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Senza un cambiamento di rotta appare appare inevitabile l’ “Appello al Cielo”

di Vittorio Emanuele Esposito

pubblicato il 17 febbraio su Rivoluzione Democratica, noterelle di politica e cultura su Blogspot

Quando, in un regime costituzionale, le regole che disciplinano la formazione della volontà, la libera scelta dei rappresentanti del popolo, il processo democratico delle decisioni, la funzione di controllo sugli atti del governo, vengono reiteratamente messe in discussione, eluse, forzate e alterate da una maggioranza parlamentare che, non riconoscendo il ruolo e le ragioni dell’opposizione e ignorando quella consistente parte di elettorato che non si è espressa esplicitamente con un voto, mostra di voler interpretare solo se stessa e non l’interesse generale del popolo che le consente di governare;

quando, da parte di questa maggioranza, viene attaccato, in modo sistematico e pregiudiziale, l’operato degli organi della Magistratura, compreso quello della Corte Suprema, nel caso di provvedimenti avversi agli atti del governo o a persone facenti parte della sua compagine (così come, per altro verso, vengono enfaticamente esaltate le decisioni giudiziali favorevoli);

quando a carico del governo, nei suoi vertici o nel suo apparato, emergono emblematici casi di corruzione o di immoralità, che non sono denunciati e contrastati con energia, come ci si aspetterebbe, ma vengono omertosamente coperti, negati, minimizzati, se non addirittura giustificati e ostentati quali aspetti coessenziali all’esercizio del potere;

quando la maggioranza, giovandosi del consenso elettorale, attende a privatizzare le strutture e il patrimonio dello Stato, che è bene comune, canalizza le risorse finanziarie, generate dal concorso di tutti i contribuenti, in politiche di favore per imprese, gruppi, ceti sociali appartenenti all’oligarchia dominante e, contro il principio democratico dell’uguaglianza dei cittadini, in nome di una ‘libertà’ prepotente basata sulla forza del danaro, rinnova e rafforza differenze e privilegi nel campo dell’informazione, della scuola, della sanità, del lavoro, della distribuzione della ricchezza;

quando tutto questo si verifica e non sembra possibile, per le vie ordinarie, ricondurre l’azione eversiva di un governo entro lo spirito e il dettato della legge comune ( che nessuna maggioranza elettiva è autorizzata a violare e a deformare secondo la visione particolaristica dei suoi capi), al cittadino sovrano, al popolo che è la fonte originaria della legalità e a cui spetta, in ultima istanza, il controllo sulla legittimità degli atti e delle condotte degli organi dello Stato, non rimane che l’ “appello al Cielo”.

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Con questa formula John Locke, padre del moderno costituzionalismo, indicò il ‘diritto di resistenza’ all’ingiustizia di un potere dimentico della sua origine, dei suoi limiti, del suo scopo, riconducendolo alla irriducibile libertà dell’individuo, da cui esso scaturisce, come diritto estremo, insieme a tutti gli altri diritti che trovano riconoscimento e garanzia nell’ordinamento costituzionale dello Stato.

Per Locke vi sono, infatti, alcuni diritti ‘naturali’, irrinunciabili e intangibili, che non possono essere manomessi dal potere costituito, anche se con decisioni prese a maggioranza e , dunque, apparentemente conformi alle regole democratiche, ma, di fatto, arbitrarie.

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