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Muore lo Stato di Diritto quando prevale la ragion di Stato

L’Italia non è più uno Stato di Diritto. Quando quest’affermazione l’ha fatta il Senatore Silvio Berlusconi nel suo video messaggio dello scorso 12 settembre è sembrata essere l’ennesima esagerazione, incauta, di chi ha il dente avvelenato con la Magistratura e non accetta le sentenze neanche quando queste, dopo il terzo grado, sono definitivamente passate in “giudicato”. Eppure, in quelle parole che all’apparenza possono essere considerate una grossa bugia per coprire i propri personali problemi giudiziari, nascondono una cocente verità. Se non bastassero le continue e ormai trentennali condanne dell’Europa inflitte al nostro Paese per l’eccessiva lunghezza dei processi al ritmo di oltre duecento sentenze all’anno, è più recente la notizia che l’Italia rischia la procedura d’infrazione europea anche per non aver dato attuazione alla legge e alle direttive che esigerebbero la effettiva responsabilità civile dei magistrati. Il 26 settembre l’Unione avrà aperto un procedimento d’infrazione perché l’Italia non si è ancora adeguata alla legge europea riguardante il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati. Ma questa, parlando di leggi non rispettate dallo Stato Italia, sorvegliato speciale in tema di giustizia, è solo una pagliuzza rispetto alla più grossa trave nell’occhio costituita dalla sentenza della CEDU, la c.d. Sentenza “Torregiani e altri”, dello scorso 8 gennaio 2013 divenuta ormai definitiva lo scorso 28 maggio dopo il rigetto, da parte della Grand Chambre, del ricorso presentato dal Governo italiano perché “la questione carceri è di grave rilevanza istituzionale, non soltanto sociale ed economica”. Una sentenza pilota di rilevanza istituzionale che potrebbe, se il nostro Paese non provvederà entro il prossimo 28 maggio, applicarsi a tutti i detenuti che si trovano nelle medesime condizioni. Una sentenza che ha visto condannata l’Italia non per occasionali ma per “sistematiche e strutturali violazioni” dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti Umani che vieterebbe quei trattamenti inumani e degradanti che, invece, avvengono quotidianamente nelle nostre patrie galere. Uno Stato cessa di essere Stato di Diritto quando cessa, esso stesso, di rispettare la sua stessa Legge fondamentale e le convenzioni internazionali su temi così importanti come la violazione dei diritti umani. Quando Marco Pannella invoca l’amnistia per la Repubblica lo fa non per caritatevole compassione per chi subisce i trattamenti inumani, ma anche e spora tutto, lo per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Giustizia lentissima, magistrati non responsabili dei propri errori e carceri sovraffollate in cui sistematicamente e strutturalmente avvengono trattamenti inumani e degradanti dei detenuti e, ricordiamolo, delle persone che ivi lavorano. Sono queste le motivazioni che hanno indotto Giacinto Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, ad inviare ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della citata sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali. Il senso delle diffide è che, come vuole la nostra Giustizia, non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge.
Già la CEDU, emettendo la sentenza Torreggiani per violazione sistematica e strutturale dell’articolo 3 della Convenzione, ha sottolineato come lo Stato, fino a quando la politica non avrà risolto il problema strutturale del sovraffollamento carcerario, è comunque tenuto a garantire che l’esecuzione delle pene avvenga nelle forme previste dal codice penale, dalla costituzione e dalle convenzioni sui diritti fondamentali dell’uomo che non possono (o non potrebbero) essere mai derogati. “Lo Stato”, si legge nella sentenza, “è tenuto ad organizzare il suo sistema penitenziario in modo tale che la dignità dei detenuti sia rispettata”. Come ha sottolineato anche la Corte Costituzionale già nel 1966, proprio in riferimento al 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione, “Una pena è legale solo se non consiste in un trattamento contrario al senso di umanità”. Articolo 27 della Costituzione che, sempre per la Corte Costituzionale, deve essere integrato da quanto previsto dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. E lo stesso discorso è valido, ovviamente, anche per chi, ancora da presunto innocente, si trova in carcerazione preventiva in ragione dell’esecuzione di una misura di custodia cautelare. Tuttavia, come spiegano Pannella e Rossodivita nella diffida inviata anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonostante gli auspici della Corte europea la sentenza Torreggiani sembra essere caduta nel vuoto. I magistrati continuano ad applicare misure di custodia cautelare in carcere anche quando non sarebbe strettamente necessario e i direttori eseguono ordini di custodia fuori dalla legalità costituzionale. La diffida si conclude invitando tutti i Procuratori Capo, i Presidenti degli uffici GIP, i Presidenti di Tribunale, a voler conformare – mediante la doverosa e necessaria riorganizzazione del lavoro degli uffici – l’emissione degli ordini di esecuzione pena e delle ordinanze applicative di misure cautelari di custodia agli artt. 3 della CEDU, 27, comma 3, e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana. Come? Verificando, prima dell’emissione di un ordine di esecuzione o di custodia cautelare, la disponibilità da parte delle Case di reclusione e/o delle Case circondariale a poter accogliere il destinatario in condizioni tali da non violare il precetto di cui all’art. 3 della CEDU. E, nella diffida, Pannella e Rossodivita invitano pure tutti i direttori delle carceri della Repubblica a voler informare doverosamente i Procuratori della Repubblica, i Presidenti di Tribunale, i Presidenti degli Uffici GIP, in ordine alla possibilità o meno di accogliere i detenuti in condizioni tali da non violare l’art.3 della CEDU che, ricordiamolo, è un diritto umano che non può e non dovrebbe essere mai derogato, neanche in caso di guerra o per motivi di sicurezza nazionale. Speriamo che la ragion di Stato non prevalga, ancora una volta, contro quello Stato di diritto che in Italia più che morto sembra essere dimenticato.

Giuseppe Candido
www.giuseppecandido.it

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