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Viva la patrimoniale

Già nel 1952 qualcuno scriveva che il libero mercato, la libera concorrenza e la stessa libertà di accesso al mercato sono “condizioni permanentemente a rischio”, che vanno create e mantenute da “apposite regole, il cui rispetto deve essere garantito da organi pubblici dotati di poteri penetranti di vigilanza e di sanzione”.

Il Governo presieduto dal Professor Mario Monti si appresta a somministrare la cura all’Italia e, tra i provvedimenti allo studio, c’è il ritorno dell’Ici forse anche per le prime case e conglobata all’imposta municipale unica. Certo, con questi chiari di luna e la crisi economica che incalza, chi potrebbe dirsi contrario a far pagare l’obolo anche ai grandi patrimoni immobiliari esentati da Berlusconi? Nel paese dei grandi evasori, in cui si stima che le imposte sfuggite al fisco siano attorno ai 180 miliardi l’anno, l’anomalia grave rimane però la differenza tra quanto viene tassato il reddito proveniente dalle rendite finanziarie dei grossi capitali e quanto, invece, viene tassato il reddito di chi lavora ed investe il proprio capitale per intraprendere un’iniziativa economica. Un capitalismo che permette questo è un capitalismo inquinato. Oggi, oltre a mancare effettive autorità di vigilanza che garantiscano la libera concorrenza e cricche di ogni genere possono farla da padroni, abbiamo una grossa distorsione di fondo che rallenta la nascita e la crescita di nuove imprese. Ovviamente nessuno penserebbe di tassare ulteriormente i piccoli patrimoni sotto, ad esempio, una data soglia che qui potremmo quantificare in 500.000 euro e che rappresenterebbe la quota di coloro che, lavorando una vita, hanno messo da parte la propria liquidazione. Ma le rendite finanziarie derivanti dagli interessi percepiti sui grandi capitali, magari già “scudati”, e tenuti in banca solo per ricavarne legittimo interesse, queste dovrebbero essere tassate assai di più rispetto al reddito proveniente dal lavoro o da impresa. Invece in Italia accade l’esatto contrario: chi possiede un patrimonio, ad esempio, di una decina di milioni di euro, con un tasso minimo d’interesse del 2%, guadagnerà in un anno 200.000 euro d’interessi sui quali pagherà soltanto il 12%. Se lo stesso guadagno di 200.000 euro, lo stesso signore lo facesse invece investendo il suo denaro in un’impresa e, magari, assumendo qualche dipendente, la tassazione complessiva sarebbe attorno al 40%. E’ paradossale: in queste condizioni, in una società così organizzata, chi penserebbe ad affrontare il rischio d’impresa se tenendo tutto in una banca e stando lautamente con la pancia al sole può essere tassato molto meno sui propri guadagni? Ecco perché parlare di patrimoniale sulle rendite dei grandi capitali potrebbe avere il senso non solo di sacrificio chiesto a chi ha di più, ma anche il senso di un provvedimento per il rilancio dell’economia e dell’imprenditorialità nel nostro Paese.

 

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