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Emigrare e immigrare

di Franco Vallone
Emigranti calabresi a Buenos Aires Archivio Franco Vallone

Le due statue, policrome e inghirlandate di tutto punto, di San Basilio Magno, protettore di Cessaniti, e della Vergine Santissima della Lettera, venerata nella frazione Pannaconi, avanzano lentamente assieme, tra la gente, in una processione un poco più corta del solito. La marea di gente in movimento prosegue lenta, in un itinerario processionale, anche al di là dell’Oceano. Le due Cessaniti, quella calabrese e quella in Argentina,  si guardano allo specchio con San Basilio e la Madonna della Lettera. Cessaniti e Pannaconi, portati sulle spalle, come ogni anno, come al  solito, dalla stessa gente di Cessaniti sparsa nel mondo. I calabresi escono fuori dalle loro case, come formiche, si ritrovano e si   riuniscono ancora una volta per le strade assolate di Buenos Aires. Dopo la messa portano fuori dalle chiese i loro santi, ricordano i passi del  loro lontano paese per ringraziare, per fede o per abitudine, per rinnovare il  rito e il senso più profondo dell’unità della loro comunità, nella  consapevolezza di vivere in una lontananza obbligata, in una terra straniera oramai divenuta ritualmente familiare e quotidiana. Un rito per sentirsi, almeno per un attimo, a casa e per pensare, ancora una   volta e con nostalgia, ad un vicino prossimo ritorno in Calabria.

Il festante corteo avanza faticosamente tra le auto in sosta, tra la gente  del mondo nuovo, con la nostalgia nel cuore nel ricordo dei parenti  lontani, … …degli amici e dei conoscenti, delle strade di casa o di chi  ormai non c’è più. I cessanitoti si stringono l’uno con l’altro per stare assieme almeno un giorno, ancora un giorno, nel ricordo della loro  festa. Una strada, quella che si attraversa, fatta di migliaia e migliaia di chilometri di mare. Un viaggio che anche Italiano Domenico di Favelloni si fece nel lontano 1910 su un bastimento sgangherato. Le   partenze avvenivano abitualmente da Napoli, o da Genova e poi si   affrontava l’infinito Atlantico fino a Buenos Aires. Di questi lunghi  viaggi Domenico Italiano ne fece tanti, alcuni sono anche testimoniati  dai suoi biglietti d’imbarco. Uno di questi interminabili viaggi lo fece  nel 1928 col vapore, di bandiera italiana, “Augustus”. Il biglietto di  viaggio testimonia il camminare per il mondo di Domingo. Da Favelloni a  Napoli e poi scalo a Genova prima di prendere il largo nell’oceano. Il   giorno della partenza da Napoli è il 6 luglio. La cabina, che gli tocca e gli consegnano, è la numero 686, il letto B, il biglietto è lo 00100.   Domenico Italiano ha trent’anni ed è uno dei tantissimi giovani  calabresi in cerca di lavoro, di fortuna e di una nuova vita al di là dell’Oceano.
Calabresi arrivano nelle americhe Foto archivio Franco Vallone
Oggi riusciamo a conoscere anche il menu della cucina del bastimento e sapere cosa Domenico Italiano ha potuto mangiare in quei giorni di viaggio. Il menù di bordo, giorno per giorno, prevedeva tra l’altro pasta all’acciuga, baccalà in umido con patate, pasta e ceci al lardo con patate, carne al ragù con cipolle cotte… Con il suo biglietto di terza classe economica, un pezzo  di carta, piegato in due, di colore rosso, il signor Italiano affrontò   il primo mistero di quello che veniva definito altro mondo tanto era lontano e sconosciuto, il secondo, quello definitivo e infinito, lo  avrebbe affrontato molti anni più tardi, nella sua Favelloni Piemonte,  dopo il ritorno dalla ‘Merica. Domenico Italiano partì per l’Argentina con il suo baule dell’emigrante ritrovato anni dopo da Padre Maffeo Pretto, scalabriniano calabroveneto in missione nel Sud Italia proprio  per studiare il fenomeno delle migrazioni. Quel baule è oggi un simbolo prezioso e famoso delle “Stanze della luna” di Vibo Valentia, guardato con gli occhi incantati da migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo, sguardi colmi di retorico e del nostalgico nel Museo dell’Emigrazione Italiana nel Complesso del Vittoriano, a Roma. Ieri quel baule è servito come utile contenitore delle povere cose di  Domingo.
Un corredo per il corpo e per l’anima, una coperta, maglie e mutandoni di lana, un coltello per il pane, un rasoio e un pennello da barba, documenti e fotografie della famiglia lasciata al paese, lettere sgrammaticate mai inviate e mai arrivate e tanti ricordi infiniti. Ed oggi ancora una bella e inattesa sorpresa: dopo l’uscita di alcuni volumi sull’emigrazione calabrese (“Il Baule dell’Emigrante, il bagaglio della memoria”; “I Calabresi che scoprirono la ‘Merica”; “ItaliAmerica, il viaggio sul mare grande come il cielo”) in cui più volte si parla di  Italiano Domenico di Favelloni di Cessaniti, a Milano la regista  Fiorella Cicardi gira un video per uno spettacolo teatrale dal titolo “Bastimenti” che racconta proprio di Domingo Italiano, di Argentina, di emigrazione, di sogni, speranze e disperazione, di terre lontane, di nostalgia… Cataldo Perri autore dell’opera si ritrova il signor Italiano sulle tavole di palcoscenico dello spettacolo in Italia e in Argentina.  In fondo il destino di questo antico uomo di Favelloni è, da sempre, proprio il viaggio, il camminare per portare la sua testimonianza di uomo, di lavoro e di fatica, di fede, di calabrese nel mondo. Una delle immaginette religiose, raffigurante San Filippo d’Agira, contenuta nel baule di Italiano Domenico, riporta proprio una scritta in corsivo,  ingiallita e sbiadita dal tempo: “Cognato Carissimo Con piacere ti mando  la figura del nostro gra (nde) Santo protettore, con la speranza che il  nostro S. protettore ti voglia guardare da tutti i pericoli e il buon  idio voglia che ti guariscie dei dolore che tieni !… un paternoster e un  gloria patre. Non ti scordare di noi. Pronta risposta tuo Bruno. Si è fatta una bona festa”.  Sulle belle cartoline pubblicitarie le agenzie di navigazione mostravano  bellissime navi e promettevano comodi viaggi su veloci e moderne imbarcazioni che poi, in realtà, si dimostravano solo sgangherati  vaporetti. Partivano emigranti e bastimenti, da porti vicini e lontani, da Pizzo Calabro, Messina, ma principalmente da Palermo, Napoli e Genova.
Partivano con la speranza di attraversare l’Oceano in tempi brevi, invece non bastavano trenta giorni di navigazione. Gli emigranti dovevano affrontare “quel mare grande quanto il cielo, un mare così grande che sembrava non finire mai”, trenta o quaranta giorni di mare e cielo per arrivare a New York, la famosa Ellis Island, la loro Novayorca  o a Bruccolino o a Bonosairi o a Muntivideo… New York, Brooklyn, Buenos Aires, Montevideo tanti nomi strani per   l’emigrante che partiva per la ‘Merica senza conoscere la nuova lingua,  con la sola speranza di un futuro migliore. I bastimenti partivano con  il loro carico d’umanità stipato su ponti e stive e si portavano  appresso sacchi strapieni, bauli, topi e valigie, stracci e ogni genere  di cose. Gli emigranti partivano con la speranza che solo la ‘Merica poteva offrire, tutti assieme, alla ricerca di una nuova vita. Molti di loro  trovavano lavoro e soldi per vivere dignitosamente, altri solo lontananza e un infinito senso di nostalgia. Lasciavano affetti, le case e le cose, si portavano dietro, racchiuso nel portafogli, il loro   scrigno della memoria, le foto dei parenti più cari, le immaginette  sacre dei propri santi. San Francesco di Paola per il lungo viaggio sul mare, Santa Lucia per gli occhi, Santi Cosma e Damiano a protezione della salute. Tanti santi diversi per arrivare bene e ricominciare, sotto la loro protezione, la nuova vita al di là dell’Oceano. Nel nuovo continente ricostruivano la nuova immagine fatta, molte volte con l’illusione di una vita diversa, da anelli di giallo oro americano,  scarpe nere lucide e scricchiolanti, portafogli di pelle di coccodrillo, un’auto e un vestito nuovo per fare le foto da spedire ai parenti rimasti al paese.
Molte volte vestito, accessori e automobili erano solo noleggiati per il tempo necessario per fare le foto e poter dire, almeno  attraverso l’immagine spedita “ecco come stiamo bene, qui in America”.
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