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S.P.Q.V. Senatus Populusque Vibonensis

Federalismo: niente di nuovo.
Vibo Valentia godeva dell’autonomia municipale e batteva moneta anche quando “queste contrade erano sotto il dominio dei Romani”

di Giuseppe Candido

Stemma araldico del comune di Vibo Valentia - Calabria - Italy
Stemma araldico            Vibo Valentia – Calabria – Italy

Giovan Battista Marzano (Laureana di Borrello RC, 1842-1902) fu un calabrese studioso di storia e delle tradizioni popolari, linguista. Tra le sue numerose pubblicazioni di cui ricordiamo qui soltanto, a puro titolo esemplificativo, il “Dizionario etimologico sul dialetto calabrese”, “Una pagina della nostra storia Municipale, ossia la Città di Monteleone di Calabria dal 1420 al 1508” e “Delle origini calabre, ossia studi storici intorno agli Osci”, ve ne una pubblicata nel 1904, oltre cent’anni fa, specificatamente dedicata all’emblema araldico della Città di Vibo Valentia dove allora ci si chiedeva, nella discussione in seno al civico consesso, se inserire o meno la sigla S.P.Q.V. denotante l’acronimo di Senatus Populusque Vibonensis.
“A me, che in quel momento capitavo in mezzo a loro – spiega lo studioso – vollero anche porre il quesito e dimandare come la pensassi; ed io fui sollecito a dichiararmi per l’affermativa, e n’assegnai le ragioni, precipua che Vibo Valentia, cui successe l’odierna Monteleone, era stata Municipio Romano, e come tale reggevasi con le sue leggi, nominava i suoi magistrati, aveva il suo Senato, batteva le sue monete”.
E in effetti, l’emblema araldico di Vibo Valentia contiene oggi uno “scudo partito d’oro e di rosso e al terzo superiore, spaccato di azzurro: nel primo a tre monti verdi e sul medio più alto un leone rampante lampassato di rosso, di cui una metà nel campo azzurro; nel secondo ha due corna d’Amaltea d’oro, colme di frutta dello stesso, e un’asta d’argento sostenente sull’estremità una civetta nel campo d’azzurro. Sullo scudo: una corona reale antica; sotto le sigle S.P.Q.V.” di cui Marzano discute nel volumetto “Le sigle S.P.Q.V in rapporto all’arma della Città di Monteleone di Calabria” pubblicato dalle tipografie Passafaro nel 1904 e fortunosamente ritrovata tra la polvere delle antiche riviste e delle antiche pubblicazioni in disponibilità di un facoltoso signore calabrese. Vibo Valentia, come Reggio, fu elevata a Municipio non negli ultimi tempi dell’Impero, ma durante durante la Repubblica in forza alla legge Giulia , promulgata nel 664 di Roma, in seguito alla guerra sociale. “Quei signori, pur plaudendo alla mia risposta – scriveva Marzano nello spiegare le motivazioni del suo studio – mi fecero intendere che avrebbero desiderato da me, sul proposito, una memoria a stampa, nella quale svolgendo ampiamente le idee, sopra appena accennate, le avessi anche corroborate con prove storiche, autentiche, irrefragabili, e ciò non solo per illustrare un punto della nostra storia antica, ma ancora perché rimanesse un ricordo giustificato delle ragioni, per le quali si vorrebbe fare tale aggiunzione allo stemma cittadino.” Marzano, da storico qual’ era, ne accettò di buon grado l’incarico svolgendolo nella pubblicazione citata. Nello studio si esamina quindi l’organismo reggimento intero di Vibo Valentia con lo scopo di capire se questo fosse veramente autonomo da costituire appunto un Municipio. A riprova della sua tesi Marzano adduce non solo dati storici, evidenze di marimi letterati, e monumenti epigrafi ma anche numismatiche che, per lo stesso Marzano, rappresentano quelle decisive. Senza entrare nei dettagli epigrafici citati nel volumetto cui si dovrebbe, a parer di chi scrive, provvedere certo e al più presto ad una ristampa anastatica per conservarne memoria anche tra le giovani generazioni, Marzano dimostra, con prove documentate che Vibo Valentia meritava di apporre le sigle di “Municipio nobile”. Non soltanto perché “lo attesta Cicerone, -non solo perché tale epiteto è consacrato in un marmo letterato, ma ancora per la sua costituzione autonoma, che ci è sufficientemente spiegata dai non pochi monumenti epigrafici, innanzi riportati, e, soprattuto, dalle sue monete”. Monete che recavano, secondo l’autore, il più decisivo argomento d’autonomia municipale poiché era noto, che soltanto le Città autonome avevano il diritto di conio. La leggenda Valentia sulle monete coniate successivamente alla conquista che ne fecero i Romani denota chiaramente che la Città d’Ipponio avesse conservato l’autonomia di Municipio anche durante la dominazione.

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