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Le mani bianche degli studenti

di Giuseppe Candido

Dopo il pasticcio combinato dalla vicepresidente del Senato Rosy Mauro durante la seduta pomeridiana del 21 dicembre in Senato che aveva dato per “approvati” quattro emendamenti presentati dall’opposizione, oggi è stata invece la giornata del voto finale alla riforma dell’Università del ministro Gelmini. Gli studenti assassini? Le mani bianche e il rifiuto categorico della violenza sono quello che resta, questa volta, delle manifestazioni. A Roma e nelle altre città d’Italia gli studenti sfilano pacificamente. Solo a Milano e a Palermo qualche facinoroso sfida le barricate e crea qualche tafferuglio venendo però subito isolato dagli studenti che hanno invece dato prova di essere un movimento “sano” che legittimamente esprime il proprio dissenso e che spera di potersi confrontare con la Politica e col Presidente Napolitano. Magari si potesse assistere a scene del genere anche in Parlamento dove troppo spesso si perviene alla rissa. “Università, unità” gridano e fanno chiasso per le strade con tamburi e fracassi. Chiassosi si, ma nonviolenti coi libri di cartone, i fiori per i celerini, le mani dipinte di bianco.

“Università pu-bbli-ca” scandiscono. E danno una lezione di civiltà e democrazia non soltanto a chi guardava, soffiando incautamente sul fuoco, alla violenza della piazza per gonfiare il petto della sicurezza, armare la polizia e ordinare la carica.

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Se la scure taglia la cultura allora c’è un problema

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 30 novembre 2010

Mentre Giorgio Parisi, uno tra i più autorevoli fisici dei nostri tempi, padre della “teoria del caos”, intervistato da Caterina Perniconi per il Fatto quotidiano, spiega il perché questa riforma universitaria sia “un bel disastro” e che reputa “giustissima” la protesta degli studenti, il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini liquida invece le proteste affermando che «Gli studenti che contestano le riforme del governo rischiano di difendere i baroni, i privilegi e lo status quo». E anche Futuro e Libertà, che inizialmente aveva solidarizzato con gli studenti salendo sul tetto della facoltà di Architettura di Roma, corregge ora il tiro e annuncia che invece voterà “la riforma che premia il merito”. Sicuramente è vero: in Italia, la qualità delle università non luccica. Ed è vero che c’è bisogno di una riforma che premi il merito. Basta dire che tra le prime 100 della classifica internazionale delle università soltanto due sono italiane e abbiamo dei corsi di laurea con pochissimi iscritti e delle cattedre seguite da un numero di studenti che si conta sulla punta delle dita di una mano. Ma in un Paese che già di suo, e molto meno dei suoi omologhi europei, investe solo una briciola del proprio prodotto interno lordo per l’istruzione e la ricerca, il rischio che con i tagli ora effettuati pure le università italiane dovranno aumentare le tasse è concreto. Per il 2011 è previsto un forte taglio al fondo di finanziamento ordinario di 276 milioni di euro con un probabile conseguente aumento delle tasse stimato tra i 1200 e i 3000 euro nei prossimi cinque anni. Già tra le tasse regionali uguali per tutti (circa 300 euro) ma variabili da regione in regione e tasse proporzionate in base al reddito, l’università costa almeno 1.000 euro l’anno e per chi è fuori sede ci sono da aggiungere i costi (spesso salatissimi) degli alloggi e il vitto oltre l’acquisto dei libri di testo. E se l’intento lodevole è quello di premiare il merito c’è da ricordare però che l’agenzia nazionale che dovrebbe effettuare tale valutazione delle Università non è ancora neanche in funzione e che, tagliando indiscriminatamente sui fondi del diritto allo studio, molti ragazzi con talento, la vera forza di questo Paese per affrontare il domani, non potranno più permettersi gli studi. Le borse di studio saranno tagliate drasticamente. E infatti, per difendere e spiegare agli studenti questi tagli dei fondi alla legge sul diritto allo studio ridotti da 250 milioni all’anno a soli 25 milioni di euro, il ministro Gelmini manda In onda, alla trasmissione di Luca Telese su La7, nientemeno che il ministro della difesa La Russa e il “suo” valente sottosegretario Guido Crosetto. Difese però che non convincono il rappresentante degli studenti presente in trasmissione. Si spiega invece, che l’aumento dei fondi alle scuole private serve “a garantire libertà di scelta” dei cittadini.

“La coperta è corta” e i centri di spesa vanno tagliati e la difesa della riforma. In tutto ciò di tagliare il finanziamento pubblico della partitocrazia non se ne parla nemmeno. Si tagliano i fondi alla cultura, si tagliano gli stanziamenti agli enti locali che, anche loro, a breve dovranno aumentare le tasse sui servizi (trasporti, sanità e istruzione per primi), si tagliano i fondi alle università e alle scuole ridotte al lumicino, ma i rimborsi elettorali non si toccano. Tanto con la cultura, dice qualcuno, non si mangia con i rimborsi forse qualcuno sì. Bisognerebbe però ricordare a chi effettua i tagli dicendo che la coperta è troppo corta che, a fronte di spese realmente dimostrate di 579 milioni di euro, dal 1994 al 2008 i partiti hanno letteralmente “rubato” dalle tasche dei cittadini ben 2,25 miliardi di euro, con un utile di ben 1,67 miliardi di euro, attraverso il meccanismo dei rimborsi elettorali. Cifre da capogiro su cui non si è tagliato neanche un centesimo anzi, c’è il concreto rischio, con le elezioni anticipate, i nuovi rimborsi si andranno a sommare a quelli delle elezioni del 2008 come quelli del 2008 si sommarono a quelli del 2006.

Una vera e propria truffa ai danni dei cittadini, grazie alla quale, ben 500 milioni di euro di finanziamento pubblico finiscono ogni legislatura nelle casse dei partiti a fronte di poco più di 100 milioni di spese effettivamente documentate. Per intervenire su questo capitolo era stato presentato, dai deputati Radicali, un emendamento alla manovra che intendeva limitare i rimborsi elettorali alle sole spese effettivamente documentate. Un provvedimento che avrebbe comportato una drastica riduzione dell’ottanta per cento del finanziamento pubblico e avrebbe consentito di salvare la cultura, l’istruzione e l’università. L’emendamento, manco a dirlo, è stato bocciato dalla Camera, in continuità con tutte le scelte che, dal ’93, hanno sabotato la volontà referendaria degli elettori che aveva espresso un chiaro “No” al finanziamento coi soldi pubblici dei partiti, reintroducendolo col sistema dei rimborsi. Poi, volendo ridurre davvero le spese correnti che invece negli ultimi anni di governo Berlusconi sono vertiginosamente aumentate, c’era senz’altro da tenere presente il capitolo della “manomorta” della spesa pubblica – società partecipate – di cui spesso non si parla e che, Sergio Rizzo nel suo libro i “Rapaci”, definisce essere quel “Torbido impasto fra gli interessi dei partiti di destra e di sinistra, che producono clientele e spese”. Non si pensa minimamente ad intervenire sul “Dedalo inestricabile di ambiti territoriali, consorzi di bonifica” che rimane tal quale per garantire la moltiplicazione delle “poltrone necessarie alla sistemazione dei politici trombati”: “Le migliaia di società a controllo pubblico sono le uniche discariche che funzionano in questo Paese” aveva detto l’ex presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo. E non parliamo dell’abolizione delle province, sventolata in campagna elettorale ma a cui la Lega si è poi opposta con fermezza pur di non perdere neanche una poltrona. In questo clima di austerità si cala invece la scure sulla cultura e sull’università. Una scure che era già calata pure sulla scuola primaria col maestro unico e sulla scuola secondaria di I e II grado attraverso i tagli delle ore di alcune materie. Siamo sicuri che gli studenti stiano difendendo i baroni oppure, protestando contro questi tagli cosa che non hanno potuto fare i bambini delle scuole elementari, non stiano invece difendendo semplicemente il loro domani?

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