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Doveva essere più equa

di Giuseppe Candido

È stata subito positiva la reazione dei mercati alla manovra del Governo Monti: nella mattinata di lunedì, mentre il Presidente del Consiglio annunciava i provvedimenti alla stampa estera, lo spread è sceso sotto la quota psicologica di 400 punti base e il Mib Ftse, l’indice che da qualche anno caratterizza la borsa nostrana, è andato su del + 2,9%.

Da gennaio 2012 tutti in pensione col sistema contributivo e, già da subito, le donne andranno in pensione a 62 anni e gli uomini a 66. Volontariamente, per i prodi lavoratori che vorranno aiutare le casse dell’Inps, l’uscita dal lavoro potrà essere posticipata tra i 63 e 65 dalle donne e dai 67 ai 70 anni dagli uomini. Torna pure l’imposta sulla prima casa sotto le velate spoglie dell’Imu, l’imposta municipalizzata unica, e con estimi catastali rivalutati del 60%. Su tutti i prodotti finanziari è stata messa un’imposta di bollo e, sui capitali rientrati con lo scudo fiscale, una tassa aggiuntiva dell’1,5%. E pure sui pagamenti è stato posto inesorabile divieto ad effettuarne in contanti per importi superiori ai mille euro. Anche per l’Iva è previsto, a partire dal secondo semestre del 2012, l’aumento dell’aliquota dal 21 al 23 %. Insomma, ce n’è per tutti tant’è che Monti, per meglio far ingoiare la pillola, assieme al taglio delle giunte provinciali e alla riduzione a 10 del numero dei Consiglieri, ha tagliato il suo stipendio di primo ministro e di ministro ad interim dell’economia. Monti c’ha poi rassicurato che nei provvedimenti si è posta attenzione a non favorire la criminalità (come invece fatto in passato ndr) e che, per porre un equilibrio tra nuove tasse e aiuti, sono state previste agevolazioni alle imprese. I sindacati, ritrovata l’unità, sono sul piede di guerra.

Ma le valutazioni sui singoli provvedimenti della manovra, come ha ricordato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, spettano alle Camere: “Non ho mai commentato le scelte dei governi”, ha detto. Che però la manovra “doveva essere più equa” l’ha fatto sapere, a stretto giro di posta, la CEI. E, se vogliamo dirla tutta, non ci sembra proprio esser stata efficace sul piano della lotta all’evasione né su quello della tassazione delle rendite di capitali. L’introduzione di un bollo per l’acquisto di prodotti finanziari non ci sembra colmare una grande disparità patente di questo Paese. Vogliamo insistere su quest’ultimo punto perché riteniamo che proprio la tassazione delle rendite da capitale potrebbe rappresentare un forte fattore di equità e assieme di sviluppo. Tanto per fare un esempio, se hai un capitale di 10 milioni di euro e lo investi in un’attività che ti rende, in un anno, diciamo 300.000 euro netti, questo guadagno che per esser fatto ha già dato del lavoro ed ha già fatto girare l’economia, sarà tassato con una aliquota del 43% o del 45%. Se invece lo stesso capitale di 10 milioni il signor X lo tiene immobilizzato percependone la sola rendita, al 3%, guadagnerebbe gli stessi 300.000 euro che però vedrà tassati al 12% salvo pagare qualche spicciolo in più se, nel cambiare fondi o azioni, acquisterà qualche nuovo prodotto finanziario. Ciò è semplicemente assurdo. Chi investe il proprio capitale per fare un’impresa sa che verà tassato rispetto a quello che si vedrebbe tassato stando tranquillamente al sole a godersi le rendite del capitale in banca. Mantenere questa stortura mentre si tagliano i diritti a chi stava per andare in pensione e mentre si reintroduce la tassa per la prima casa, è intollerabile. E poi, sui costi della politica, se davvero si voleva dare un taglio e non soltanto un segno, si potevano tagliare drasticamente i rimborsi elettorali, reintrodotti in modo truffaldino dai partiti contro la volontà referendaria che ne aveva abolito il finanziamento pubblico. Un rimborso che annualmente ci costa 468 milioni e 853.675 euro e che, in dieci anni, è stato in grado di sottrarre dalle casse dello Stato oltre due miliardi di euro.

 

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Viva la patrimoniale

Già nel 1952 qualcuno scriveva che il libero mercato, la libera concorrenza e la stessa libertà di accesso al mercato sono “condizioni permanentemente a rischio”, che vanno create e mantenute da “apposite regole, il cui rispetto deve essere garantito da organi pubblici dotati di poteri penetranti di vigilanza e di sanzione”.

Il Governo presieduto dal Professor Mario Monti si appresta a somministrare la cura all’Italia e, tra i provvedimenti allo studio, c’è il ritorno dell’Ici forse anche per le prime case e conglobata all’imposta municipale unica. Certo, con questi chiari di luna e la crisi economica che incalza, chi potrebbe dirsi contrario a far pagare l’obolo anche ai grandi patrimoni immobiliari esentati da Berlusconi? Nel paese dei grandi evasori, in cui si stima che le imposte sfuggite al fisco siano attorno ai 180 miliardi l’anno, l’anomalia grave rimane però la differenza tra quanto viene tassato il reddito proveniente dalle rendite finanziarie dei grossi capitali e quanto, invece, viene tassato il reddito di chi lavora ed investe il proprio capitale per intraprendere un’iniziativa economica. Un capitalismo che permette questo è un capitalismo inquinato. Oggi, oltre a mancare effettive autorità di vigilanza che garantiscano la libera concorrenza e cricche di ogni genere possono farla da padroni, abbiamo una grossa distorsione di fondo che rallenta la nascita e la crescita di nuove imprese. Ovviamente nessuno penserebbe di tassare ulteriormente i piccoli patrimoni sotto, ad esempio, una data soglia che qui potremmo quantificare in 500.000 euro e che rappresenterebbe la quota di coloro che, lavorando una vita, hanno messo da parte la propria liquidazione. Ma le rendite finanziarie derivanti dagli interessi percepiti sui grandi capitali, magari già “scudati”, e tenuti in banca solo per ricavarne legittimo interesse, queste dovrebbero essere tassate assai di più rispetto al reddito proveniente dal lavoro o da impresa. Invece in Italia accade l’esatto contrario: chi possiede un patrimonio, ad esempio, di una decina di milioni di euro, con un tasso minimo d’interesse del 2%, guadagnerà in un anno 200.000 euro d’interessi sui quali pagherà soltanto il 12%. Se lo stesso guadagno di 200.000 euro, lo stesso signore lo facesse invece investendo il suo denaro in un’impresa e, magari, assumendo qualche dipendente, la tassazione complessiva sarebbe attorno al 40%. E’ paradossale: in queste condizioni, in una società così organizzata, chi penserebbe ad affrontare il rischio d’impresa se tenendo tutto in una banca e stando lautamente con la pancia al sole può essere tassato molto meno sui propri guadagni? Ecco perché parlare di patrimoniale sulle rendite dei grandi capitali potrebbe avere il senso non solo di sacrificio chiesto a chi ha di più, ma anche il senso di un provvedimento per il rilancio dell’economia e dell’imprenditorialità nel nostro Paese.

 

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