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Il giorno dell’Ascensione

di Maria Elisabetta Curtosi

Il recupero e la valorizzazione della storia di una comunità deve costituire un obiettivo irrinunciabile per qualunque comunità che voglia privilegiare il rapporto dialettico passato-presente al fine di guardare al futuro con maggiore  consapevolezza.

La ruralità, strettamente legata e connessa da vincoli primordiali, da queste parte vuol dire identità culturale e quindi cultura popolare proprio di un mondo che non c’è più, ma che i semplici richiamano alla storia, alle leggende ed alle tradizioni,alle  costumanze cristiane che si innestano con quelle pagane che durano ancora e che vede mescolarsi il sacro con il profano, il pagano antico con l’elemento cristiano venuto dopo tanto come era nelle usanze e tradizioni sacre greche. Era uso da parte dei coloni della Magna Grecia commemorare all’entrata della primavera l’ascensione di Proserpina dall’inferno che si purificava bagnandosi nelle acque del mare e pare di rivivere quei tempi antichi quando da Pannaconi si vedono discendere nelle prime ore del giorno  dell’Ascensione e comunque prima del sorgere del sole ,verso la località “ Scrugli” o “ Maghija” sulla spiaggia di Safò  le donne pannaconote. Dopo aver percorso  tutto quel territorio, che da Pannaconi porta a “ Scrugli”,che dista in linea d’aria un paio di chilometri e dove ancora si possono ammirare vaste zone coltivate ad agrumi, olivi e piante di cereali e dove la natura, le luci, il buio, l’arcobaleno, la natura ,  i fiori dei capperi, le foglie di  liquirizia, sembrano  diversi, fuori dal tempo e dal mondo; un posto dove l’estate dura di più degli altri posti perché il mare che è a quattro passi è senza dubbio “il più bello del mondo “, come lo defini sir William Hamilton, vulcanologo e diplomatico, in occasione del terribile terremoto del 1783, che appunto distrusse il vecchio abitato di Pannaconi; rimane   la Villa Romana come viene comunemente chiamata per fare da guardia nel cinquecento  a difesa dei Saraceni, dei barbareschi.  Da qui si può vedere nelle giornate limpide lo scoglio d’Ulisse, Punta Safò, Santa Irene, Scoglio della Catena dove si avventurarono i cercatori di oro forse attratti dal colore della rena che ha ancora oggi il colore che si avvicina all’oro.  Sono  solo donne,quasi tutte anziane avvolte talune  ancora nei “ Jippuni” neri, allo spuntare del sole arrivano sulla spiaggia cantando e recitando preghiere e si bagnano i piedi nelle acque marine continuando a cantare e recitare preghiere invocando lo Spirito Santo per dare forza e salute.” Grolia a Vui, Patreternu,grolia a Vui, figghiolo divinu, grolia a Vui Spiritu Santu, comu a Vui sempi sarà, grolia pi tutta l’eternità”. Dietro il golfo di Pizzo il sole è quasi alto e le donne ancora nell’acqua si prendono per mano formando una lunga catena umana . Canti, suoni, colori, odori e poesia accompagnano la devozione dell’ascesa di Gesù al Cielo nella ricorrenza dell’Ascensione. Difficile risalire storicamente alla composizione dei canti che si tramandano di generazione in generazione, come non è impresa da poco raccogliere e tutelarne la memoria affinchè non si disperda l’ingente patrimonio dei sentimenti popolari. Il mare, le piccole cose, il sogno, la natura, la vita, la morte, la gioia, l’amore e la donna. Un minuto all’alba per un rapporto all’infinito. Dalle lontane colline sboccia la luna e il mare e lo Stromboli splendono di là, ma la terra è piena di “ scandalari” colore oro, profumi di ginestra ed i colori rosso accesi dei papaveri fanno da scenari ad una sorta   di “ rito di passaggio”.  Il sentiero del silenzio è pieno di rumori: quelli che non siamo più abituati ad ascoltare, dallo stormir di fronde degli alberi di ulivo secolari al cinguettio di fringuelli, con gli alberi di fichi e di mele selvatiche su cui arrampicarsi d’estate per cogliere i dolci frutti, e con i merli a fare compagnia, insieme al battere a martello dei picchi fino al rumore del mare racchiuso in una vecchia conchiglia. Le vecchie donne raccolgono sui sentieri, sulla strada del ritorno “ l’erba dell’Ascensione” una pianta succulenta che viene messa al capezzale del letto per quaranta giorni e cioè per il tempo della fioritura. Mentre ne percorri il sentiero l’unica voce che senti è la voce umana di Gustina, la donna più anziana,si risale sulla collina  ed ogni fermata mette poi a disposizione dei camminatori silenziosi e ci si trova a star bene con qualcuno anche senza parlare e capisci che quelle sono le persone giuste. Da piccolo mi piaceva andare perché c’era tutto quel silenzio . Se fiorisce è indice di salute, in caso contrario è da attendersi giorni nefasti . Dimenticavo di evidenziare che questa erba deve essere raccolta in un luogo che lo sguardo esclude la vista del mare ed al pellegrino laico,  il sentiero del silenzio lascia due possibilità: si può scegliere il percorso breve ( 35 minuti, senza contare quelli dedicati ad eventuali riflessioni) e con salite alla portata anche dei polmoni di un fumatore . O quello lungo che di minuti ne richiede almeno 55, pendii mozzafiato e panorami degli dell’Infinito leopardiano.  Il tutto, dalle 4 di mattino allo spuntare del sole.

E dunque, perché non riscoprirla,lungo u due- tre chilometri che costituiscono il percorso  dell’”Ascensione”, partendo proprio dai resti della Villa romana, con un viaggio “ al rallentatore” per conoscere la cultura, il territorio, le persone, a ritmi lenti, fermandosi qua e là per osservare il verde fitto dei limoneti ai lati della strada, le greggi di pecore al pascolo, le rovine di vecchie “ pinnate” e costruzioni padronali che emergono tra gli arbusti sempre verdi e le perenni gramigne, l’eco della parrata pannaconota di Gustina e le altre donne e lo scenario spettacolare del golfo di Santa Venere e quello di Pizzo.  Da queste parte Cicerone era di casa quando veniva a trovare il suo amico Sicca. Qui nessuno suona il clacson, nessuno va di corsa. Ma ciò che rende magico il percorso è un originale sole con il volto umano e lunghi raggi gemmati, quello dell’Ascensione, appunto.”  A Santa Venere, ov’io sono,  mi riposo del mio lungo viaggio”, cosi diceva Cicerone.

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