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Memorie storiche: I Prefetti di Catanzaro

 di Giuseppe Candido

Il Prefetto è un organo periferico dell’Amministrazione statale con competenza generale e funzioni di rappresentanza governativa a livello provinciale. Egli è autorità provinciale di pubblica sicurezza e, successivamente l’Unità d’Italia, esercitò tutte le funzioni dell’amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri uffici.

L’importanza del Prefetto durante il periodo liberale emerge dalle definizioni che i giuristi di quel periodo diedero dell’istituto. Giuseppe Saredo affermò: “Ogni Prefetto è un Ministro nella provincia che governa”, Teodosio Marchi aggiunse: “Se si ha però riguardo al fatto che la legge concede al Prefetto ciò che non concede al Ministro, che gli concede cioè di fare in caso di urgenza i provvedimenti che crede indispensabili nei diversi rami di servizio (articolo 3 della legge comunale e provinciale del 1865), si sarebbe tentati a concludere che un Prefetto è nella provincia qualcosa di più di un Ministro nello Stato”. 
Gli storici concordano con la valutazione dei giuristi Gaetano Salvemini definì, infatti, il periodo liberale “prefettocrazia”.

L’atto di nascita del Prefetto italiano è il regio decreto 9 ottobre 1861 n. 250 secondo cui i governatori delle province avrebbero dovuto assumere il titolo di Prefetto, gli intendenti di circondario quello di sottoPrefetto e i consiglieri di governo quello di consiglieri di prefettura. Nel nuovo regno, fu ripristinato il titolo attribuito, durante il dominio francese nella Penisola, ai rappresentanti periferici del Governo preferendolo a quello di “governatore” che era stato adoperato dalla legge comunale e provinciale piemontese 23 ottobre 1859 n. 3702. Il titolo di Prefetto fu prescelto perché il ricordo dei Prefetti del periodo napoleonico era associato all’unico esempio di amministrazione moderna e fattiva che l’Italia avesse sperimentato.

Soprattuto nel Mezzogiorno, col fenomeno del brigantaggio e l’analfabetismo dilagante, il ruolo dello Stato era in mano ai Prefetti.

Il Prefetto indossava, nelle cerimonie solenni, l’uniforme confezionata secondo il modello stabilito dal r.d. 11 dicembre 1859 per i governatori delle province sabaude che, come si è detto, furono denominati Prefetti nel nuovo regno. Il trattamento economico dei Prefetti era più elevato rispetto a quello attribuito allora ai direttori generali e ai segretari generali dei Ministeri; inoltre, ai Prefetti delle sedi più importanti erano concesse indennità per spese di rappresentanza (legge 25 giugno 1877 n. 325).

Ma come ci ricorda il professore Antonio Carvello nel suo scritto La Questione meridionale: dalle origini al dibattito contemporaneoi, “Negli anni seguenti al 1861, in assenza di una politica governativa diversa da quella storicamente intrapresa – … – l’iniziativa dell’opera di propaganda e di denuncia non spettò alla democrazia radicale, alla quale in pratica rimase estranea la sostanza politica del problema, ma a pochi intellettuali conservatori, ma illuministicamente riluttanti a chiudere gli occhi sui problemi che la bruciante realtà meridionale (brigantaggio, fame di terra da coltivare, arretratezza economica complessiva, agricoltura arcaica clientelismo diffuso, ecc .) proponeva”. Insomma, tradotto in soldoni: anche allora come oggi, la politica e la classe dirigente fecero “fiasco” e spettò alla cultura muovere la denuncia.

Subito dopo l’unificazione, anche Cavour dovette infatti “prendere drammatica coscienza dell’esistenza di una profonda frattura fra le “due Italie”, di un distacco misurabile non solo quantitativamente, ma anche in termini sociali e morali”. Amministratori inetti, assolutamente inidonei a risollevare le sorti del Mezzogiorno, si alternarono senza produrre però alcuna valida alternativa vera alla miseria delle popolazioni.

Solo tra il 1860 e il 1891, nei 32 anni che seguirono l’unificazione, nella Provincia di Catanzaro si alternarono ben 25 Prefetti, molti dei quali, stando proprio alle cronache del tempo, completamente inidonei, salvo pochissime eccezioni, a svolgere il ruolo che ricoprivano.

Nel maggio del 1860, al momento in cui il Re Francesco II di Borbone concedeva nuovamente la Costituzione che il padre, già nel 1848, aveva concesso ai sudditi dei suoi domini “al di qua e al di là del faro”, era intendente alla Provincia di Catanzaro il Conte Viti. Venne per pochi giorni dopo di lui a reggere la Provincia il Cavaliere Colajanni, “che non la sciò traccia né ricordo di sé”. A raccontarcelo è un editoriale pubblicato sull’Avvenire Vibonese, il settimanale rappresentato dall’Avvocato Antonino Scalfaro e che si pubblicava a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia) alla fine dell’Ottocento. Al Colajanni – ricorda Scalfari – successe il Commendatore Leonardo Larussa che, nello stesso tempo, occupava anche la poltrona di Senatore del Regno. Doppie poltrone e doppi incarichi allora come oggi?

In Agosto del 1860, poiché in quel tempo le questioni amministrative, come le politiche aveano la vita delle rose, l’espace d’un matin, un moto popolare sostituì al Larussa, l’ex-canonico, poscia Deputato al Parlamento, Antonio Greco, mentre un’altro partito sosteneva Ippolito de Riso, entrambi allora reduci dall’esilio”.

La sfilata d’amministratori durati il tempo d’un cerino è solo agli inizi: già nel settembre del 1860 scopriamo che il Greco viene “surrogato da Vincenzo Stocco, che giungeva colla qualità di Pro-Dittatore, in virtù di un Decreto del Generale Garibaldi”. Ma il popolo insorge per ottenere la divisione dei beni comunali. “Stocco è largo di promesse, ma” – scrive in prima pagina Antonino Scalfaro – “nella notte parte, lasciando al governo della Provincia, Gaetano Cammarota, Consigliere Delegato, allora si diceva Segretario Generale”. Un guazzabuglio che non si arresta: dopo il Plebiscito, cioè alla fine dell’ottobre, “ritorna lo stesso Vincenzo Stocco, non più Pro-Dittatore, ma governatore della Provincia, e ne riparte al successivo Marzo 1861”.

In una sorta di avvicendamento irreale che ricorda il più recente scambio di poltrone tra il Sindaco Abramo, pio Traversa, poi di nuovo Abramo, allo Stocco succede governatore della Provincia nuovamente il Cammarota che, in luglio del 1861, è travolto dalla minaccia di una reazione popolare, e viene destituito. Al suo posto, scrive ancora Scalfari, “è destinato a governare la Provincia, col titolo di Prefetto, Decoroso Sigismondi, che durò appena un anno, lasciando di sé non grata memoria”.

A lui successe per pochi mesi, Antonino Plutino, “uomo egregio per molti titoli, ma” – spiegava il giornalista sulle colonne dell’Avvenire – “sprovvisto d’energia e privo di qualunque cultura amministrativa”. Il Plutino sai dimise il 25 agosto del 1862 all’approssimarsi del moto Garibaldino, che col motto: Roma o morte, “dovea avere così tragica soluzione in Aspromonte”.

Nel settembre dello stesso anno giunge a Catanzaro il Prefetto Cler. “Un buon amministratore in tempi ordinari”, ma che in quei giorni tumultuosi, nel turbinio delle passioni politiche, “non poteva far apprezzare le doti della sua mente”. Ad appena un anno, nel settembre del 1863, viene poi nominato Prefetto di Catanzaro il Barone Cusa, un Signore siciliano, “gentiluomo distintissimo”, che in presenza delle difficoltà amministrative che incontrava, “pensò meglio chiedere le sue dimissioni”.

Nel novembre del 1864 succederà al Cusa il Commendatore Homodei, “col quale” – specifica il giornalista con vivo senso umoristico – “pare volle fermarsi la ridda Prefettizia, perché durò in quell’uffizio circa due anni”. Durata fino ad allora da nessun altro raggiunta. Uomo violento, per quanto non sprovvisto d’intelligenza, la Provincia di Catanzaro “deve a Lui gli anni più tristi del brigantaggio, che aumentò fino al punto di provocare eccezionali e deplorevoli misure”.

Nel settembre del 1866, dopo l’Homodei fu nominato Prefetto il Commendatore Antonio Malusardi che riuscì quasi a distruggere il brigantaggio, “e lo avrebbe del tutto estirpato, se la guerra occulta mossagli in conseguenza della fermezza spiegata, non fosse riuscita ad allontanarlo da Catanzaro. Il ricordo che lasciò gli valse, più tardi, l’onore di un ritorno, nel quale ebbe a compiere la missione che si era imposta”.

Dopo il Malusardi, provvisoriamente resse la Prefettura il Consigliere Camerata Scovazzo sino a quando, nel marzo del 1868, venne destinato a Catanzaro il Commendatore Alvigni che, a quanto ricorda la cronaca dell’Avvenire, “fu un buon amministratore, alquanto burbero, ma pieno di buone intenzioni, non sempre accompagnate da senso pratico”. Credeva in buona fede “di riuscire a sviluppare la prosperità economica della Provincia coll’impianto nei principali Comuni delle Bnache Poplari” ma restò a Catanzaro anch’egli meno di un anno. Già nel novembre del 1868 l’Alvisi fu infatti sostituito dal Marchese Caccavone. “Un uomo di mondo, con molto ingegno, ricco di spirito, fuorviato nei meandri del dettaglio amministrativo, ai quali disdegnava per ingenita indolenza dedicare la sua mente”. Tanto da consentire al giornalista l’affermare che, “Se la Prefettura fosse stata un Club, Caccavone sarebbe riuscito il miglior Prefetto di Catanzaro. Invece lasciò buona memoria di sé per le sue brillanti qualità personali: nessuna traccia come amministratore”. Partì il 23 marzo del 1870 e dopo un mese di provvisoria sostituzione da parte del Consigliere Vincenzo De Felice, fu nominato prefetto di Catanzaro Bartolomeo Casalis, un “ex Deputato di sinistra, tanto lungo, per quanto inadatto all’Uffizio”. Appena giunto a Catanzaro, fa infatti notare il giornalista, “ruppe in visiera a torto e a rovescio con Municipi, Congregazioni di Carità, si urtò col Consiglio provinciale, mostrò di voler riparare tutti gli abusi, di riformare tutto ab imis fundamentis, fece un chiasso indiavolato, e non conchiuse nulla”. Alla prima difficoltà incontrata, in occasione della proclamazione della Repubblica di Curinga, “perdette le staffe, diede a quel moto inconsulto proporzioni e importanza che non avea, ci confortò col memorando proclama: niente paura, e scomparve destando molta ilarità, poca malevoglienza”.

Dopo un lungo interregno, il 25 gennaio del 1872 viene nominato Prefetto di Catanzaro il Commendatore Ferrari. “Un gran galantuomo, un tipo patriarcale di bontà, un amministratore debole e inetto” tanto da consentire l’affermazione senza timore di smentita che “durante la sua dimora resse la Provincia chi volle”. La sua bontà, spiega il giornalista, lo rendeva incapace di resistenza e “L’azienda Provinciale deplora ancora le conseguenze della sua debolezza”.

L’8 gennaio del 1874, dopo appena due anni dalla nomina del Ferrari, viene nominato nuovo Prefetto di Catanzaro il Commendatore Sensales. “Era allora, ed è tuttavia uno dei migliori Prefetti del Regno. Lavoratore assiduo, mente elevata, occhio finissimo per apprezzare gli uomini, e le difficoltà delle cose, ricco di risorse per superarle, nella polizia e nell’amministrazione lasciò memoria dell’opera sua, che non è ancora sparita”. È al Sensales che si deve infatti la quasi sconfitta del brigantaggio al quale “tagliò le radici” rendendo facile ai successori abbatterlo completamente. “Dopo di lui, la mala pianta del brigantaggio non poté più vegetare. Quando partì fu fischiato anche se, dopo la sua partenza, fu desiderato e invocato”.

Nel marzo del 1876 il Sensales fu revocato e, l’11 maggio, “si vide apparire come una meteora, e scomparire quasi subito il Commendatore Giuseppe Rossi” la cui nomina, secondo l’Avvenire Vibonese, “arricchì soltanto l’elenco dei Prefetti”. Dopo appena cinque mesi, nell’ottobre del 1876, fu chiamato a succedere al Rossi, il Commendatore Malusardi venuto per la seconda volta nella Provincia per compiervi l’opera (di estirpazione del brigantaggio ndr.) così felicemente preparata dal Sensales. Con il Malusardi si estingue e “diviene una memoria storica, lo stato di brigantaggio nella Provincia. “Questo risultato”, spiega il giornalista, “basta ad assicurare al Malusardi la riconoscenza di queste popolazioni”.

Dal dicembre del 1876 sino a novembre del 1877 fu Prefetto di Catanzaro il Commendatore Gateano Coffaro. A questi successe il Commendatore Giuseppe Colucci, che tenne il governo della Provincia per quasi cinque anni, cioè dal novembre del 1877 fino alla metà del 1881.

Uomo di grande ingegno, dotato di non comune sveltezza, ricco di svariata cultura” lo definisce l’articolo, “fece molto bene all’amministrazione affidatagli. Le contabilità comunali sono tutt’ora impiantate secondo le norme e le istruzioni da Lui dettate”. Le delegazioni per le strade comunali obbligatorie “ricevevano da Lui impulso a compiere di Uffizio queste costruzioni nel termine stabilito, almeno per tre quarti dei Comuni”. E ancora: “Il manicomio Provinciale fu da Lui voluto, proposto, fatto adottare dal Consiglio Provinciale. Forse non spiegò tutta l’energia di cui è veramente capace, trattenuto dalla instabilità dei primi Ministeri di Sinistra. La sua amministrazione dovea risentire dell’incertezza dell’indirizzo governativo. Malgrado queste condizioni eccezionali fu tra i migliori, certo fra i più operosi amministratori che abbiamo avuto”.

Al Colucci durato lungamente nel suo ufficio successe il Commendatore Quintino Movizzo dalla fine del 1881 al marzo del 1887. “Il Movizzo fu la seconda edizione corretta e riveduta del Ferrari. D’animo mite, e buono, di modi gentili, guadagnò molte simpatie colle sue doti personali. Ma si mostrò debole, sprovvisto d’iniziativa, perché forse arrivava stanco, al termine della sua carriera. Preoccupato di contentare tutti, finì col risolversi a far nulla. Fu quindi poco operoso ma non lasciò ricordi ingrati di sé.

Al Movizzo, ricorda ancora il settimanale politico amministrativo vibonese, fu chiamato a succedere il Commendatore Colmayer, rimasto pochi giorni soltanto a Catanzaro, “destando molte speranze, spente prima che nate, di vedere colla sua presenza ridata vitalità all’organismo amministrativo, e scosso il letargo che la precedente amministrazione aveva infiltrato in tutti i rami del pubblico servizio”.

Dall’ottobre 1887 al 1890 alla Prefettura di Catanzaro fu destinato il Commendatore Alfonso Gentile. “Veniva dalla Provincia di Reggio,” scrive Antonino Scalfari sull’Avvenire, “ed era preceduto dalla fama di essere, e mostrarsi appassionato. E tale si rivelò nei quattro anni della sua dimora in questa Provincia”. Trascurò l’andamento dei servizi pubblici, dando maggiore importanza alle questioni, che interessavano i partiti, che non a quelle amministrative. “E però riuscì male accetto, fece desiderare il suo allontanamento con tanta maggiore perseveranza per quanto più tenaci sforzi spiegava per mantenersi a Catanzaro”. Nel 1891, fu surrogato nella nostra Prefettura dal Commendatore Davide Carlotti, già rappresentante della Costituente Toscana, provetto amministratore, “il Carlotti studiò con indefesse cure a riparare molti dei mali lasciati dalla negligenza del suo predecessore”. Uomo onesto e “di grande rettitudine, equanime, severo osservatore delle Legge, Carlotti lascia infinito desiderio di sé presso tutti i buoni che lo conobbero. La sua opera non riuscì completamente efficace” – spiega Scalfari – “perché il Governo lo dimenticò a Catanzaro, lasciandolo sprovvisto del personale necessario al servizio. Per mesi e mesi non ebbe Consigliere Delegato, né Consiglio di Prefettura. Dovea supplire a questa deficienza, raddoppiare il suo lavoro, consacrare all’Uffizio tutto il suo tempo, che avrebbe potuto più utilmente essere impiegato”. Diede prove di grande imparzialità, che “gli valsero la contrarietà di coloro che non vi erano abituati, e la stima e la considerazione universale, che lo accompagnano nella sua partenza”.

Al Carlotti succede il Commendatore Diego Giorgetti finora Prefetto a Teramo e che, la momento in cui veniva scritto l’articolo nel luglio del 1892, era ancora a Catanzaro.

Nei trentadue anni successivi all’unificazione, nella nostra Provincia si alternarono ben 27 Prefetti. Salvo le due amministrazioni Colucci e Movizzo, tutte ebbero vita brevissima. “E questo avvicendarsi di uomini non è fatto veramente per migliorare le condizioni delle nostre locali amministrazioni”. “Questo stato di cose”, conclude mestamente la memoria storica a cura di Antonino Scalfari, “dovrebbe attirare l’attenzione del Governo molto più che non la quistione elettorale, che pare il criterio dominante del movimento dei Prefetti nel Regno”.

iCarvello A. – Docente di Diritto dell’organizzazione pubblica economica presso l’Università degli Studi di Catanzaro La Magna Grecia; La Questione meridionale: dalle origini al dibattito contemporaneo, Abolire la miseria della Calabria, Anno V, n°4-12 / Apr.- Dic. 2011 – Pp. 1 – 4. – www.almcalabria.org

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