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Poggiare la prima pietra: la bretella per il ponte che verrà

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 24 novembre 2009

Associazione No Ponte
Associazione No Ponte

Secondo molti sostenitori del ponte sullo stretto, le principali motivazioni addotte per spiegarne la necessità è che il Sud, Calabria e Sicilia in testa, sarebbe miracolato da un “rilancio delle condizioni economiche e sociali dell’area interessata oltreché da una riduzione infrastrutturale che colpisce il Mezzogiorno sin da prima dell’Unità. Il Ponte dovrebbe favorire l’integrazione tra le diverse modalità di trasporto così da “soddisfare la domanda di un crescente bisogno di un più efficiente collegamento tra il continente e la Sicilia”. Ciò nonostante le recenti statistiche definiscano il traffico in diminuzione. E poi se fosse solo questo il vero problema, il traffico, verrebbe facile pensare che col sistema degli aerei cargo e delle “vie del mare” incentivati dall’unione europea, anche dal punto di vista economico la costruzione del ponte sembrerebbe poco consigliabile. Giulia Maria Mozzoni Crespi presidente del FAI, il fondo per l’ambiente italiano, è intervenuta alla trasmissione del 21 novembre scorso di “ambiente Italia” su Rai tre definendo il ponte sullo stretto un’opera non solo inopportuna ma anche contraria al buon senso. Oggi molti calabresi sono impegnati a tentare di bloccare i lavori della “bretella” che, nel progetto in variante, è opera necessaria alla costruzione del ponte. Stiamo parlando quindi della prima pietra o, quantomeno, della prima opera funzionale a quello che sarà il ponte sullo stretto. Poi arriveranno anche i piloni. La bretella è necessaria per la costruzione del ponte ma, ci chiediamo: il ponte è necessario alla Calabria e alla Sicilia? E’ questa forse la vera domanda cui dovremmo, noi calabresi, siciliani, darvi risposta perché è di Scilla e Cariddi che si discute. Dovremmo, noi, decidere se vogliamo vederle collegate, per i prossimi 150 anni fino a quando, cioè, non cadrà per usura, da un enorme, gigantesco, ponte di acciaio e cemento o se, invece, lasciarle così agli occhi dei nostri figli, nipoti. Vorrei fare un paragone: Immaginate due immobili dirimpettai intrisi di storia e cultura ma fatiscenti, vecchi, talmente vecchi che in alcuni punti sono pronti al crollo, coi vetri rotti, con gli scarichi otturati, i tubi dell’acqua con la ruggine e che perdono come cola brodi, pensate se, i due amministratori di quei condomini, per idea geniale di entrambi, pensassero di spendere i pochi soldi che avranno in cassa nei prossimi anni ed investirli tutti in un ponte per collegare i due tetti, o due balconate, ed evitare così di scendere le scale, attraversare la strada e trovarsi nell’altro condominio. Ci verrebbe subito di dire che si tratta di follia. Tutti, anche i bambini, capirebbero che sarebbe certo meglio occupare quei soldi per investire sul risanamento del territorio, sull’adeguamento e/o la rottamazione del patrimonio edilizio non adeguato a resistere agli eventi sismici la cui frequenza, in Calabria, è storicamente oltre che geologicamente, provata.

Che l’Italia non abbia bisogno di “opere faraoniche” e che bisogna invece intervenire per ridurre il rischio idrogeologico lo ha detto anche la più alta carica dello Stato dopo che per anni geologi e associazioni ambientaliste non parlano d’altro. Cerzeto, Beltramme, Crotone, la frana sull’A3 e più di recente i fatti di Messina non si possono dimenticare. La Calabria è la regione dove il 100% dei comuni presenta aree a rischio idrogeologico per frana o per alluvione. Una regione, la nostra, dove i cantieri per l’ammodernamento della Salerno Reggio Calabria, sono spesso interrotti per le frane oltre che per le infiltrazioni mafiose. La questione del rischio idrogeologico e il degrado dei corsi d’acqua sono un problema prioritario per tutto il Paese ma per il mezzogiorno in particolare. Un problema che, se affrontato, consentirebbe anch’esso di promuovere sviluppo e occupazione. Il ricorrere di fenomeni di dissesto idrogeologico negli ultimi anni non può essere più attribuito ad eventi naturali o alle intemperanze di un clima eccezionale ma a un modello di sfruttamento intensivo e poco programmato del territorio: un dissesto idrogeologico causato dal disastro ideologico e l’incapacità di governare il territorio dei politici che ci hanno amministrato ai vari livelli. Oggi è a questo che dobbiamo dare rimedio, è questa l’opera faraonica da compiere: risanamento idrogeologico del territorio senza dimenticare che la nostra è un anche una regione geologicamente “ballerina” ad alto rischio sismico per la presenza di un’edilizia, anche pubblica, ormai vetusta che andrebbe risanata o “rottamata” per avere edifici, almeno quelli pubblici, che resistano agli eventi sismici. Insomma, una grande opera di risanamento ambientale e una grande opera di rottamazione dell’edilizia vulnerabile al posto di un solo ponte le cui basi poggeranno sulla faglia numero 50 del modello neotettonico d’Italia. E poi, ci chiediamo se, per avvicinare Sicilia e Calabria al resto del mondo, non sarebbe meglio trovare in agenzia qualche volo “lowcost” in più.


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