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L’immunità parlamentare, la riforma della giustizia e il “caso” Tortora dimenticato

Il dibattito sull’immunità parlamentare che si è acceso in questi giorni ha qualcosa di surreale. L’articolo 68 della nostra Costituzione, dopo la riforma del 1993 votata sull’onda di tangentopoli e che abolì l’autorizzazione a procedere delle Camere per le indagini preliminari sui Parlamentari, di fatto la prevede ancora per arresti, intercettazioni parlamentare-parlamentare e perquisizioni.

di Giuseppe Candido

Roberto Giachetti

Ha ragione il vice presidente della Camera Roberto Giachetti che, nel suo intervento pubblicato dal quotidiano Europa, considera questo dibattito “un’arma di distrazione di massa” che – scrive l’On.le Giachetti – “rischia di rallentare quelle riforme strutturali anche in campo di giustizia che il paese attende da anni”. “Un luogo comune” la cui “difesa” pare “appannaggio dei cosiddetti garantisti”. Da cui discende che non possa dirsi “garantista” chi non difende tale prerogativa. Giachetti ricorda di quando era redattore di Radio Radicale e raccoglieva le firme per il primo referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, vinto ma poi tradito dalla partitocrazia con la legge Pinto.

L’immunità parlamentare: ormai è diventato – scrive Giachetti – un luogo comune che la sua difesa debba essere appannaggio dei cosiddetti ‘garantisti’ ai quali (pur non avendo ancora io capito bene cosa significhi) vengo associato. Ebbene invece su questo tema la penso in modo diverso. Si sentono a sostegno del mantenimento di questo istituto citazioni di ogni tipo e di ogni data alfine di dimostrare che una forma di immunità esiste in ogni paese, che essa è il suggello dell’equilibrio tra il potere politico e quello giudiziario, che il suo inserimento in Costituzione nasce dalla precisa volontà dei costituenti di proteggere i rappresentanti del popolo da possibili complotti esterni.

(…) Vorrei solo sommessamente ricordare, – spiega ancora l’Onorevole Giachetti – anche a chi a volte lo cita a sproposito, che Enzo Tortora (che ho avuto l’onore di seguire da vicino come redattore di Radio Radicale) simbolo della più grande persecuzione giudiziaria, per combattere la sua battaglia scelse di rinunciare alla immunità parlamentare, di finire agli arresti domiciliari e di affrontare i giudici come un qualunque cittadino nelle aule giudiziarie.

Beh, pure io che, più modestamente, l’estate scorsa, con Marco Pannella e i compagni Radicali ho cercato di raccogliere le firme per i dodici referendum (di cui ben sei quesiti erano proprio sulla giustizia giusta) mi sento garantista, ma tradito da questo sterile dibattito perché sono convinto che per la necessaria riforma della giustizia servirebbe ben altro dibattito; un dibattito che i cittadini continuano a non poter avere (anche perché quei referendum non potranno tenersi) e che l’immunità dei deputati con la riforma della giustizia per tutti non centra nulla. Semplicemente, come per tutti i cittadini, questa tutela non dovrebbe esserci quando si tratta di perseguire reati comuni non commessi durante l’esercizio dell’attività parlamentare.

12referendum
Locandina dei 12 referendum radicali

Siamo invasi dalla stampa quotidiana e dai telegiornali che ci propongono le dichiarazioni di Matteo Salvini sull’abolizione dell’immunità anche per i deputati qualora la si abolisca per il nuovo Senato e le conseguenti rincorse dei Grillini e dei Democrat, ma non un giornalista, non un editore, che si sia ricordato, a eccezione di Giachetti, eccezione appunto, l’esempio che su questo diede Enzo Tortora con l’immunità parlamentare ottenuta dopo essere stato eletto al Parlamento europeo con Emma Bonino, Marco Pannella e i Radicali.

Tortora rinunciò all’immunità, si fece arrestare e si difese dalle accuse dimostrando la sua innocenza.

E mise il suo “caso” al centro dell’attenzione per ottenere una riforma della giustizia che valesse per tutti. Una vicenda, quella di Enzo Tortora che, a parte qualche eccezione, sembra svanita nella memoria di questo Paese. Cancellata.

Continuiamo ad operare torture nelle carceri e la CEDU continua a condannarci sia per le carceri inumane, sia per l’eccessiva lentezza della giustizia. Per il malfunzionamento della giustizia italiana gli investitori stranieri non arrivano e pure quelli italiani preferiscono sempre più spostare altrove le loro imprese.

La memoria dovrebbe invece ricordare che non solo la responsabilità civile dei magistrati, ma anche la separazione delle loro carriere in una parte inquirente e in una giudicante, la riforma dell’istituto della custodia cautelare in carcere da limitare ai casi più gravi, l’utilizzo dei magistrati fuori ruolo, dovrebbero rappresentare priorità. Penso ai tanti Enzo Tortora che ci sono in questo Paese ma che non hanno un nome famoso, e penso a chi subisce processi, anche quale parte lesa, oltre una durata ragionevole.

Penso a tutto questo e poi ricordo le parole del Mahatma Gandhi: “La giustizia nei confronti dell’individuo, fosse anche il più umile, è tutto. Il resto viene dopo”.

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