialista, libertaria, liberale e radicale, legata ai temi dello stato di diritto, delle libertà individuali, delle soggettività a partire da quella dei lavoratori. Questa è la strada maestra e la strategia dei prossimi anni e la sola via è quella di costruire un Partito democratico anche con lo spirito radicale e liberale e socialista. Solo cosi il Partito democratico sarebbe davvero tale a avrebbe l’adesione post mortem anche di Gaetano Salvemini.

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La Patria Europea o l’Europa delle Patrie? Intervista a Marco Pannella a Brussel

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

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Incontriamo Marco Pannella con Giuseppe Candido nel suo ufficio al nono piano del Parlamento Europeo in una di quelle giornate dove si sogna il mare calabrese e noi là all’ombra di un costume rosa. Non ci sono energumeni all’ingresso, solo signori beneducati e senza eroici gesta e sprezzo del pericolo ci facciamo avanti …(Continua)Pannella materializzato in una sorte di immagine sacra che ha funzione evangelizzatrice, materia che rimanda quasi al trascendente e invita all’adorazione perché come diceva in mattinata il leader dei socialisti europei, Glean? anche la creatività e l’originalità di Marco esprimono anelito al divino laico; scrutando il suo sguardo scorgiamo il caos e l’ordine, la saggezza e la santità, ma anche il rimprovero severo.
In mattinata si è parlato nell’aula “Spinelli” del Manifesto europeista firmato da Spinelli, Colorni ed Ernesto Rossi. Marco Pannella non è un gran narciso, non, come dice Marcenaro uno insopportabile, prepotente, individualista, logorroico, eccessivo, provocatore. Non è un Urano che divora i suoi figli, un mangiafuoco, un cannibale, un politico dell’antipolitica, un antipolitico della politica, uno che calcola, uno che innalza la Bonino e poi la stronca, che la riinnalza e la ristronca. Non è l’ultimo leninista o l’ultimo stalinista. Non è uno che si è fatto un partito su misura, che lo comanda a bacchetta, che finge di lasciarti le briglia sul collo e al primo strattone ti lacera la bocca da qua a là.
Il nostro obiettivo è approfondire il tema della mattina: la Patria Europea o l’Europa delle Patrie.
Fin dalle prime battute abbiamo la conferma sulla vera figura di Marco Pannella non stereotipata, che stupendamente campeggia nelle sue linee essenziali dove si intravedono i tratti delle sue ardite e originali intuizioni che sanno di spirituale elevazione e di mistico lirismo, espresse in una prosa che è poesia, a volte contemplazione, nutrita di memoria storica, politicamente e socialmente vissuta e testimoniata, oggi come ieri.
A noi non ci sorprende la sua umiltà e la sua eccelsa figura di apostolo della laicità, del socialismo liberale, follemente innamorato di verità, di giustizia e di libertà. Alcune risposte sono estremamente illuminanti e significative, spiritualmente e politicamente conquidenti nell’oggi della nostra vita politica, sociale e civile. Dietro a sé sta trascinando il mondo con la moratoria contro la pena di morte.
Pannella dei paradossi, fariseo settario e cosmopolita aperto, persecutore e apostolo, debole e gagliardo, cieco e veggente che vede tutto quello che mai ad uomo è stato concesso vedere. Povero che arricchisce molti, sconosciuto e notissimo, umile e si vanta, incatenato e libera tutti.
Parliamo di Europa e di Altiero Spinelli ad un secolo dalla nascita, comunista negli anni giovanili. Gli anni del confino sono stati gli anni fondamentali della svolta politica di Spinelli, a Ventotene dov’era stato tradotto in carcere per un’arbitraria condanna a cinque anni di confino fa gli incontri fondamentali della sua vita: Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirchmann (sorella del futuro Premio Nobel per l’economia Otto Albert Hirchhmann e futura moglie di Spinelli).
Nel corso della permanenza sull’isola ha modo di discutere approfonditamente e ” liberamente” con diversi intellettuali e uomini politici delle più disparate matrici culturali ed ha l’intuizione che porterà alla redazione del Manifesto di Ventotene;
il Manifesto è il documento fondamentale del federalismo europeo, redatto nella primavera del 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il Manifesto ha il grande merito di trasformare le idee di alcuni grandi pensatori a cominciare da Kant, Robbins e Lord Lothian (delle cui opere Spinelli aveva potuto fare conoscenza durante il confino grazie alla trasmissione clandestina di libri che aveva luogo tra Luigi Einaudi ed Ernesto Rossi). Il Manifesto presenta alcuni concezioni politiche nuove, ovvero che la battaglia per la federazione europea è una battaglia da fare subito per creare un Movimento Federalista Europeo su scala sopranazionale.
La pace europea, scriveva Spinelli, è la chiave di volta della pace del mondo. Difatti, nello spazio di una sola generazione l’Europa è stata l’epicentro di due conflitti mondiali che hanno avuto origine dall’esistenza su questo Continente di trenta Stati sovrani. E’ necessario rimediare a questa anarchia con la creazione di un’Unione federale tra i popoli europei. L’Unione federale dovrà avere essenzialmente: un governo responsabile non verso i governi dei diversi Stati membri, ma verso i loro popoli. Un esercito messo agli ordini di questo governo. Un tribunale supremo.
E’ la nostra battaglia, dice Pannella , Spinelli è stato lucido. Era successo che nell’ultimo anno e mezzo, pubblicamente venendo al nostro Congresso, devo dire col suo carattere. Se c’era una persona dura ma anche delicatissima, limpida, era lui, arrossiva; mi prendeva sotto braccio ogni volta che mi vedeva e mi diceva: adesso è il tuo turno. Io al letto di morte con dei testimoni autorevoli che poi sono divenuti eredi di mestiere che non erano granché gli dissi: guarda, arrangiati per fare il miracolo di vivere. Io ero a capo del letto, c’erano 40 persone da una parte, dall’altra parte i familiari, guardandolo perché sapevo che era un dolore vero, ma il dolore è un valore quando è una cosa viva è anche un dovere di non evitare di darlo perché rende vivi il dolore. Sono il dovere, le amarezze, le cose che non vanno. Gli dissi, guarda fai il miracolo, ti rimetti invece di morire. Io la gestione in attesa del miracolo la faccio, ma se è un problema di eredità guarda chi hai attorno, erano anche miei amici.
Chi erano?
Erano tanti, diversi, Dastoli, Bombelli, guarda qui, no, io eredità no. Devo anche dire… lo capisco. Infatti adesso viene fuori di nuovo il rilancio del progetto Spinelliano, concretamente lo facciamo. A quel livello. L’ultima volta che lui prese la parola sull’Atto Unico che era il tradimento di tutte le cose nostre, Spinelliane ecc. proposto da Delors e subito accettato da questo parlamentaccio ch’era divenuto perché il progetto comunista dalla quale faceva parte gli dava la possibilità di intervenire perché io rinunciai al mio intervento perché Altiero potesse parlare.
Nel 1946 Spinelli e Rossi escono dal Movimento Federalista Europeo, ritenendo assai improbabile la realizzazione del loro progetto di Europa Libera e Federata per sviluppare una lotta con altri mezzi e l’azione di Spinelli si rivela decisiva per fare della costituente europea la questione centrale per la creazione della Comunità Europea di Difesa e grazie a questa azione l’Assemblea, allargata alla CECA, viene incaricata di elaborare lo Statuto della Comunità Politica Europea per controllare l’esercito europeo, ma la sua opera venne vanificata dalla Francia. Fu una sconfitta per la lotta federalista ma Spinelli e il MFE rilanciano la lotta federalista per mobilitare l’europeismo in una protesta popolare diretta contro la legittimità stessa degli stati nazionali.
Ecco, la Patria Europea nell’ambito dello Stato Internazionale, quindi di Spinelli resta qualcosa che è attualissimo ed è la risposta per la Cina, il Medioriente e anche per l’Europa nella concezione e nel linguaggio di Ventotene. La battaglia vera è questa. Adesso nel giro di un mese cominciamo ad organizzare, iscriversi per riconoscersi, tra di noi, tra di loro per la Patria contro l’Europa delle Patrie.
Cosa comporta essere, come tu sei filoisraeliano quando Israele fa una politica dove la sovranità nazionale…
Guarda, io mi faccio carico da anni delle inadeguatezze storiche di Israele che fa come dici tu una politica di sovranità nazionale come tutti gli stati nazionali e sono ormai 30 anni che io lotto perché come l’Italia, la Germania, Israele rinunci alla sovranità nazionale di Stato nazionale e faccia parte strutturalmente dell’Europa. La Patria Europea nell’ambito dello Stato Internazionale. La lotta e le battaglie di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Senti, però Spinelli in qualche modo ha fallito come dire quello che era il progetto di Trattato Europeo perché frenato e insabbiato dai governi nazionali che nel 1985 varano il meno ambizioso Atto Unico Europeo.
Come ti ho detto prima adesso è venuto il tempo per il rilancio del progetto di Altiero Spinelli perché è attualissimo ed è la vera risposta per una Patria Europea e non per l’Europa delle Patrie.
Parliamo d’altro, esiste la compassione senza la pietà?
C’è Pasolini che ha insistito diverse volte che la Fede senza la Speranza o senza la Carità, la Carità senza la Fede o la speranza produce cose mostruose. E’ una riflessione che riconduce a questo. Per cui l’assistenza che è alla base della compassione che poi alla fine è alla base dell’8 per mille. E’ una industria quella della Com-passione, io mi tengo la Compassione della Cosa Radicale.
Con Pasolini intellettuale marxista?
Ma, quello che risulta dai suoi scritti che sono poi quelli fatti fuori, lui non capiva e non era d’accordo che noi non ci presentassimo alle elezioni, donde quando lui ha mandato il testamento ai radicali lui dice:io sono un intellettuale marxista, lo era a modo giusto suo che vota DC. Oramai da anni avrebbe voluto che i radicali si candidassero. Nel ‘63 io feci una pubblicazione ” Il Voto Radicale”, noi ci presentammo alle elezioni è il primo a scrivere, accettare di dire io voterò PCI e a qualificare il suo voto come voto radicale fu Pier Paolo Pasolini . In quel momento il voto radicale voleva dire proprio Torre Argentina, insomma allora era il 24 Maggio, non è che è come adesso che uno si vergogna di dire Comunista o Verde o altri cazzi, dice Sinistra Radicale.
La Rosa Nel Pugno ha un futuro?
Sai, quando una cosa ha un passato, quasi clandestino… chi si ricorda che Sciascia era eletto con la Rosa nel Pugno, Tortora, Emma. Noi l’abbiamo tutelata e quando l’abbiamo rimesso a disposizione è stato scritto ovunque che era l’unico evento politico nuovo. Io dico che resta l’unico evento politico nuovo perché queste altre cose, Costituente Socialista… io sono Socialista e devo andà a fare la costituente socialista. Magari quelli artri faranno la costituente Liberale, laica, radicale. Mi pare che chi ha un passato ha un avvenire. Chi ha le novità di questa Europa di Guano del 23 giugno di quest’anno.
Faccio tanti auguri, mi auguro di sbagliare però continuo con le mie compagne ed i miei compagni Radicali e quindi doppie tessere e continuo a portare avanti la RnP che è anche storia dell’organizzazione Liberale, Antipartitica e Laica. Sono cose che possono poi divenire sinonimi come Liberale, Socialista, Laico e Radicale.
La nascita della Rosa nel Pugno significa decidere, fare. L’alternanza per l’Alternativa. Un milione di voti presi non può essere considerato un disastro sapendo che l’alternanza venne stabilita solo per 24 mila voti. Abbiamo concorso tutti? Può darsi. Mezzo milione di voti sono nostri o no?Allora noi rivendichiamo la scelta di valutazione politica. Negli anni ‘60 ancora prima di quello che dice Claudio Martelli sul Partito Democratico, con Bettino ne parlammo anche, eravamo per il sistema Americano, Bipartitico, Anglosassone e dicemmo oltre 40 anni fa che dovevamo fare il Partito Democratico. Mo pare che vogliono fare non si sa cosa. Onore alla scelta di Enrico Borselli e agli altri per questa scelta della Costituente Socialista fatta nel momento più difficile.
Oggi la Rosa nel Pugno da una parte e galassia Radicale dall’altra mi pare che sono la prospettiva. Dobbiamo creare una nuova forza. Guido Calogero, Capitini, i Rosselli, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, storie gloriose e costitutive della civiltà nella modernità. Sono sinonimi: storie socialiste, liberali, radicali, sapendo che la prospettiva deve essere una unica tessera.
Un’ultima domanda: Ignazio Silone diceva che la libertà, la democrazia è libertà di sbagliare, Capezzone ha sbagliato?
Dipende da che punto di vista. Dal punto di vista dei cazzi suoi, no. La Cosa di Silone era proprio la tolleranza ma presupponeva che non c’è una verità e un errare, se no che libertà è? Io gli auguro… gli ho fatto gli auguri, partecipo se vuole visto che i 13 punti sono tutti e tredici manifestamente prodotti dai lombi radicali e questa formula è una formula quella che magari… saremmo stati lieti se nei 5 anni che è stato segretario dei radicali Italiani l’avesse fatta anche lì. Mo pare che gli si sia aguzzato l’ingegno, vediamo se riuscirà a farla. Per quel che mi riguarda l’unica cosa che credo lui oggi a… una bulimia di potere, di potere di esposizione… non gli farà bene purtroppo. Ha dimostrato, una volta eletto Presidente di una Commissione Parlamentare importante come si fa l’opposizione. Se ogni giorno fa il Di Pietro, i Mastella… meglio buoni a niente che essere capaci di tutto. I grandi problemi sono di classe: Welfare to Work, scalone va ragionevolizzato, ma mantenuto.

Abolire la Miseria che vuol dire?

Abolizione vuol dire radicalità.

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La Calabria e il libro bianco di Marco Biagi

Roberto Villetti - Foto: dumplife (Mihai Romanciuc)
Roberto Villetti - Foto: dumplife (Mihai Romanciuc)

di Filippo Curtosi

Roberto Villetti piomba alla manifestazione di Piazza Navona e la gente, numerosa, lo accoglie con simpatia. Il capogruppo alla Camera dei Deputati della Rosa nel Pugno esordisce: “Noi come Rosa nel Pugno poniamo delle questioni concrete e specifiche per migliorare l’Italia che è in evidente affanno e riesce a competere in pochi settori. E’ in gravissimo ritardo nel campo delle alte tecnologie e la qualità delle nostre università non è delle migliori, abbiamo come modello la Gran Bretagna dove le università sono le migliori d’Europa”.
On.le Villetti, Le pesa l’etichetta di mangia preti?
E’ una semplificazione di voi giornalisti, molti dei nostri militanti aderiscono alla dottrina sociale e liberale della Chiesa ma non possiamo accettare che le gerarchie della Chiesa entrino a gamba tesa in questioni che riguardano lo Stato e la laicità dello Stato.
Davvero vede la laicità dello Stato in pericolo?
Attraversa una crisi grave. Si va diffondendo sempre più una sorta di fondamentalismo che danneggia anche la Chiesa stessa.
Parliamo di Calabria, di economia di lavoro che non c’è. La Rosa nel Pugno rilancia Biagi nell’Unione: davvero utile per un territorio come quello calabrese, il vibonese può ripartire dal suo Libro Bianco?
Marco Biagi era un vero socialista riformista, una grande giuslavorista ucciso dalla Brigate rosse, la Rosa nel Pugno ne rivendica l’azione e l’eredità. Ricordiamo che Marco Biagi aveva lavorato per il centrosinistra con Tiziano Treu e nel 1999 era stato candidato per le comunali di Bologna con lo Sdi.
Cosa si può fare per ridurre la disoccupazione in Calabria?
La c.d. flexicurity, presa in prestito dal modello danese e cioè l’unione della flessibilità con un sistema di ammortizzatori sociali, cioè sussidi, certi ed universali che non rendano drammatica la disoccupazione possono dare un aiuto ai tanti giovani disoccupati calabresi e vibonesi.
E’ sempre valida la ricetta “Biagi”? Si può morire per mille euro al mese?
C’ un abisso tra l’insicurezza che provoca incidenti mortali e la ricchezza delle classi dirigenti. Riscoprire il tema del lavoro, della perdita del potere d’acquisto di stipendi e di salari, delle condizioni di precarietà nelle quali si trovano soprattutto le nuove generazioni è il contributo dei socialisti italiani e per noi non si tratta di una invenzione del momento.
Come si affrontano questi problemi?
Esiste un problema di regole che vanno rispettate da tutti ed è evidente il contrasto che non è solo italiano ma che riguarda la complessità del problema in una società multietnica.
Il dramma vero -dice il capogruppo della Rosa nel Pugno- è che il governo Berlusconi ha solo in parte tradotto in norme il Libro bianco del socialista Marco Biagi, la Rosa nel Pugno rilancia Biagi nell’Unione per dare una mano al Mezzogiorno e alla Calabria. Per noi flessibilità non vuol dire precarietà, ma opportunità e diritti per i giovani disoccupati. Sappiamo che la nostra è una sfida, ma è una partita che vogliamo giocare.
Un’ultima domanda, che significa oggi essere socialisti, radicali, laici?
La storia, la nostra storia è costellata di lavoro comune tra socialisti e radicali e se abbiamo raggiunto dei risultati come quello della legge sul divorzio e sull’aborto è perché c’ stata unità di radicali e socialisti nel combattere per l’allargamento dei diritti civili.
Tutto ciò era possibile senza Marco Pannella?
Non sarebbe stato possibile senza Pannella e Loris Fortuna, ecco perché noi non dobbiamo chiudere con la Rosa nel Pugno ma aprire un cantiere più vasto. Questa esperienza della RnP è ancora valida, adesso si apre la possibilità di aprire un grande confronto che riguarda il destino della sinistra italiana.
Qualcuno vi accusa di fare tanti matrimoni?

Questo è vero, ma certamente non abbiamo fatto omicidi politici. Il fatto è che noi siamo persone che ragionano, che si pongono continuamente interrogativi e dubbi. I socialisti sanno di non sapere.
I rapporti con Marco Pannella?
Ottimi.

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Intervista a Marco Pannella che ai calabresi dice: “siate radicali”

di Filippo Curtosi

Marco Pannela e Filippo Curtosi
Marco Pannela e Filippo Curtosi

Troppe nefandezze sono oggi compiute; gli uomini sono considerati come cose; ucciderli è un rumore, un oggetto caduto. Bisogna amarli come singoli esistenti, coma fa la madre. Se non tutti faranno cosi sarà pur bene che qualcuno lo faccia: il fuoco viene sempre acceso da un punto. Marco Pannella, questi versi…?

“Complimenti hai imparato a memoria dei versi di Aldo Capitini, grande personalità radicale, laica, nonviolenta, ghandiana. Certo dobbiamo sempre tenere alto il canto dell’amore, della giustizia e della pace”.

Perché?

“Per un insopprimibile canto dell’anima”. …(Continua)

Piazza Navona, 12 maggio 2007. “Orgoglio Laico”. Foto di gruppo con striscione. “Calabresi di Sellia Marina: Franco, Patrizia, Giuseppe, siamo qui perché vogliamo pari dignità e pari diritti”. Marco Pannella dispensa parole e sorrisi a giornalisti e curiosi.
Marco, due battute per “Abolire la Miseria della Calabria”. Accetta con piacere.

Qual è il senso del 12 maggio?

“Il senso vero è che i credenti vincano. Non vincano invece coloro che sono tutti divorziati e che hanno i loro capi a San Giovanni: Berlusconi, Casini. Siamo come alla marcia di Natale per la Giustizia, l’Amore, la Pace. Chi è venuto da fuori ha preso la sua macchina e ha pagato il treno o il pullman a biglietto pieno”.

Questa manifestazione che riempie per tre quarti piazza Navona, l’hanno voluta i Radicali e i Socialisti. L’hanno organizzata da soli in fretta e furia. Sono presenti anche i Verdi e Rifondazione Comunista. I grandi assenti sono i Ds. Lo fa notare il bravo presentatore Alessandro Cecchi Paone: “Dove siete? Vergogna!” Nel “backstage” si sta preparando intanto la band tutta calabrese degli ” Uvistra” che faranno tre pezzi molto apprezzati dal pubblico.

On.le Pannella, alimentare l’omofobia come cultura del razzismo diffusa?

In Italia la gerarchia ecclesiale esercita un ruolo invadente che non si vede in nessun altro paese. Ci accusano tutti di essere peggio dei nazisti della Shoa, lo scrivono, lo dicono, voi sterminate gli embrioni e poi ci scomunicano”.

Il problema invece qual è secondo Lei?

Il problema è come amare, nella nonviolenza e non nel possesso e se l’embrione è persona perché non lo battezzano allora. La verità, quella vera, quella di San Francesco non quella di abolire il limbo dopo 800 anni.

Pannella svisceratamente anticlericale come ai bei tempi oppure…

Senti il Santo Spirito nel mondo è lo Spirito Santo, qui da noi è una banca. La verità è che questi sono dei simoniaci. Noi abbiamo distrutto l’immenso aborto clandestino di massa, le chiese fasciste invece fanno campagna per la natalità…

Invece?

Serve concepire con amore che significa sapere concepire un ambiente migliore nel dialogo, non fare figli.

Welby era isolato?

Ha fatto conoscere questa storia di chi non può mangiare, non può bere, non si può muovere, di chi conduce la vita della tortura che è la storia del vissuto a migliaia di persone non solo in Italia ma nel mondo. Il vissuto di Welby è di tutti.

Oggi avete depositato un mazzo di fiori li dove è morta Giorgiana Masi, a 30 anni da quell’assassinio qual è la situazione?

Intanto debbo ringraziare il Vostro giornale per il bel pezzo uscito nei giorni scorsi su Giorgiana. Noi chiediamo che si faccia chiarezza con uno spirito di giustizia e non di vendetta come vogliono fare certe dichiarazioni di questi giorni che non aiutano e fanno confusione su uno dei grandi misteri del regime Italia.

Il progetto della Rosa nel Pugno è ancora valido?

E’ la madonna, col cavolo che è morto. manco pe’ niente

Con Saverio Zavettieri?

Adesso è leader de “I Socialisti Italiani.” Ha annunciato che avrebbe voluto venire nella Rosa. Tra una cosa e l’altra non so a che punto è.

Perché viene poco in Calabria?

Ho girato la Calabria in lungo e largo. A Vibo Valentia ero in contatto con Francesco Tassone del Movimento Meridionale, ci sono radicali che stimo come Salvatore Colace, Francesco Lo Duca, Giuseppe Matina. Nei giorni scorsi sono stato a Reggio Calabria per un convegno sulla pace nel medio oriente”.

Cosa puoi dire alla Calabria ed ai calabresi per sperare ancora nel futuro?

SIATE RADICALI!

Marco Pannella - Foto: dumplife (Mihai Romanciuc)
Marco Pannella – Foto: Mihai Romanciuc
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Giorgiana Masi: A trent’anni dalla sua uccisione, una strage di verità.

Marco Pannella: un delitto di Stato.

di Filippo Curtosi

È trascorso tanto tempo da quei lontani anni ′70 che segnarono la data di nascita del così detto “Movimento studentesco” in Italia. “Strategia della tensione”, Piazza Fontana e Piazza della Loggia, Italicus, rogo di Primavalle. Furono gli anni della morte di Giorgiana Masi, di Francesco Lo Rosso, dell’agente Custrà e poi di Guido Rossa, sindacalista, di Fulvio Croce, presidente degli avvocati e delle piazze incendiate dagli estremisti. Il lancio di pietre verso il palco dove parlava Luciano Lama alla Sapienza, il ferimento di Indro Montanelli e poi I Volsci, C.l., Radio Alice, Radio Onda Rossa.
La P38 era il simbolo della sinistra rivoluzionaria. Nudi dati anagrafici, dietro ai quali si celava tuttavia un lungo processo di incubazione. Le lotte operaie con pochi operai e studentesche. I no global, i movimenti ambientalisti e la sinistra radicale e libertaria non nascono dal nulla, ma hanno il loro epicentro, storicamente significativo, nel Lazio, Lombardia, Emilia, Calabria. Regioni chiave per lo sviluppo di una coscienza libera, per i diritti, per la lotta politica e ideale, per un messaggio che viene raccolto in ogni contrada del paese, dagli operai agli studenti, agli intellettuali. Numerosi intellettuali affluiscono in queste fila fluiscono con un folto stuolo di giovani e di donne. Dario Fo, Felix Guattari, Alain Guillaume, Sartre.
Tutto era surreale, alternativo, radicale: gli amori, reale, gli amici, la compagnia, la scuola, il privato, la libertà prima di tutto e da tutto. Il desiderio al potere se si può sintetizzare. Studiavo Giurisprudenza alla “Sapienza”, mi mantenevo vendendo giornali. Partecipai al Movimento studentesco senza tanta intensità. Portavamo come dice Guccini “un eskimo innocente, dettato solo dalla povertà, non era la rivolta permanente, diciamo che non c’era e tanto fa”.
Leggevo Allen Ginsperg, Kerouac, Re Nudo. Ascoltavamo Jefferson’s Airplane. “Cazzo” era la parola più usata a quel tempo. Il ‘77 non è stato il folclore come dice Francesco Merlo su La Repubblica. Piuttosto ha ragione Asor Rosa quando parla di “due società”. Da una parte dice lo storico della letteratura “c’erano i garantiti, coloro che avevano un reddito sicuro, dall’altra una vasta massa di giovani precari, marginali, senza prospettiva di inserimento sociale”. Si faceva di necessità virtù. Questo l’ex direttore di Rinascita lo scriveva nel 1977 su L’Unità. Poi le Br distrussero il sogno e i desideri. L’azione politica di compagni come Oreste Scalzone, Franco Piperno, Lanfranco Pace si dispiegava nella società civile con le lotte per la libertà ed il progresso dei lavoratori, per la difesa della democrazia e delle libertà, contro le repressioni autoritarie che raggiunsero la fase più acuta con il c.d. “teorema Calogero” del 1977.

A Bologna dove si riunì il movimento per l’ultima volta c’è una grande novità: svanisce il sogno e tutto si dissolve. Oltre a Scalzone che era stato incriminato per banda armata e condannato, anche altri compagni conobbero in quegli anni il carcere e vennero processati e condannati. Insieme ai provvedimenti che vietavano ogni tipo di manifestazione pubblica si decretava in pratica lo stato d’assedio e la sospensione delle libertà di associazione, di espressione libera. Il giovane ministro Cossiga fece arrestare il movimento ed i loro capi, tra i quali appunto l’Oreste. Contro le misure repressive della libertà di associazione, di sciopero, insorsero solo i socialisti come Giacomo Mancini, i radicali come Marco Pannella ed i veri democratici. Si era contro il compromesso storico e come scrive Lucia Annunziata nel suo libro 1977 “noi odiavamo i comunisti”. Il vecchio Psi assunse una politica autonomista, conferma Craxi alla guida del partito; più tardi Pertini verrà eletto presedente della Repubblica. Poi le Br, l’uccisione di Moro hanno definitivamente distrutto e cancellato il “Movimento”. Dopo 26 anni di latitanza in Francia, l’ex leader di Potere Operaio torna in Italia. Era stato condannato dal Tribunale di Milano nel 1981 per partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata nell’ambito del processo “7 aprile” su Autonomia Operaia.
Nell’immaginario dell’epoca si meritò l’appellativo di “rivoluzionario” non di mestiere. Processato in più occasioni, Scalzone trascorse in carcere alcuni anni. Costretto ad imboccare la via dell’esilio, per altri 26 anni girò in cerca di ospitalità per se e per le sue idee: Corsica, Olanda, Sud America, Francia, Parigi; il presidente socialista Mitterand diede ospitalità a tutti gli esuli ed i rifugiati politici. Si attraversava, da libertari tutte le lotte operaie degli anni settanta in Italia, partecipavamo all’occupazione di Valle Giulia con Pace e Piperno, leaders del Movimento studentesco, ci si scontra in piazza con la polizia e con i fascisti. Erano gli anni del “Potop” del potere operaio, come recitavano gli slogans di quel tempo. Erano gli anni dei cinema “d’essai”, degli scontri anche con quelli di Lotta Continua. Era la stagione delle assemblee permanenti, degli espropri proletari. Erano gli anni di forte e vera opposizione alla guerra, gli anni della difesa dell’internazionalismo libertario, socialista e radicale.
Chi incarnava il libertario in Italia era ribelle, bandito, sovversivo. Si è sempre ritrovato contro ogni tipo di potere. Sulla fiancata della barca di Gianmaria Volonté che portava in Francia Scalzone c’era scritto un verso di Paul Valery: “Il vento si alza, bisogna tentare di vivere”. Lui ha sempre incarnato queste parole. Sempre sulle barricate. Scalzone oratore formidabile, lo ricordo sempre sommerso di libri, carte e giornali. Non è mai stato un comunista anche se da giovane è stato iscritto alla Fgci: nei fatti anticipa quelli che oggi si chiamano no global da Caruso in giù.
A fianco degli operai che occupano le fabbriche e nelle lotte studentesche come a Roma, Napoli, Bologna, Milano. Viveva tra gli operai e con gli studenti: una sorta di icona del movimento studentesco. Poi venne sepolto vivo in esilio e continuamente sorvegliato come una bestia pericolosa. Farà ancora paura? Adesso che farai? Farò una compagnia di giro, composta da me stesso e da chi ci vuol stare. Farò agitazione filosofica, culturale e sociale”. Farà, dice il sindacalista dei rifugiati.
Marco Pannella, destinato a diventare per molti una sorte di voce profetica che più a contribuito a distruggere gli stereotipi borghesi della morale e dell’etica in base al suo atteggiamento nei confronti della nonviolenza del potere politico e industriale, dello stato assassino. Il Partito Radicale e compagnia possiamo dire che hanno sconvolto linguaggio, percezione e visione del mondo per la libertà, contro le ingiustizie, le guerre, l’odio e le incomprensioni. Andrea Casalegno dice che “per un giovane di oggi non è facile capire di che lacrime grondi e di che sangue la storia del 1977. Quei fatti sembrano un brutto sogno: il susseguirsi delle manifestazioni che ogni volta ci scappava il morto. Ammazzare era un gioco. Il vero lavoro era uccidere”. Un esempio per tutti: l’uccisione di Giorgiana Masi. In un bel libro, abbastanza raro, prestatomi da Salvatore Colace, Radicale Calabrese da sempre, elaborato dal Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei, si raccolgono testimonianze e fotografie del fatidico 12 Maggio 1977 della morte di Giorgiana Masi, diciannovenne simpatizzante Radicale.
“La meccanica dell’assassinio di Giorgiana, si legge in questo libro, si può riassumere come un omicidio di Stato”. “E’ vostra, diceva Antonello Trombadori, la responsabilità della tragedia”. “Un delitto di Stato” tuonava Marco Pannella. “Vogliono criminalizzare l’opposizione democratica, parlamentare ed extraparlamentare; l’opposizione laica, libertaria, socialista, non violenta, alternativa; quella del progetto, del referendum.
La violenza è stata solo dello Stato. Disobbedire era necessario. Il movimento femminista di Roma dice: “Giorgiana Masi è stata assassinata dal regime di Cossiga. Rivendichiamo il diritto di scendere in piazza, a riprenderci la libertà, la vita. Nessuna donna resterà in silenzio”. Ecco perché ancora serve il suo esempio, da libertari, nonviolenti, laici, socialisti, liberali e radicali.

A Giorgiana:
se la rivoluzione d’ottobre fosse stata di maggio se tu vivessi ancora, se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio se la mia penna fosse un’arma vincente se la mia paura esplodesse nelle piazze se l’averti conosciuta diventasse la nostra forza se i fiori che abbiamo regalato alla tua coraggiosa vita nella nostra morte almeno diventassero ghirlande della lotta di noi tutte, donne… se… non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita ma la vita stessa, senza aggiungere altro Conoscere per deliberare.

Da wikipedia, l’enciclopedia libera: Giorgiana fu una studentessa romana del liceo Pasteur uccisa a diciannove anni durante una manifestazione di piazza. Il 12 maggio 1977, terzo anniversario del referendum sul divorzio, i radicali indicono un sit-in in Piazza Navona nonostante fosse in vigore il divieto assoluto di manifestazioni pubbliche decretato dopo la morte, il 21 aprile, dell’agente Settimio Passamonti.
Le Polemiche: il ministro dell’interno Francesco Cossiga fu coinvolto in aspre polemiche per l’esistenza di un presunto complotto (vi sono fotografie che mostrano agenti in borghese mimetizzati tra i manifestanti che parrebbero, secondo alcune interpretazioni, sparare ad altezza uomo), e si dichiarò pronto a dimettersi “se avessi avuto le prove che la polizia aveva sparato”. Nel 2003 dichiarò, però, “non li ho mai detti alle autorità giudiziarie e non li dirò mai – i dubbi che un magistrato e funzionari di polizia mi insinuarono sulla morte di Giorgiana Masi: se avessi preso per buono ciò che mi avevano detto sarebbe stata una cosa tragica”. Riapertura delle indagini: la riapertura del caso è stata negli anni sollecitata da più parti. Per l’ex presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino, le parole di Cossiga pronunziate sull’accaduto confermerebbero come “quel giorno ci possa essere stato un atto di strategia della tensione, un omicidio deliberato per far precipitare una situazione e determinare una soluzione involutiva dell’ordine democratico, quasi un tentativo di anticipare un risultato al quale per via completamente diversa si arrivò nel 1992-1993″.
Il deputato verde Paolo Cento ha presentato una proposta di legge per formare una commissione che si occupi di “abbattere il muro di omertà, silenzi e segreti attorno all’assassinio della giovane e per individuare chi ha permesso l’impunità dei responsabili”.

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QUEI RIVOLTOSI DI “NON MOLLARE”


di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

L’acqua distillata è il laicismo, il credo socialista liberale. Il cantiere è la continuità Salveminiana”

“Non ci è concessa la libertà di stampa? Ce la prendiamo”. Da ottant’anni, questo giornale e questo monito sono leggenda.

Marco Pannella ha dato un giudizio assolutamente positivo del congresso dello Sdi . Si vuole fare l’Unità socialista che non è riuscita prima. “Sembra che le cose vanno benissimo dice Pannella rispetto ad un offensiva vetero clericale”.

imageLa Rosa nel Pugno vive nello spirito. Pannella ha una storia socialista .

Il segretario dei giovani socialisti, quarta componente della Rosa dice: “Il progetto laico, liberale, radicale e socialista non muore. Vogliamo un cantiere più grosso. Volevamo farlo prima e non ci siamo riusciti, adesso dicono si può fare”. Noi vi applaudiamo continua Pannella. Questa sera è una sera di festa perché c’è un canto nel congresso dello Sdi della laicità come alternativa ad un sistema politico italiano che possiamo definire come una cosa traditrice e bastarda. Ringraziamo Enrico conclude Pannella, perché l’Unità socialista è un percorso non craxiano ma che si richiama a Zapatero, Blair e Loris Fortuna. L’acqua distillata è il laicismo, il credo socialista liberale. Il cantiere è la continuità Salveminiana” . Cosa significa ciò? Per comprendere questo passaggio bisogna andare indietro nel tempo.

Anno 1925: La pattuglia dei “salveminiani” che comprende Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli, Carlo e Nello, Traquandi, da vita ad un giornale: “Non Mollare”.

Il titolo del giornale lo trova Nello Rosselli che, racconterà Salvemini, ha la meglio su chi propone “Il Crepuscolo”.

Ernesto Rossi di cui quest’anno si celebrano i 110 anni dalla nascita, studioso di economia e insegnante nelle scuole statali, mutilato dalla grande guerra, si professa subito “liberista”; i fratelli Rosselli, ebrei,di famiglia ricca; Tramandi di professione faceva il ferroviere. Si trattava di distinti borghesi dalle radici culturali “risorgimentali” che avevano partecipato al conflitto della grande guerra del 15-18.

Erano rivoltosi perché si mettevano contro il fascismo che aveva soppresso la libertà di stampa. “Volete che sparisca la stampa clandestina”? era la parola d’ordine che questo giornale fiorentino diffondeva. “Rispettate la libertà di stampa”. “Non ci è concessa la libertà di stampa? Ce la prendiamo”.

Da ottant’anni, questo giornale e questo monito sono leggenda. Qualunque semplificazione sta stretta, anche se, come ogni storia complessa come quella di cui “Non Mollare” si fece strada per 22 numeri clandestinamente (usciva quando poteva).

Ernesto Rossi aveva il compito di far recapitare il foglio clandestino a gente che si chiamava Camillo Berneri, Umberto Zanotti Bianco attraverso il ferroviere Traquandi.

Il bersaglio preferito era Vittorio Emanuele III, colluso con Mussolini.

La tiratura era di trentamila copie. Un giornale irriverente, di forte denuncia che veniva definito “Bollettino d’informazione durante il regimee fascista”. Simbolo autentico di resistenza al fascismo. Ernesto Rossi divenne cosi nemico giurato di Mussolini e dovette riparare in Francia in seguito al tradimento di un tipografo, Gaetano Salvemini venne arrestato a Roma prima di andare in esilio per oltre venti anni. I fascisti volevano ammazzare i fratelli Rosselli ma non li trovarono. Li avrebbero trovati dodici anni dopo.

Il “ Socialismo liberale” di Rosselli.

Scriveva Aldo Garosci nel 1967:

“L’anno 1937 si apriva sullo scenario europeo di una guerra civile che, a cinque mesi dal suo inizio, di giorno in giorno appariva come il dissidio tra due civiltà: la guerra di Spagna. In molti tra gli esuli antifascisti italiani, avevano fatto la loro scelta di campo, e tutto nell’animo e nella volontà di Carlo Rosselli lo disponeva all’intervento in questa guerra”.

Settant’anni fa venivano uccisi in Francia i due fratelli antifascisti, socialisti e liberali da tempo sotto stretta sorveglianza.

“Il maggior pericolo viene da Rosselli e, a mio modo di vedere, è assolutamente necessario sopprimerlo” cosi si esprimeva nel 1934 il capo della polizia politica che viene riportato nel volume di Mimmoo Franzinelli: “Il delitto Rosselli. 9 giugno 1937. Anatomia di un omicidi politico”.

Attraverso di esso, scrive lo storico Lucio Villari, l’autore ricostruisce la preparazione in Italia e l’esecuzione per mano francese dell’assassinio dei fratelli Rosselli. Nella prima metà del volume si seguono le trame italiane e le complicità francesi della rete dentro la quale cadrà Carlo Rosselli. “Tenga presente – scriveva Michelangelo Di Stefano numero due del capo della polizia Arturo Bocchini – che il movimento più importante, più pericoloso, più attivo è, per ora Giustizia e Libertà. Ho dovuto persuadermi che il Rosselli è, senza dubbio, l’uomo più pericoloso di tutto il fuorisciutismo (nel lingiaggio fascista si preferiva qualificare con un termine dispregiativo “fuorusciti” gli esuli antifascisti).

Egli è un “piccolo Lenin, figlio di papà” ma crede sul serio al suo ruolo rivoluzionario ed è totalmente sprovvisto di quel minimum di misticismo che spinge il rivoluzionario idealista a non imbruttire mai la propria opera. Per Rosselli tutti i mezzi sono buoni”.

I servizi segreti, scrive ancora Villari,” sapevano anche che la posizione di Rosselli era critica nei confronti dell’antifascismo all’estero e delle sue varie componenti: socialiste, comuniste, liberali, repubblicane, anarchiche, cattoliche.

Gli informatori sapevano che la lotta al fascismo condotta da Rosselli, voleva essere, rispetto a queste componenti, più profonda, più incisiva, più strategica. In una lettera, intercettata, di Rosselli al repubblicano Fernando Schiavetti era detto: “Non occorre che spieghi a te che la nostra concezione non ha nulla a che fare con il vecchio massimalismo. Siamo pronti alla lotta concreta e a tutte le concessioni tattiche, purchè resti energicamente perseguito il fine”. La guerra di Spagna, conclude lo storico” metteva alla prova queste idee. Per il regime fascista occorreva dunque agire al più presto.

Chi sapeva, se non le spie e gli intercettatori italiani del fatto che Carlo Rosselli, tornato dalla Spagna con una grave flebite alla gamba doveva curarsi ai primi di Giugno presso le terme di Bagnoles-del’Orme in Normandia?

Chi altri l’avrebbe potuto chiedere ai “cagoulards” di portare a termine l’eliminazione di Rosselli se non i massimi vertici del fascismo internazionale?

Dopo la morte di Rosselli, un altro grande antifascista italiano assunse compiti impegnativi di carattere politico e organizzativo nell’ambito di “ Giustizia e Libertà”: Bruno Trentin, padre dell’ex segretario generale della Cgil. Scrive Hans Werner Tobler:” Dall’esame del contributo teorico- sociale del Trentin negli anni trenta, visto come una delle componenti del quadro politico di “ Giustizia e Libertà”, proprio in confronto alle concezioni politiche di Carlo Rosselli, emerge la vasta gamma di opinioni che caratterizzava questo movimento.

Per quanto, nel loro tentativo di definire una propria posizione politica, sia Trentin sia Rosselli partano dalla polemica con il marxismo e col socialismo e tendono ad una nuova concezione della società, determinata anche in forma decisiva dall’esperienza del fascismo, e per quanto riconoscano entrambi la realizzazione sociale dei postulati liberali di autonomia come un’esigenza centrale, differiscono poi nel loro orientamento politico.

Le idee di Rosselli che, data la sua leaderschip nell’ambito di “Giustizia e Libertà”, vanno intese anche come espressione fondamentale dell’orientamento di questo movimento, vennero elaborate soprattutto in “ Socialismo liberale” apparso nel 1930. Per Rosselli che aveva fatto parte del partito socialista di Matteotti, Socialismo liberale aveva il significato di un distacco dal socialismo italiano tradizionale e soprattutto dal rifiuto della sua base marxista. Nella prassi politica, Socialismo liberale significava una svolta in direzione della pratica politica della socialdemocrazia europea occidentale e soprattutto inglese.

Socialismo liberale va inteso come critica fondamentale del marxismo.

“Oggi sono in causa” scrive Rosselli nella prefazione, “Le basi fondamentali della dottrina e non più soltanto della sua applicazione pratica. E’ la filosofia, è la morale, è la stessa concezione della politica marxista che non basta più a soddisfarci e ci spinge verso altre sponde, verso orizzonti più vasti”.

Influenzato dall’interpretazione di don Benedetto Croce del marxismo, Rosselli respinge soprattutto la base materialista e l’interpretazione deterministica del processo di sviluppo storico del marxismo. Rosselli critica con Croce “L’assurdo relativismo morale professato dai socialisti”, sente nel marxismo la mancanza delle “integrazioni etiche e sentimentali”, lo trova privo di “giudizi morali, entusiasmo e fede”.

Rosselli interpreta il marxismo in quanto determinismo dogmaticamente cristallizzato, non come una teoria che riesca a ispirare l’attività politica pratica, ma che, al contrario, in determinate circostanze storiche( come al tempo della presa del potere del fascismo) addirittura la paralizza. Marxismo e socialismo non gli appaiono pertanto identici, ma anzi il marxismo può rivelarsi un impedimento per il socialismo. Bisogna dunque- secondo Rosselli – liberare il socialismo dalla sua incrostazione dogmatica- marxista.

La critica del marxismo di Rosselli non è tanto una critica del marxismo genuino quale risulta dalle opere di Marx ed Engels, quanto piuttosto una polemica con la concezione del socialismo e della sua realizzazione adottata dai marxisti italiani. Socialismo non significa più per Rosselli essenzialmente una struttura socialista di produzione. Il socialismo si rivela nel concetto di Rosselli piuttosto un ideale:” Il socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere, e neppure l’uguaglianza materiale(…) Il socialismo, più che uno stato esteriore da raggiungere, è per l’individuo, la realizzazione di un programma di vita…Rosselli arriva alla sintesi di socialismo e liberalismo nel suo Socialismo liberale interpretando il nuovo socialismo come l’autentico proseguimento del liberalismo idealista ch’egli contrappone al liberalismo borghese del suo tempo, ridotto a liberalismo economico. Per “Socialismo liberale” intende quindi “una teoria politica che, partendo dal postulato della libertà dello spirito umano, afferma la libertà suo fine supremo, suo mezzo supremo, regola suprema della convivenza umana”.

In definitiva la concezione di Rosselli di un socialismo liberale corrisponde ad una politica di integrazione dell’individuo nello stato di tipo democratico occidentale, basata sui principi del liberalismo politico.

La libertà personale dell’individuo deve essere integrata da una politica di giustizia sociale fino alla compenetrazione dei postulati di socialismo e liberalismo, “giustizia e libertà”.

Quello di cui oggi l’Italia ha bisogno. Per ritornare al congresso dello Sdi possiamo dire che è rinato il Psi ed è nelle cose che Marco Pannella avrà una delle prime tessere, quella che Bettino Craxi gli ha sempre rifiutato. Il 12 maggio a Piazza Navona c’è una festa: “Rosa nel Pugno Pride”. Roma è aperta ai nuovi Garibaldi, ai nuovi laici, liberali, socialisti e radicali.

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Calabria: prepensionamenti d’oro ai dirigenti regionali. Reato plitico e morale

di Giuseppe Candido

Un piccolo quotidiano regionale “il domani della Calabria” in questi giorni ha condotto una interessante inchiesta sui costi della politica. Nello specifico, l’inchiesta si è occupata di circa 300 prepensionamenti di altrettanti dirigenti regionali ai quali è stato riconosciuto un’incentivo di circa 570.000 euro oltre a buonuscita e pensione. Risultato: più di 150 milioni di euro come danno alle casse della regione. L’industriale del tonno calabrese, Filippo Callipo ha affermato che se un imprenditore facesse con i propri dirigenti di azienda ciò che la regione calabria ha fatto con i suoi sarebbe considerato un PAZZO. Questo è uno schiaffo al comune senso della decenza istituzionale diciamo noi. Dopo i porta borse assunti con legge speciale anche i dirigenti prepensionati con incentivi che un qualsiasi laureato oggi, minimamente neanche sogna al momento di un suo futuro pensionamento che invece è sempre più aleatorio e affidato a fondi integrativi. W l’Italia.

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Moratoria esecuzioni capitali: In sciopero della fame ad oltranza

di Giuseppe Candido

Essere contrari alla pena di morte è, per noi italiani una cosa così ovvia e scontata che forse a volte rischia di diventare retorico colui che si batte per ottenerla, subito, durante l’assemblea generale dell’ONU in corso. L’associazione Nessuno Tocchi Caino e il Partito Radicale si battono per questo sin dal 1993. Come si legge nella sintesi del dossier sulla pena di morte dell’associazione [Nessuno Tocchi Caino](http://www.nessunotocchicaino.it/): “*La moratoria si è rivelata essere una via ragionevolmente pragmatica ed efficace contro la pena di morte. In questi 14 anni, 45 paesi hanno deciso di non praticare più la pena di morte e moratorie (spesso seguite da abolizioni) ovunque nel mondo hanno potuto salvare dal patibolo migliaia di persone. Sin dal 1994 e a più riprese nel corso di questi anni e mesi, l’Unione europea e il Governo italiano hanno di fatto dissipato la forte probabilità di un pronunciamento dell’Assemblea generale dell’Onu a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali in vista dell’abolizione della pena di morte. Nel 1994, ad esempio, tale proposta italiana fu battuta perché mancarono i voti di alcuni Governi europei. Nel 1999, poi, come precisamente testimoniato e ribadito di recente dall’allora ambasciatore italiano al Palazzo di Vetro, Francesco Paolo Fulci, venne da Bruxelles l’ordine di ritirare la risoluzione già depositata perchè non vi sarebbe stata la certezza assoluta di avere una forte maggioranza. Nel 2003, il precedente governo dovette affrontare durissime polemiche anche in sede di Parlamento europeo e di parlamento italiano per non aver ottemperato all’impegno e al mandato di depositare all’Assemblea generale dell’Onu, finalmente, la risoluzione a favore della moratoria. Nel luglio 2006, la Camera dei deputati aveva ribadito con fermezza e all’unanimità il mandato al governo di presentare all’Onu, sin dall’inizio dell’Assemblea generale del 2006 tuttora in corso, la risoluzione pro moratoria. Nell’ottobre scorso, di fronte all’inerzia del Governo, la Camera dei deputati – in grave polemica con il governo che aveva definito “stimoli” o “appelli” i puntuali e stringenti atti di indirizzo del parlamento – ha approvato, di nuovo all’unanimità, una risoluzione che chiedeva al governo di “dare tempestiva e piena attuazione” alla mozione di luglio. Il Governo ha invece scelto di limitarsi ad una iniziativa politica e non istituzionale con la sottoscrizione da parte di 85 membri dell’Assemblea generale dell’Onu, il 19 dicembre 2006, di una mera dichiarazione di intenti contro la pena di morte senza nessun valore formale e impegno preciso. Il 27 dicembre 2006, Marco Pannella inizia uno sciopero della fame e della sete per sostenere la proposta “Nessuno tocchi Saddam” e, dopo l’esecuzione di Saddam Hussein, lo sciopero della fame e della sete di Pannella è rilanciato e convertito sull’obiettivo più generale della moratoria universale delle esecuzioni capitali. Si chiede al Governo italiano di assumere un impegno formale e concreto a presentare una risoluzione all’Assemblea Generale dell’ONU in corso. Il 2 gennaio 2007, in relazione alla iniziativa di Pannella, Palazzo Chigi rende noto che “Il Presidente del Consiglio e il Governo si impegnano ad avviare le procedure formali perché questa Assemblea Generale delle Nazioni Unite metta all’ordine del giorno la questione della moratoria universale sulla pena di morte.” Il 6 Gennaio 2007, in un incontro a Palazzo Chigi con il Vice Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, la delegazione del Partito radicale guidata da Marco Pannella presenta al Governo un Memorandum sui passi formali e politici da compiere: riapertura del punto 67 dell’agenda dell’Assemblea Generale in corso per la presentazione di una Risoluzione; preparazione da parte del Governo di una bozza di Risoluzione con un chiaro dispositivo sulla moratoria; inizio della raccolta firme sul testo di risoluzione. Il 1° febbraio, con un voto quasi unanime, il Parlamento europeo “sostiene fermamente l’iniziativa della Camera dei deputati e del governo italiani, sostenuta dal Consiglio e dalla Commissione UE nonché dal Consiglio d’Europa; invita la Presidenza UE ad adottare con urgenza un’opportuna azione per garantire che tale risoluzione sia presentata in tempi brevi all’Assemblea generale ONU in corso.” Molte volte si è stati vicini a questo obiettivo senza mai raggiungerlo. L’iniziative più recenti dopo l’appello “Nessuno tocchi Saddam” è la marcia di Pasqua tenuta a Roma lo scorso 8 aprile e lo sciopero della fame che, dal 21 marzo, Marco Pannella; questa forma di lotta nonviolenta il 16 aprile ha preso forma, assieme ad altri quattro compagni radicali (Sergio D’Elia, deputato della RNP e segretario dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, Walter Vecellio, Guido Biancardi e Claudia Sterzi) di sciopero della fame AD OLTRANZA. Il motivo è sostenere il governo italiano affinché faccia la sua parte portando ufficialmente all’Onu la risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali. Alla marcia di Pasqua organizzata dal Partito Radicale, dall’Associazione Nessuno Tocchi Caino e dalla Comunità di Sant’Egidio aveva avuto il patrocinio del Comune di Roma e, a dimostrare la con divisibilità dell’iniziativa se ce ne fosse bisogno, è il fatto che con tre semplici telefonate siamo riusciti a far subito aderire simbolicamente, ma ufficialmente, i sindaci di Sellia Marina, Cropani e Botricello. In piazza a Roma hanno partecipato alcune migliaia di persone e a noi è dispiaciuto non esserci personalmente. Ieri (19 aprile), dalle colonne del L’Unità, Marco Pannella lancia un appello: “non fermiamoci ora”. Pannella ha spiegato come i mandati del Parlamento Italiano e gli stessi impegni assunti dal Governo “non menzionano minimamente la condizione di consenso dell’Unione Europea, bensì la formula in “consultazione” con i paesi europei*” Pannella si trova a sostenere quello che il Governo italiano ha dichiarato di volere e a cui lo vincola un mandato del Parlamento votato all’unanimità trasversalmente ai due schieramenti. Per questo Pannella – ormai a un mese di sciopero della fame – con la sua iniziativa ad oltranza ha inteso chiamare a mobilitazione tutti. Donne e Uomini di buona volontà che considerino improcrastinabile e non più rinviabile alla prossima assemblea la presentazione di una risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni capitali. Ad oggi, infatti, il Governo italiano non ha ancora depositato la risoluzione della moratoria nonostante l’adesione alla Marcia. Tutto ciò lascia stupiti e anche le dichiarazioni di Fassino a riguardo la moratoria dal palco del congresso dei DS sembrano deboli e volte a non depositare subito la risoluzione. Per questo rispondo alla richiesta di aiuto e aderisco a sostegno dell’iniziativa con una forma di lotta alternativa, che già Luca Coscioni adottò per le sue battaglie di libertà e di diritto: quella dell’auto riduzione dei farmaci. Dell’insulina – nel mio specifico caso – di cui necessito in quanto diabetico. Dalla mezzanotte di giovedì 19 aprile sino alla mezzanotte di domenica 22.

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Non bene… Di.Co. : il lungo travaglio delle coppie di fatto

di Giovanna Canigiula

In origine erano i Pacs, patti civili di solidarietà. Il fronte congiunto di Vaticano e cattoparlamentari di entrambi gli schieramenti li ha trasformati in Di.co., sigla che traduce l’impegno a riconoscere i diritti delle coppie di fatto, obbligando le ministre Bindi e Pollastrini a virtuosismi che hanno finito con lo scontentare un po’ tutti. Il disegno di legge, infatti, è frutto di un compromesso tra le due anime del Paese, quella laica e quella cattolica, caldeggiato anche da Napolitano dopo le sortite delle alte gerarchie ecclesiastiche. Il presidente si è richiamato all’art. 7 della Costituzione, che vuole Stato e Chiesa “indipendenti e sovrani” ciascuno nel “proprio ordine” e con rapporti regolati dai Patti Lateranensi, sperando in una sintesi che tenesse conto delle diverse posizioni ed evitasse la rigida contrapposizione. Molti rappresentanti del governo si dicono soddisfatti del buon esito del testo, pur riconoscendogli dei limiti dovuti proprio alla necessità di coniugare le indicazioni del programma dell’Unione e la sensibilità cattolica. Critici, invece, ampi settori della sinistra e le associazioni Arcigay e Arcilesbica, che denunciano un atteggiamento ancora una volta discriminatorio, soprattutto nei confronti degli omosessuali. In Europa i Pacs non sono una novità: in diversi paesi le unioni civili tra conviventi dello stesso sesso o di sesso diverso sono riconosciute in varie forme; in Belgio, Olanda e Spagna sono ammessi i matrimoni tra coppie omosessuali. Il terremoto italiano è stato provocato dalla massiccia discesa in campo della Chiesa, che invoca la salvezza e la salvaguardia della famiglia tradizionale, cellula prima di una società fondata, secondo l’antropologia cristiana, sul matrimonio contratto tra due esseri diversi, un maschio e una femmina, con capacità riproduttiva. Sulla base di tale visione, il riconoscimento di altre forme di convivenza -in tempi in cui divorzi, unioni libere, adulteri sono tollerati- finirebbe col turbare ulteriormente un equilibrio culturale di antica tradizione, negando l’assunto simbolico dell’istituto matrimoniale, compromettendo la trasmissione di valori secolari alle nuove generazioni e ingenerando confusione nei giovani. La violenza dell’aggressione ha non solo lasciato perplessi i laici ma ha messo in imbarazzo anche parte del mondo cattolico. Mons. Nicolini, ex direttore della Caritas di Bologna, ha dichiarato che riconoscere i diritti di tutti i cittadini e regolare ogni forma di unione stabile sia un dovere per uno stato laico e pluralista. Definendo “cristiani pigri” gli esponenti politici della Margherita che pongono paletti, ha invitato a non essere accecati dall’ideologia perché il rischio è quello di concepire uno Stato Etico che nulla ha a che vedere con la laicità delle istituzioni e neppure col messaggio cristiano della solidarietà al cittadino svantaggiato, sia esso l’anziano che convive per sfuggire alla solitudine o l’omosessuale che abbia una solida relazione affettiva. L’esito di un sondaggio effettuato nelle scorse settimane, del resto, denota la propensione degli italiani, cattolici inclusi, a riconoscere alle coppie non sposate tutti o parte dei diritti riservati a quelle sposate. Minore indulgenza si registra nei confronti degli omosessuali: metà degli intervistati è favorevole alla concessione di qualche diritto ma i più ritengono poco opportuno il riconoscimento legale di un’unione gay. I quattordici punti in cui si articola il ddl Bindi- Pollastrini hanno davvero qualche limite, a partire dal fatto che diritti e doveri non sono riconosciuti alla coppia in quanto autonoma forma di relazione ma ai singoli individui. Nodo cruciale non risolto resta la pensione di reversibilità, la cui discussione è rimandata a quando verrà effettuata la riforma del sistema previdenziale, osteggiata perché comporterebbe un aggravio della spesa, calcolato in 80 miliardi di euro in venti anni sulla cifra di 550.000 coppie di fatto già esistenti. Ai conviventi si riconoscono diritti importanti come l’assistenza per malattia, la possibilità di decidere in materia di salute e in caso di morte, di concorrere all’assegnazione delle case popolari, di usufruire di agevolazioni nel lavoro, di subentrare negli affitti, di ereditare, di godere degli alimenti in caso di separazione. Le clausole, però, sono grottesche: si possono ottenere trasferimenti e sedi agevolate solo se si convive da almeno tre anni; lo stesso numero minimo di anni condiziona l’obbligo agli alimenti e comunque “per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza”; nove anni occorrono per garantirsi il diritto alla successione ma sempre tenendo conto, in assenza di figli o di fratelli, dei parenti fino al terzo grado. Si notano, insomma, ambiguità e forzature che inevitabilmente rimandano ai diktat che la Chiesa ha lanciato ai suoi parlamentari. Come a dire: c’è un popolo di Dio che si sposa o convive ma ci sono rappresentanti di Dio in terra che ritengono di doverlo illuminare, che si dicono rispettosi di governo, maggioranza e Parlamento ma in diritto di promuovere note “pastorali” con intenti politici. Nell’attesa che la Cei renda noto il documento al quale lavora, molti intellettuali cattolici stanno firmando una petizione con cui si chiede ai vescovi di fermare la “nota” sui Dico. Intanto, l’iter parlamentare si preannuncia burrascoso. Al Senato le maggiori incertezze. Colombo, Cossiga, Andreotti si sono detti contrari. Volonté parla di una “campagna di imbarbarimento a danno degli esseri umani naturali”, cioè degli eterosessuali e si richiama a Freud, Iung e Adler per i quali l’omosessualità sarebbe una “patologia, una malattia mentale” oggi “di moda”. Prodi si affanna a difendere il provvedimento che non scardina in alcun modo la famiglia ma già Salvi, presidente della Commissione Giustizia del Senato, ritiene necessario un ulteriore compromesso che convinca l’opposizione a votare a favore. La battaglia, quindi, è tutta in divenire. E non è cosa da poco, se si pensa che sul terreno dei diritti civili si gioca la partita dei rapporti tra Stato e Chiesa. O, meglio, la capacità della Chiesa di condizionare le scelte di uno Stato. Con la caduta del Governo, i dodici punti di sutura che lo terranno ancora insieme con il contributo dell’Italia di mezzo di Follini è evidente che ha vinto: lo Stato etico.

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Periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabrese

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